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Allarme Facebook & Co. «È il nuovo Grande Fratello»

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Default profile picture Claudia Monaldi

società

La globalizzazione degli spazi, anche di quelli virtuali, è in continua espansione. Ma fino a che punto la vita privata può essere pubblica?

L’essere “in” è oggi indissociabile dal possedere il proprio “space”, il proprio spazio su Internet, tramite il quale mostrare a piacimento al “villaggio globale” vita privata e hobby. Un villaggio senza confini, da condividere con un miliardo e centomila vicini connessi, in giro per il mondo. Una permeabilità virtuale che fa la fortuna degli inserzionisti pubblicitari e alimenta il vecchio fantasma preconizzato da Orwell nel celebre romanzo 1984.

Memoria indelebile

Oltre a permettere la creazione di pagine personali e altri spazi intimi, la moltiplicazione delle operazioni via Internet cristallizza le angosce. In molti temono infatti che le informazioni, lasciate come impronte digitali sui vari siti, possano essere strumentalizzate dagli apparati governativi per tenere sotto controllo i cittadini. Il Web è diventato una specie di memoria universale indelebile? A tal proposito, il giornalista francese Yves Mamou si domanda se «Internet riuscirà dove tutti i grandi totalitarismi del XX secolo hanno fallito». Bisogna effettivamente ammettere che questa paura è principalmente alimentata dai timori legati all’utilizzo esponenziale di Internet e dai rari, ma molto mediatizzati casi in stile “Grande Fratello”. Basti pensare allo scandalo che nel 2006 ha coinvolto la Cia. L’agenzia americana era infatti riuscita ad accedere alla banca dati di Swift, una società di scambio di informazioni bancarie, con sede a Bruxelles, incaricata di seguire la realizzazione di transazioni finanziarie.

La e-pubblicità

Il marketing virale e altre forme di rivendita dei dati personali degli utilizzatori si stanno infatti sviluppando in maniera esponenziale.

Il 6 novembre 2007 un’offerta pubblicitaria di Facebook proponeva agli inserzionisti di avere accesso ai profili dei suoi 50 milioni di utenti, contenenti dati relativi al sesso, all’età, alle preferenze sessuali, religiose e politiche. Lo spionaggio informatico non ha bisogno di molto, in termini d’attrezzature. Gmail, la messaggeria di Google, invia già pubblicità personalizzate. Microsoft e Google hanno creato dei portali tematici sulla salute, gli “Health Portal”, destinati a stoccare le informazioni sanitarie di 300 milioni di americani, per meglio rispondere alle loro aspettative, col rischio, però, di renderle parzialmente pubbliche. La pubblicità, che è tanto più efficace quanto più è ultra-personalizzata, fa la fortuna degli inserzionisti. E sono proprio questi profitti che servono ad assicurare la gratuità dei siti “spioni” e, dunque, a garantirne il successo.

Legislazione on-line

Dal 1978 i francesi si compiacciono di essere protetti dalla Legge sull’informatica e le libertà. Questa ha permesso la creazione di una commissione nazionale che porta lo stesso nome, la Cnil (Commissione Nazionale dell’Informatica e delle Libertà ndr). Grazie a questa legge, i nostri cugini d’Oltralpe possono davvero sentirsi protetti? Non è da scommeterci. La Cnil può infatti agire soltanto contro le reti sociali francesi. Il suo potere è quindi nullo contro giganti americani della portata di Facebook e Myspace. Tuttavia, dei limiti esistono. Fra questi, il “Safe Harbour” (il Porto sicuro ndr), un accordo firmato nel 2000 dalle autorità americane competenti e dalla Commissione Europea. Lo scopo è di garantire il rispetto della Direttiva Europea del 24 ottobre 1995, relativa alla «protezione delle persone fisiche contro il trattamento di dati a carattere personale e la libera circolazione di tali dati».

Questo testo è stato trasposto nelle varie legislazioni dei Paesi membri dell’Unione Europea. La coesistenza di diverse leggi nazionali nell’ambito della regolamentazione della geografia virtuale, che non ha frontiere, ha però creato degli importanti problemi di coesione. Thibaud Grouas, del Forum dei Diritti di Internet, sostiene la necessità di creare un sistema di certificazione al fine di contenere i rischi e valutare la correttezza dei siti.

Fra lo smercio volontario della propria intimità (la propria e-privacy) e l’esigenza di protezione contro le intrusioni esterne, il paradosso è evidente. Tutti vogliono esporre la loro vita privata al mercato del Web 2.0, come fosse un capitale da far fruttare, uno spazio virtuale dal quale trarre concreti guadagni.

Più che alle leggi, spetta al Web il compito di produrre, parallelamente alla sua universalizzazione, dei principi di salvaguardia dei diritti individuali. «La diffusione delle nuove forme di relazione prodotte da Internet ha bisogno di una nuova etica che dovrà proteggere l’internauta in quanto individuo», sostiene a tal proposito Limore Tagil, specialista in nuove tecnologie della comunicazione.

Indipendentemente da quello che si cerca, che sia libertà d’espressione o riconoscimento virtuale, la condivisione d’infomazioni private resta il prezzo da pagare. Ma prima di permettere tale baratto, sarebbe necessario che il sistema educativo insegnasse, perlomeno alle giovani generazioni, il vero valore della vita privata.

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