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Ahwazi, la persecuzione dimenticata

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L’Iran è un crogiuolo di popoli (troppo spesso) perseguitati. Ma per l’Europa petrolio e gas sono più importanti.

Il rispetto dei diritti umani in Iran fa rabbrividire. Corsa all’armamento nucleare, terrorismo, detenzione ed esecuzione dei dissidenti: sono solo alcune delle violazioni più conosciute commesse nel paese. Fra gli abusi che perdurano da troppo tempo, e che oggi rimangon largamente ignorati, vi è in particolare la segregazione culturale in corso contro le minoranze etniche non-persiane del paese, che ammontano ai 2/3 della popolazione iraniana.

6000 prigionieri politici

Persiani, arabi, baluci, curdi, turkmeni e turchi sono alcuni dei gruppi etnici dominanti nel paese. La discriminazione in corso ha diviso queste minoranze che, come i persiani, vorrebbero realizzare un cambiamento in una nazione allo sbando per uno stato di crisi creato dal succedersi di monarchie e dittature di stampo clericale.

Oggetto di una forzata assimilazione e di una sistematica repressione, vi sono più di 4 milioni di arabi ahwazi presenti nel paese, che vivono nella provincia sud-occidentale del Khuzestan.

Questo inverno, in una lettera aperta al primo ministro giapponese Koizumi e al Segretario Generale del Consiglio UE, Javier Solana, gli arabi ahwazi hanno protestato per la recente firma di un accordo per l’esplorazione e l’estrazione di petrolio da 2.8 miliardi di dollari fra la giapponese Inpex Corp ed il governo iraniano. Il contratto sul petrolio, recita la lettera, non solo rafforzerebbe il governo iraniano ma provocherebbe anche l’esodo dei nativi Ahwazi al di fuori della loro ancestrale terra natia.

In una precedente missiva l’Organizzazione per i Diritti Umani degli Ahwazi (AHRO) aveva esortato la Commissione UE per i Diritti umani ad inviare osservatori nella prigione di Karoon nel Khuzestan, dove sono presumibilmente detenuti come prigionieri politici oltre 6000 ahwazi arabi indigeni. Alcuni da più di venti anni.

Repressione sistematica

La politica iraniana cerca deliberatamente di eliminare l'identità nazionale degli arabi ahwazi. In un memorandum, proveviente da ambienti governativi, il generale Gholamali Rasheed, capo dell'intelligence e delle operazioni del Comando Centrale delle Forze Armate iraniane esortava il Ministro dell'Agricoltura Kalantari ad una modificazione nella composizione della popolazione araba del Khuzestan incrementando spostamenti forzati. Incoraggiando inoltre il dislocamento permanente delle comunità persiane dalle parti settentrionali e nordorientali della Provincia, “per facilitare il controllo della terra degli Ahwazi”.

Gli arabi Ahwazi stanno lottando per l’autodeterminazione e per la fine della loro oppressione fin dall’annessione avvenuta ad opera di Reza Shah nel 1925. Spogliati dei loro diritti di base fondamentali, gli oppositori vengon di solito incarcerati o giustiziati solo per aver espresso pacatamente le loro opinioni. Relegati come cittadini di seconda classe gli ahwazi vivono nella più abietta povertà, non traendo mai alcun profitto dai guadagni derivanti dalle enormi risorse iraniane di petrolio e gas.

6 europarlamentari denunciano

Nonostante queste tetre constatazioni, la causa degli arabi ahwazi non è del tutto dimenticata. Nel gennaio scorso, il parlamento danese organizzò un simposio sui diritti delle nazionalità etniche in Iran. In marzo, in una lettera al presidente Khatami, sei membri svedesi del Parlamento europeo gli ricordarono la cupa situazione delle minoranze etniche nel suo paese. Che l'UE non faccia abbastanza per sostenere i diritti umani nella regione è un dato reso ancor più evidente anche di recente a Ginevra, durante la 60esima sessione della Commissione dei Diritti umani delle Nazioni Unite.

Quanti conocorrono a tracciare la politica estera dell’UE devono capire che un Iran più moderno e più secolarizzato dipende da un sistema federale forte, con un sistema legislativo ed esecutivo elettivo ed un ordinamento giudiziario indipendente. Solamente un sistema federale permetterà agli iraniani di sviluppare e proteggere la loro cultura e la loro storia, al di là delle origini etniche, del sesso o della religione. L'UE deve insistere sui diritti per l’autodeterminazione, non solo perché si tratta di un diritto umano fondamentale, ma anche perché si tratta di un’importante metodo di risoluzione dei conflitti. Ovunque essi si celino.

Translated from The Forgotten Persecution of the Ahwazi