All'ombra del dentifricio: il caviale albino per le nostre parole
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Il dentifricio è l’Apollo di Nietzsche: «come dio di tutte le capacità figurative, è insieme il dio divinante. Egli, che secondo la sua radice è il risplendente, la divinità della luce, domina anche la bella parvenza del mondo intimo della fantasia». (Nascita della tragedia)
Anche il dentifricio sta sperimentando la fase della Società della Stanchezza (per riprendere l’espressione e il titolo dell’opera dello scrittore coreano Byung Chul Han), immerso nelle sempre crescenti ore di protezione (da 8h sono lentamente diventate 48h). Insomma il dentifricio lavora per noi e lavora più di noi, e lo fa senza intervalli, senza assopirsi in qualche angolo barocco, e tra un molare e un canino, strofina il nostro smalto senza sosta, imboccando le coperte alle genigive e facendo causa al tartaro.
Il dentifricio è anch’esso multitasking, è multi-protezione, è prestanza in 3D white: protezione dalla radice alla corona, azione remineralizzante, alito fresco, azione sbiancante, e tanto altro ancora in un solo dentifricio.
Le nostre conversazioni sono fatte di alito. Le parole s’inzuppano in quest’ultimo. Scambio di aliti tramite un mediatore igienico-culturale che rinforza la socializzazione. Non viviamo più all’Ombra delle fanciulle in fiore, quanto nell’ombra del nostro personale dentifricio. Una presenza che si esprime nella solitudine dell’invisibile, resta solamente l’alito piacevole del cavo orale, testimone senza parole del nostro rinnovato respiro. E durante il rituale mattutino la nostra bocca cambia aria, cambia casa, una vernice bianca pittura le mura dei nostri denti. Lavoratore instancabile e mediatore igienico, il dentifricio protegge fino a 48h, un veicolo capace di assicurare il profumo del dialogo, il ricordo dell’alito del nostro interlocutore e la chioma del fluoro.
Il dentifricio, dipendente full-time, scrive insieme a noi le nostre giornate parlate, collabora in vista di una presenza che deve essere riconosciuta. Pochi regalano un dentifricio, si tende a scegliere un libro piuttosto, perché fondamentalmente il nostro mediatore igienico non è un regalo, quanto un gesto che non necessita di essere donato. Gesto che appena compiuto viene dimenticato fino a quando non viene esercitato nuovamente: svitare il tappo come se fosse una bottiglia di vino, premere la pancia del tubetto per spremere quella specie di caviale albino (che noi chiamiamo dentifricio) fatto di fluoro attivo, adagiare sopra lo spazzolino la coperta del caviale, aprire la bocca e la nuova abitazione dell’alito inizia a costruirsi non appena la schiuma invade la casa degli incisivi.
Il dentifricio è la traccia che non parla di sé, che aumenta le ore di protezione per ridurre la stanchezza dei denti, per negoziare col tempo, il patto di 48h capace di prolungare la passione e l’abitazione dell’alito. E per quanto possa sembrare assente e lontano il nostro caviale albino, non appena compiamo il rientro serale, incontriamo il tubetto del dentifricio appoggiato come se stesse pregando sopra il lavabo, come un aspirante monaco.
Il riposo del dentifricio avviene quando si dimostra attivo nella protezione della socializzazione, dello scambio di aliti che fanno da inquilini veri e propri all'interno dei nostri notri cavi orali affetti da Jet Lag, mentre viaggiano con uno dei più oscuri testimoni del nostro alito, del nostro sorriso e dei nostri ricordi.
Insieme al dentifricio concludiamo i nostri ultimi affari con le prelibatezze appena ingerite, salutiamo le fragole e il caffè con la coperta del caviale albino e l’epilogo delle nostre giornate fatte di parole, di dessert e di risate è solo l’inizio del rituale dello spazzolamento e della protezione.