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Appoggio a Juncker: perché la Merkel ha detto "sì"?

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Irene Nanni

Politica

Salvo colpi di scena, Jean-Claude Juncker è sulla buona strada per essere il prossimo presidente della Commissione. Tale nomina non era per nulla certa, avendo la sua candidatura suscitato numerose polemiche tra i dirigenti europei. Angela Merkel, inizialmente posizionatasi tra le fila degli scettici, si è alla fine schierata dalla parte dei Lussemburghesi, sollevando non poche perplessità.

Non si potrà certo dire che la can­di­da­tu­ra di Jean-Clau­de Junc­ker non avrà fatto ver­sa­re fiumi d’in­chio­stro e non so­la­men­te ol­tre­ma­ni­ca. Com’è noto, il Primo Mi­ni­stro bri­tan­ni­co David Ca­me­ron, messo spal­le al muro da una stam­pa na­zio­na­le in gran parte se­pa­ra­ti­sta, dalla fa­zio­ne più eu­ro­scet­ti­ca del suo par­ti­to e an­co­ra dal­l’a­scen­sio­ne fol­go­ran­te del Par­ti­to per l’In­di­pen­den­za del Re­gno Uni­to (UKIP) – gui­da­to con­tro­ver­so Nigel Fa­ra­ge– , ha do­vu­to adot­ta­re una po­si­zio­ne par­ti­co­lar­men­te dura con­tro lo "Spi­tzen­kan­di­dat" (ca­po­li­sta) del Par­ti­to Po­po­la­re Eu­ro­peo (PPE). Pro­prio tale presa di po­si­zio­ne po­li­ti­ca l’ha messo al bando del­l’U­nio­ne e co­stret­to ad agire nel­l’i­so­la­men­to, so­prat­tut­to in se­gui­to alla con­fer­ma del­l’in­ve­sti­tu­ra di Jean-Clau­de Junc­ker.

Un’op­po­si­zio­ne di­vi­sa

Il primo mi­ni­stro bri­tan­ni­co non era tut­ta­via stato in pas­sa­to così iso­la­to. Non era certo l’u­ni­co a non es­se­re stato se­dot­to da Jean-Clau­de Junc­ker: un “uomo del pas­sa­to”, un fe­de­ra­li­sta pa­ra­liz­za­to da anni e anni pas­sa­ti alla testa del­l’Eu­ro­grup­po, che sa­reb­be se­con­do per­si­sten­ti voci di cor­ri­do­io un fu­ma­to­re e be­vi­to­re in­cal­li­to, e il cui man­da­to di primo mi­ni­stro – fatto ag­gra­van­te – si è con­clu­so an­ti­ci­pa­ta­men­te l’an­no scor­so a causa delle con­se­guen­ze dello scan­da­lo delle in­ter­cet­ta­zio­ni il­le­ga­li che ha in­ve­sti­to il Gran­du­ca­to.

L’un­ghe­re­se ultra rea­zio­na­rio Vik­tor Orban si è op­po­sto al lus­sem­bur­ghe­se fino alla fine al fian­co di David Ca­me­ron. E prima che pren­des­se­ro de­fi­ni­ti­va­men­te po­si­zio­ne in suo fa­vo­re, il Primo Mi­ni­stro con­ser­va­to­re olan­de­se Mark Rutte e lo sve­de­se Fre­drik Rein­feldt, così come il de­mo­cra­ti­co Mat­teo Renzi e François Hol­lan­de op­ta­va­no piut­to­sto per un “can­di­da­to sor­pre­sa” che sa­reb­be ri­sul­ta­to da ne­go­zia­zio­ni  in­ter­go­ver­na­men­ta­li die­tro le quin­te. Sulla stes­sa linea d’on­da, la can­cel­lie­ra te­de­sca An­ge­la Mer­kel, la quale, pur non so­ste­nen­do di buon grado il pro­ba­bi­le fu­tu­ro pre­si­den­te della Com­mis­sio­ne, ha fi­ni­to a ma­lin­cuo­re per cam­bia­re la sua po­si­zio­ne.

Dei rap­por­ti dif­fi­ci­li

An­ge­la Mer­kel ha in ef­fet­ti da sem­pre pre­fe­ri­to la fran­ce­se e neo­li­be­ra­le Chri­sti­ne La­gar­de, at­tua­le di­ret­tri­ce ge­ne­ra­le del Fondo Mo­ne­ta­rio In­ter­na­zio­na­le (FMI), tra l’al­tro co­no­sciu­ta per un certo “ser­vi­li­smo” in­car­na­to dal suo fa­mo­so «Usami» ri­vol­to a Ni­co­las Sar­ko­zy. Una ca­rat­te­ri­sti­ca che non sem­bra certo con­trad­di­stin­gue­re Junc­ker. Al­me­no è quel­lo che i tra­scor­si re­la­zio­na­li tra la can­cel­lie­ra e il lus­sem­bur­ghe­se la­scia­no cre­de­re.

Già al­l’e­po­ca in cui An­ge­la Mer­kel fi­gu­ra­va tra le fila del­l’op­po­si­zio­ne, la com­pli­ci­tà tra il primo mi­ni­stro lus­sem­bur­ghe­se e il vec­chio can­cel­lie­re so­cial­de­mo­cra­ti­co Ge­rhard Schröder non era certo cosa gra­di­ta. Il cul­mi­ne venne rag­giun­to al Sum­mit di Ter­vu­ren nel­l’a­pri­le 2013, quan­do la Ger­ma­nia, il Bel­gio, la Fran­cia e il Lus­sem­bur­go lan­cia­ro­no un ap­pel­lo al­l’u­ni­so­no per rea­liz­za­re una po­li­ti­ca eu­ro­pea di si­cu­rez­za e di di­fe­sa co­mu­ne e il Mi­ni­stro degli Este­ri lus­sem­bur­ghe­se so­cial­de­mo­cra­ti­co Jean As­sel­born, che aveva cri­ti­ca­to la po­li­ti­ca di An­ge­la Mer­kel e del suo go­ver­no, non fu ri­chia­ma­to al­l’or­di­ne da Jean-Clau­de Junc­ker. O an­co­ra in oc­ca­sio­ne delle ele­zio­ni eu­ro­pee del 2009, quan­do la can­di­da­tu­ra del lus­sem­bur­ghe­se fu re­spin­ta a van­tag­gio del belga Her­man Van Rom­puy, no­no­stan­te Jean-Clau­de Junc­ker aves­se tutti i re­qui­si­ti per di­ven­ta­re pre­si­den­te. Da al­lo­ra, que­st’ul­ti­mo non ha ces­sa­to di so­ste­ne­re che la de­ci­sio­ne era stata in buona parte il frut­to del­l'an­ti­pa­tia par­ti­co­lar­men­te ac­ce­sa che la Mer­kel nu­tri­va nei suoi con­fron­ti.

Le ra­gio­ni della ri­con­ci­lia­zio­ne

In se­gui­to l’im­pro­ba­bi­le è ac­ca­du­to: il so­ste­gno della can­di­da­tu­ra di Junc­ker, no­no­stan­te le nu­me­ro­se obie­zio­ni sol­le­va­te­si in seno al Bun­de­stag, pro­ve­nien­ti in par­ti­co­la­re dal­l’a­la della si­ni­stra ra­di­ca­le. E, cosa an­co­ra più sor­pren­den­te, la can­cel­lie­ra, che si era da sem­pre pre­oc­cu­pa­ta del­l’u­na­ni­mi­tà in seno al Con­si­glio Eu­ro­peo, ha di­chia­ra­to, in me­ri­to al­l’op­po­si­zio­ne bri­tan­ni­ca che «un voto a mag­gio­ran­za qua­li­fi­ca­ta non sa­reb­be stato un dram­ma». Uno stra­no vol­ta­fac­cia che sol­le­va non poche per­ples­si­tà, a co­min­cia­re dalle ra­gio­ni che hanno mo­ti­va­to un tale ri­bal­ta­men­to.

Mer­co­le­dì 25 giu­gno da­van­ti alla ca­me­ra bassa te­de­sca, la Mer­kel la­scia­va tut­ta­via in­tra­ve­de­re la con­tro­par­ti­ta di pre­sun­te ne­go­zia­zio­ni. «La Ger­ma­nia resta il fat­to­re di sta­bi­li­tà e il mo­to­re della cre­sci­ta nella zona euro, ma anche del­l’U­nio­ne Eu­ro­pea», ha di­chia­ra­to la can­cel­lie­ra te­de­sca al Rei­ch­stag, af­fer­man­do una ferma op­po­si­zio­ne a ogni tipo di fles­si­bi­li­tà ri­spet­to al patto di sta­bi­li­tà e di cre­sci­ta. Una po­si­zio­ne che il nuovo Pre­si­den­te del Con­si­glio del­l’U­nio­ne Eu­ro­pea, Mat­teo Renzi, ap­pe­na su­ben­tra­to alla pre­si­den­za greca, sem­bra voler ri­con­si­de­ra­re.

Un altro punto im­por­tan­te è la legge sulla tran­si­zio­ne ener­ge­ti­ca te­de­sca, la quale su­sci­ta un serio scet­ti­ci­smo a Bru­xel­les, in par­ti­co­la­re in ri­fe­ri­men­to al si­ste­ma degli sgra­vi fi­sca­li sul­l’e­ner­gia di cui la Ger­ma­nia be­ne­fi­cia. D’al­tra parte, il go­ver­no te­de­sco e il suo Mi­ni­stro dello Svi­lup­po Eco­no­mi­co e delle Po­li­ti­che ener­ge­ti­che, Sig­mar Ga­briel, hanno do­vu­to in ex­tre­mis mo­di­fi­ca­re il pro­get­to di legge sulle ener­gie rin­no­va­bi­li pre­sen­ta­to al voto il 27 giu­gno scor­so al fine di con­for­mar­si alle ri­chie­ste della Com­mis­sio­ne. In que­sto qua­dro, non sa­reb­be sor­pren­den­te ve­de­re l’at­tua­le com­mis­sa­rio te­de­sco, Günther Oet­tin­ger, re­spon­sa­bi­le delle po­li­ti­che ener­ge­ti­che della Com­mis­sio­ne, re­sta­re al suo posto per fare va­le­re gli in­te­res­si della Ger­ma­nia du­ran­te la pros­si­ma le­gi­sla­tu­ra.

In­fi­ne e so­prat­tut­to, è molto pro­ba­bi­le che la stra­te­gia adot­ta­ta dal­l’in­qui­li­no di Do­w­ning Street, ap­pog­gia­ta ini­zial­men­te da un certo nu­me­ro di di­ri­gen­ti eu­ro­pei, sia ri­sul­ta­ta con­tro­pro­ducente. Pro­prio at­tac­can­do con tanta vi­ru­len­za il can­di­da­to del PPE, David Ca­me­ron ha co­stret­to gli altri di­ri­gen­ti po­li­ti­ci a pren­de­re una po­si­zio­ne che non si è ri­ve­la­ta es­se­re quel­la de­si­de­ra­ta. E, non da ul­ti­mo, se una po­stu­ra po­li­ti­ca è de­fi­ni­ta in parte dalla pres­sio­ne eser­ci­ta­ta dal­l’o­pi­nio­ne pub­bli­ca, i cui vet­to­ri prin­ci­pa­li sono da un lato i media e i po­li­ti­ci e dal­l’al­tro le re­la­zio­ni in­ter­na­zio­na­li, la stam­pa te­de­sca, ma anche una fran­gia im­por­tan­te di de­pu­ta­ti, era fa­vo­re­vo­le al can­di­da­to dei po­po­la­ri. Ri­fiu­ta­re la can­di­da­tu­ra sa­reb­be po­tu­to ri­sul­ta­re de­li­ca­to in ter­mi­ni di co­mu­ni­ca­zio­ne po­li­ti­ca, a meno che la mag­gio­ran­za degli Stati mem­bri non si fosse op­po­sta. Alla luce di tale slit­ta­men­to te­de­sco, al­cu­ni capi di Stato e di go­ver­no, no­no­stan­te fos­se­ro vi­ci­ni alle po­si­zio­ni bri­tan­ni­che, hanno dun­que pre­fe­ri­to evi­ta­re il con­flit­to da un lato con­tro i vi­ci­ni te­de­schi dal­l’al­tro con­tro l’o­pi­nio­ne pub­bli­ca, e hanno fi­ni­to per so­ste­ne­re il can­di­da­to lus­sem­bur­ghe­se.

David Ca­me­ron ha fatto prova di scar­sa lun­gi­mi­ran­za po­li­ti­ca tra­spo­nen­do le spe­ci­fi­ci­tà del suo paese ai suoi part­ner eu­ro­pei, ov­ve­ro a un seg­men­to im­por­tan­te dei media e dei re­spon­sa­bi­li po­li­ti­ci pro­fon­da­men­te eu­ro­scet­ti­ci. A meno che non si sia trat­ta­to di uno stra­ta­gem­ma per ri­sul­ta­re in po­si­zio­ne mi­no­ri­ta­ria in seno al Con­si­glio e con­so­li­da­re la le­git­ti­mi­tà di un re­fe­ren­dum sul­l’u­sci­ta del Regno Unito del­l’UE, re­fe­ren­dum che di­vi­de tut­to­ra l’o­pi­nio­ne pub­bli­ca bri­tan­ni­ca.

Translated from Soutien à Juncker : pourquoi Merkel a dit oui ?