Aline, la new wave del pop francese: "basta con gli anni Ottanta"
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Maria Assunta CastriotaChe dire? Il 2013 è iniziato da qualche mese e già si annuncia difficile e complicato. Per fortuna, per farvi comprendere meglio ciò che sta succedendo, uno dei migliori gruppi pop francesi dall’inizio dell’anno – Aline – ha appena pubblicato un disco sulla crisi, tragico sì, ma anche stimolante. Incontro caloroso in una fredda giornata di inverno.
Gennaio 2013. A Parigi il cielo è basso. Fuori, la Ville Lumière illumina solo insegne variopinte e manifesti. Tipico dei quartieri popolari bobo-chic, dove ci addentriamo per ritrovarci in un cortile dall'aspetto che solo il ventesimo arrondissement della capitale può ancora offrire. Piante secche svolazzano al soffio del vento glaciale mentre alcune sedie di legno giallo sono disposte a caso da una parte e dall’altra del vialetto. In fondo, Romain, il cantante e compositore, fuma una sigaretta. Ha un’aria tranquilla, indossa occhiali scuri. Avvolto in un montgomery nero costellato di spille, ci invita a seguirlo per l’ultima intervista di una lunga giornata promozionale.
Al chiar di linea
“Il revival anni ’80 mi ha scocciato, è sempre lo stesso ormai da 15 anni”
Saliti uno alla volta e con fatica i gradini della scalinata, Romain crolla sul divano del piccolo loft, contentissimo che l’intervista non sia filmata. Il suo amico – Arnaud – aveva già capito tutto. Il chitarrista del gruppo ha allungato le gambe sul tavolino nella sala d'attesa e osserva con noncuranza ciò che ci apprestiamo a chiedere per far loro smaltire la grossa dose mediatica che si sono appena iniettati. Bisogna ammetterlo, dall’uscita del primo album, Regarde le ciel, l’agenda dei ragazzi si è un po’ incasinata. France 5, Technikart, Le Figaro, Télérama, Les Inrocks e perfino L’Humanité hanno mostrato interesse per le atmosfere pop del gruppo marsigliese. “Siamo piuttosto sorpresi di vedere che il gruppo provoca tanto entusiasmo”, comincia Arnaud. Romain, che ha tolto il cappotto per indossare un giubbotto di jeans, si sfrega la testa facendo sbucare improvvisamente un improbabile ciuffo grigio. “È forte, fa aumentare l’audience. Sentiamo di essere usciti un po’ dalla nostra nicchia indipendente. In più, il 99% delle critiche sono positive”, precisa.
Per spiegare l’improvviso appetito dei media nei loro confronti, la metà del gruppo punta il dito verso la trovata dell’epoca: “la famosa nuova scena francese”. Nel 2012, da Lescop a La Femme, passando per una compilation comprendente il best-of blu-bianco-rosso, il Made in France ha trovato forse il miglior modo per esprimersi nella canzone. E non importa quale. La canzone cantata in francese, con la mano sul cuore, in omaggio agli araldi del passato che, negli anni ’80, pensavano già che l’inglese avrebbe rovinato tutto. Inizio 2013, saltano fuori gli Aline e, come una calamita, un articolo su due classifica il gruppo come appartenente al genere revival anni ’80. “Se ci dà fastidio? Ah beh sì, è una rottura. E poi il revival anni ’80 mi ha scocciato, dura ormai da 15 anni”, dice infastidito Romain, lanciatissimo sulla definizione teorica degli “eighties”.
“Prima, faceva tutto schifo”
Gli Aline, infatti, non hanno aspettato che il theremin tornasse di moda per iniziare a suonare. Romain compone musica “seriamente da una decina d’anni” e ha “sempre composto nello stesso modo”. “Non ho mai voluto inserirmi in un revival tutto vintage”, afferma. E, all’epoca in cui Romain si faceva chiamare Donald (secondo nome datogli da suo padre), fonda un gruppo quasi eponimo, Dondolo, i cui unici due album (Dondolisme, 2007, e Une vie de plaisir dans un monde nouveau, 2008) suonano più o meno come la prima opera degli Aline. Romain Guerret, dunque, fa già sfoggio di un ventaglio pop molto ripulito, semplice – alla maniera degli Smiths, dei Birds e di quasi tutto ciò che ha partorito la defunta casa discografica inglese Sarah Records. “L’idea è andare al sodo, semplificare le cose forzandosi a essere coerenti e a mantenere solo l’essenziale”, spiega. “Un concetto chiaro e preciso” , aggiunge Arnaud la cui sobrietà fa l’occhiolino alla copertina del disco degli Aline.
“Ho un po’ l’atteggiamento del poeta che osserva il mondo”
Dopo i Dondolo verranno gli Young Michelin, gruppo sgonfiato sul nascere poiché l’azienda dell’omino (il cui vero nome è Bibendum, dalla celebre frase di Orazio nunc est bibendum, ndt) non accetterà che dei rockers nevrotici utilizzino il suo logo. Siamo alla fine del 2011 e, paradossalmente, è anche la fine delle seccature. Sì, perché, come ha confessato Romain, prima faceva tutto schifo. Il cantante degli Aline si è a lungo portato dietro la fama di essere un tipo tormentato, inadatto alla sua epoca, malinconico. D’altronde, chi si sofferma un minimo sulle parole di Regarde le ciel si accorgerà che gli Aline cantano incredibilmente bene la loro epoca: il disincanto, la crisi, la recessione…“Questo disco racconta due anni di passaggio a vuoto: la disillusione, l’inquietudine di fronte all’avvenire. Mandavo tutto a rotoli, tutto si degradava, era davvero uno schifo”, si lascia sfuggire Romain.
Ora, la genialità del disco sta nell’addolcire la pillola. Per farla breve, con gli Aline lo sciopero scampanella, la miseria tintinna. Quanto a Romain, lui guarda il cielo: “Sono alla ricerca costante della bellezza, ovunque si possa trovare: nella natura, nelle stagioni, nel cielo, tra le nuvole, nelle mie figlie o negli amici. Ho un po’ l’atteggiamento del poeta che osserva il mondo”. Se il successo degli Aline tende a trasformare il gruppo in “un lavoro a tempo pieno”, l’autore-compositore accorderà sempre la sua chitarra con un attitudine al viaggio, all’ignoto, all'altrove. E poi, addio mondo infame.
Foto: copertina e testo, tranne la prima foto (© Matthieu Amaré) © pagina facebook ufficiale di Aline; Video: (cc)Alinepopband/YouTube
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Translated from Aline : adieu, monde de merde