ARTE VIVA: I TABLEAUX VIVANTS A NAPOLI
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L’arte è viva, ha un’anima, un corpo e non è mai stata così umana. Un tuffo nelle rappresentazioni di tableaux vivants a Napoli attraverso le voci dei Malatheatre di Ludovica Rambelli e di Teatri 35.
LA VISIONE DI GIOTTO
"La visione frontale e ingenua di Giotto – poiché questo è un sogno realistico – è piena di prospettive folli e vere, di un luminoso caravaggesco, dove il sole è sole e il fuoco è fuoco." (Pier Paolo Pasolini, Trilogia della vita. Le sceneggiature originali di Il Decameron, I racconti di Canterbury, Il Fiore delle Mille e una notte, Milano, Garzanti, 1995)
Ad accompagnare la "visione di Giotto", nel Decameron di Pasolini del 1971, è un tableau vivant raffigurante il Giudizio Universale della Cappella degli Scrovegni di Padova. Attori in carne e ossa posano, componendo l’opera in questione per il tempo necessario a renderla riconoscibile agli occhi del pubblico. Il momento si presenta come una vera e propria epifania all’interno della narrazione, la rivelazione di un mistero che attraversa la dimensione del sacro e dell’onirico. E, tuttavia, tra gli attori in posa, scorgiamo i volti dei personaggi delle novelle contenute nel film, "i volti della povera gente napoletana, del popolo santo", scorcio di quell’umanità che Pasolini intendeva ritrarre. È proprio nell’uso del tableau vivant che i ruoli di regista e artista si intrecciano, facendone un espediente capace di andare ben oltre la semplice citazione letteraria per parlarci della necessità di riflettere sulla dimensione e il ruolo dell’opera d’arte. Gli spettacoli di tableaux vivants sono oggi un fenomeno piuttosto raro, ma a Napoli questa forma d’arte continua a vivere, andando in scena in alcuni dei luoghi più suggestivi della città. Capaci ancora di sorprenderci, per la loro dimensione ibrida, crocevia tra più forme artistiche, i "quadri viventi" mantengono il dialogo sul sacro e il profano dell’arte sempre aperto e attuale. L’incontro con i Malatheatre di Ludovica Rambelli e Teatri 35, i nomi di due delle compagnie teatrali che sviluppano la tecnica dei tableaux vivants, offre lo spunto per andare a scavare nella storia di questa perfomance raccogliendo riflessioni preziose sul perché continui ad avere un impatto emozionale tanto forte ancora oggi.
EDUCAZIONE, INTRATTENIMENTO E SPERIMENTAZIONE
Se la comparsa dei primi “quadri viventi” è difficile da datare, la loro origine risulta tuttavia facilmente intuibile. La semplicità e la povertà materiale che li caratterizza ci riporta ad una forma elementare di teatro, che si avvicina alle raffigurazioni popolari della natività e della passione. Un esempio ne sono i Pageant dell’Inghilterra medioevale, cerimonie spettacolari che sfruttavano rappresentazioni bibliche con intento edificante. Tuttavia, l’utilizzo dei tableaux non si è limitato al solo ambito sacro. Alcune comparse nel tardo rinascimento sotto forma di allegorie e di masque, avevano la funzione di intrattenere gli strati più colti della popolazione. Ludovica Rambelli ricorda il ruolo svolto da Lady Hamilton, i cui spettacoli erano particolarmente apprezzati presso la corte borbonica di Ferdinando I. Poi, nel ‘900, questa forma di espressione vive un periodo di particolare splendore, dovuto soprattutto allo sviluppo di nuove arti visive quali la fotografia e il cinema. Gaetano Coccia, componente di Teatri 35 insieme a Francesco De Santis e Antonella Parrella, riporta gli esempi di Pier Paolo Pasolini e Jean-Luc Godard, i quali fecero dei tableaux vivants un veicolo di sperimentazione.
SVELARE LA FINZIONE, CORROMPERE IL SACRO
L’esperienza dei tableaux vivants prende piede all’interno della compagnia Malatheatre dal 2006, a seguito di un laboratorio didattico rivolto agli studenti universitari. "Mi resi conto che quel lavoro era molto bello, molto forte", spiega la regista Ludovica Rambelli. Oggi i Malatheatre portano in scena ben 23 quadri viventi dall’opera di Caravaggio nello spettacolo La conversione di un cavallo. A colpire Ludovica ogni volta che assiste alle prove è "Il reale che si mostra, senza commenti. Il sacro in quanto reale." E è proprio una "sete di verità", un’"urgenza di realtà", che sembra guidare la sperimentazione teatrale sui “quadri viventi”. "Lavorare senza avere le quinte, ma costruendo
e de-costruendo in scena, ci serve per svelare la realtà ed evitare la finzione scenica" rivela Gaetano Coccia che, con i colleghi di Teatri 35, ha battuto percorsi caravaggeschi in più di uno spettacolo. In questo senso, i tableaux si distinguono dalla drammaturgia tradizionale per la presenza di una regia “interna” anziché “esterna”, che costringe gli attori nel ruolo di "tecnici, attrezzisti, scenografi, costumisti ed in ultimo modelli". Unico intervento esterno ammesso? La musica, senza la quale l’intero spettacolo non potrebbe reggersi in piedi. "La musica, in tutti i miei lavori, è la drammaturgia, il mio disegno, il mio commento, insomma è il testo che non c’è", ammette Ludovica Rambelli. Se da un lato è la musica a scandire il ritmo della rappresentazione, dall’altro è l’opera pittorica a costituire l’ispirazione, nonché il rimando finale dello spettacolo. Gli artisti e i temi attraversati sono vari, ma tra di essi si scorge sicuramente un’inclinazione per Caravaggio. La "struttura fotografica" della sua opera, "la dinamica, il gesto fermato", costituisce non solo una sfida per gli attori in scena, ma possiede un impatto drammatico unico sugli spettatori. E, anche se l’obiettivo è quello di "suggerire ciò che avveniva nello studio del pittore", il risultato finale trasuda la stessa atmosfera sacra e tuttavia corrotta, che si respira di fronte alle tele del Merisi.
Si intuisce come al Sud, a Napoli in particolare, dove la vita quotidiana si nutre ancora della religiosità e del folclore tipici, questa rappresentazione acquisisca un significato particolare. Lo dimostrano il laboratorio dedicato alla chiesa di San Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo, condotto da Ludovica Rambelli in occasione dello scorso Maggio dei Monumenti, così come lo spettacolo Labirinto, con il quale Teatri 35 ha vinto il premio I Teatri del Sacro, esperienze originali, dalla forte impronta locale. Ma comunque, la forza emotiva dei tableaux vivants potrebbe essere semplicemente spiegata come la risposta più umana e naturale che ci sia di fronte al "bello". Non a caso, nell’ideare la visione di Giotto, Pasolini scriveva: "C’è da restare a bocca aperta davanti alla grandezza, alla bellezza, alla verità."