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Atlantista?

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Il filo rosso che lega le amministrazioni Clinton e Bush all'(eventuale) politica transatlantica di Kerry.

Kerry è una sorta di americano europeista, un internazionalista che crede nel dialogo e nella costruzione del consenso, un uomo capace di ridare la speranza all’Europa che le cose ritorneranno come prima. Prima, cioè, del voto della Florida, prima della guerra in Iraq, prima che George W. Bush mettesse piede alla Casa Bianca. Il programma politico del Senatore del Massachussetts rappresenta un sogno per tutti coloro che sperano nella rinascita della “vecchia alleanza”.

Discendente da una famiglia nobile della New England, figlio di un diplomatico che ha cooperato per la ricostruzione dell’Europa postbellica, ha studiato in Svizzera, parla francese e italiano ed ha anche un cugino d’oltralpe. Ottime credenziali se comparate con quelle del suo avversario di Crawford, Texas. Ma l’aspetto più importate risiede nella possibilità che questo suo bagaglio europeo, come ad alcuni piace credere, riesca a ridare vigore alle vacillanti relazioni transatlantiche.

Cambiamenti in vista?

Ma, al di là delle apparenze, la politica estera dell’amministrazione Kerry sarà realmente diversa dalla precedente? L’Europa potrà finalmente sperare in un cambiamento decisivo oppure dovrà ancora accettare il principio “con noi o contro di noi” ? Guillaume Parmentier dell’ IFRI (Istituto francese di Relazioni Internazionali) è convinto che l’amministrazione Kerry sarà sottoposta ad un continuo confronto con il precedente governo Bush. Con il Senatore del Massachussetts al potere l’Europa non dovrà temere nessun deliberato attentato alla sua unità, come nel caso della crisi irachena.

Parmentier preannuncia una politica estera in linea con lo spirito internazionalista del Segretario di Stato Colin Powell, distante dall’ideologia neoconservatrice di Paul Wolfowitz o dallo slancio nazionalista del Segretario della Difesa Donald Rumsfeld e del Vicepresidente Dick Cheney.

Tuttavia, anche se l’amministrazione Kerry sembra voler intrattenere rapporti amichevoli con l’Europa, sarebbe piuttosto utopistico credere in un totale capovolgimento degli orientamenti di politica estera. L’America gestisce le relazioni internazionali facendo forza su un dominio militare, economico e probabilmente anche culturale senza eguali.

L’ombra del terrorismo sulla politica estera americana

In definitiva, nonostante l’importanza accordata al dialogo e alla cooperazione internazionale, gli Stati Uniti portano a termine i loro programmi anche a rischio di irritare gli alleati del vecchio continente. Pierre Lelouche, deputato della destra francese sostiene che gli europei vedono nell’amministrazione Kerry la possibilità di un ritorno al passato. Stando alle sue considerazioni, gli europei non hanno realmente capito quanto l’11 settembre abbia cambiato la realtà dei fatti. “Tutta la politica estera americana attuale si fonda sulla lotta al terrorismo e così sarà anche in futuro” sostiene Lelouche.

Paradossalmente, basta guardare all’operato dell’attuale governo per poter immaginare gli orientamenti futuri della politica estera firmata Kerry. Di recente, Bush e il suo alleato inglese, Tony Blair, sono riusciti ad ottenere una nuova risoluzione ONU per il trasferimento dei poteri in Iraq, garantendo alle Nazioni Unite una maggiore autorità. Sullo sfondo, il sessantesimo anniversario dello sbarco in Normandia ha giocato un ruolo fondamentale nella ripresa delle relazioni con l’alleato europeo. Quest’episodio riassume fedelmente il programma di Kerry Presidente.

L’America non cederà il passo

Con il crollo del World Trade Center l’America ha cominciato a sottovalutare la cooperazione internazionale, ma non tutto è iniziato con l’elezione di George W. Bush.

Bill Clinton, uno dei Presidenti americani più amati in Europa, prese la decisione di astenersi da importanti accordi internazionali, come nel caso della messa al bando delle mine antiuomo e negoziò a lungo sul Protocollo di Kyoto sull’emissione dei gas. Guillaume Parmentier dell’IFRI è convinto che anche se Kerry vincerà le elezioni di novembre e rafforzerà i rapporti con l’Europa, alla fine gli americani troveranno sempre il modo di raggiungere i loro obiettivi. In una recente intervista televisiva, l’ex Ministro degli Esteri, Hubert Védrine, è andato oltre, dichiarando che il dominio unilaterale degli americani non finirà fino a quando l’Europa non incarnerà un potere alternativo reale e coeso.

Translated from The Atlanticist