Ancora nel guado
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Dei passi avanti ci sono. Ma l’Europa non ha ancora trovato la forza per uscire dal guado. Spetterà alla nostra generazione farle fare lo scatto di reni finale. In tempi non molto lontani.
Nel momento in cui il mondo sembra avere più che mai bisogno dell’Europa, il vecchio continente ha fatalmente mancato l’obiettivo di una riforma costituzionale che le conferisca una vera e propria soggettività politica sulla scena internazionale. Se posta in questi termini, la questione non lascia molti margini di dubbio.
Se invece, forse con un po’ più di realismo, si giudicano le conclusioni dei lavori della Convenzione europea sulla base del mandato “striminzito” che aveva ricevuto in origine (e che è stato ampiamente oltrepassato) e delle difficilissime condizioni politiche nelle quali essa ha navigato, allora la prospettiva cambia sensibilmente.
Elogio del pragmatismo giscardiano
La verità, tuttavia, è che un giudizio definitivo sull’efficacia della Convenzione potrà essere espresso solo dopo lo svolgimento della Conferenza Intergovernativa. E questo per una ragione molto semplice. Per evitare che il testo costituzionale varato dalla Convenzione rimanesse un bel modello di scuola (come è disgraziatamente capitato al progetto Spinelli approvato nel 1984 dal Parlamento europeo!) destinato ad esser poi completamente stravolto nella successiva CIG, Valéry Giscard d’Estaing ha fin dall’inizio trattato direttamente con i governi nazionali le varie innovazioni istituzionali che si andavano affermando. Questa scelta politica, certamente discutibile ma non stupida, ha consentito il raggiungimento graduale di un accordo che sicuramente non brilla per originalità, ma che “imbriglia”, responsabilizzandoli, i governi nazionali che dovranno dare l’ultima parola sul testo costituzionale.
Il punto credo sia tutto qui. Se nonostante questi sforzi di iperpragmatismo giscardiano la CIG distruggerà il testo varato dalla Convenzione, allora questa sarà stata un assoluto fallimento. Se invece, come io credo, l’accordo riuscirà in larga parte a tenere, il risultato potrà essere prezioso.
Del resto, vogliamo far finta che le attuali condizioni storiche dell’Europa siano diverse da quello che sono?
La zavorra francese
Una prima questione fondamentale che il Presidium della Convenzione ha dovuto affrontare è stata quella se fare lo sforzo di tenere gli inglesi, con la loro organizzatissima riottosità, all’interno del processo costituzionale, accettando i prezzi salatissimi che questo comportava (primo fra tutti la non estensione del voto a maggioranza qualificata alla PESD), oppure se farli subito fuori. Nel momento in cui l’Inghilterra esprime il Primo Ministro più europeista dell’ultimo cinquantennio, la scelta di tendergli la mano, anche rispetto alla sua battaglia interna per far entrare la Gran Bretagna nell’euro, credo sia stata giusta. In cambio Londra ha ceduto sui poteri del Presidente del Consiglio Europeo (cui puntava personalmente Blair) e sulla creazione del Ministro degli Esteri europeo vicepresidente della Commissione, che quando era stato proposto dalla bozza di Prodi sembrava fantascientifico.
Un altro serissimo punto di difficoltà è stato ed è la condotta francese. Invece di esercitare, grazie all’autorevolezza esclusiva che storicamente detiene in Europa, una graduale azione di creazione del consenso nei confronti dei paesi più piccoli e di quelli entranti, la Francia ha avuto fin dall’inizio un atteggiamento impositivo (per altro velleitariamente speculare a quello avuto durante la crisi irachena), che ha politicamente indebolito i quattro importanti contributi che ha presentato alla Convenzione insieme alla Germania, sempre troppo subalterna.
Irrilevanza dell’Italia
Questa assenza di una leadership europea ha creato un muro contro muro fra paesi piccoli e grandi su tutti i principali temi istituzionali che fino a pochi giorni fa sembrava destinato a compromettere tutta la partita. Questo scontro, che pure ha trovato un punto di mediazione importante nella creazione di una Presidenza del Consiglio stabile ma senza veri poteri esecutivi (un “chairman” e non il SuperPresidente inizialmente richiesto da Blair, Chirac e Aznar), sta tuttavia avendo uno strascico preoccupante in queste ultime ore grazie, duole sottolinearlo, all’avvilente condotta spagnola. Alimentando le scontentezze di alcuni paesi più piccoli, infatti, la Spagna sta conducendo una battaglia ipernazionalistica per non cambiare, fino al 2009 o al 2012, quanto era stato deciso a Nizza rispetto al numero dei seggi al PE, alla ponderazione dei voti al Consiglio ed al numero dei commissari. Con il rischio serissimo di annacquare parte rilevante della riforma.
In questo scenario certamente non esaltante si è avvertita molto la totale irrilevanza dell’Italia. Animato quasi ossessivamente dall’obiettivo di far svolgere la CIG durante il proprio semestre di Presidenza dell’Unione, il governo italiano ha cercato di non compromettersi con nessuno, non presentando quasi nessun contributo ufficiale alla Convenzione. Schiacciata dall’iperattivismo franco-tedesco, inoltre, l’Italia non è riuscita a condurre in porto l’iniziativa, ispirata da Ciampi, di un documento dei sei paesi fondatori intorno al quale consolidare un significativo consenso e che rompesse i blocchi contrapposti.
Ed ora? Su alcuni punti importanti ancora in discussione ci possono essere delle speranze: l’introduzione di una maggioranza “superqualificata” per la PESC, la definizione di un Consiglio legislativo che sancisca la divisione fra poteri esecutivi e legislativi nel Consiglio, ed infine la possibilità, per il Presidente della Commissione, di poter essere eletto anche Presidente del Consiglio europeo (in una prospettiva di lungo termine).
Insomma, la sensazione è che dei passi avanti si stiano compiendo, ma che l’Europa non abbia ancora trovato la forza per uscire dal guado. Spetterà alla nostra generazione, in tempi non molto lontani, farle fare lo scatto di reni finale.