Ahmed el-Senussi: Principe libico ed eroe dei diritti umani
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Nicoletta SecondinoAttuale membro del Consiglio Nazionale di Transizione libico, il principe è rimasto in segregazione cellulare durante tutta la prigionia, non parlando mai ad anima viva per nove anni. Lo abbiamo incontrato a Strasburgo, dove l’ex detenuto politico era fra i cinque arabi ad ricevere o il premio Sacharov 2011 per la libertà di pensiero.
Con la morte di Vaclac Havel e Kim Jong-II, è come se fossero comparsi posti vacanti ai due estremi dello spettro “Bene – Male”; certo, ciò che ha reso l’uno un grande difensore della democrazia e dei diritti umani, l’altro uno sconcertante despota, lo decideranno gli storici e gli psicologi. Allora, curiosi di trovare candidati che seguano le orme di Havel, quale migliore posto per iniziare a cercare se non quello della cerimonia di consegna del premio Sacharov per la libertà di pensiero?
Libero, a 77 anni
Dal nome del famoso dissidente sovietico, nonché attivista per i diritti umani, il premio viene organizzato dal Parlamento europeo ogni anno, dal 1988, al fine di onorare coloro che hanno combattuto per i diritti umani – e che ne hanno pagato il prezzo. Talvolta, come nel caso di Mohammed Bouazizi, si è trattato del prezzo della vita: fra i laureati Sakharov di quest’anno, Bouazizi è morto dopo essersi dato fuoco per protestare contro il regime di Ben Ali in Tunisia. Ovvero, proprio dove Bouazizi stesso ha dato inizio alla Primavera araba, mentre gli altri candidati ne tenevano accesa la fiaccola in tutto il Nord-Africa.
Cinque di loro sono stati selezionati per il premio Sacharov 2011, incluso il Principe libico Ahmed el-Senussi. Fra i prigionieri politici più longevi al mondo, quest’uomo calmo, parente del primo, ultimo ed unico re libico, ha 77 anni, di cui 31 trascorsi nella prigione del Colonnello Gheddafi, con una condanna a morte che incombeva costantemente sulla sua testa. Adesso, invece, si ritrova a presenziare a quaranta interviste private in un giorno, a partecipare a conferenze stampa e a tenere un discorso ai membri del Parlamento europeo dove, all’unanimità, gli si tributa un’ovazione entusiastica, con la sola eccezione dei membri dell’ala olandese di destra del Partito della libertà, capeggiato da Geert Wilders: il Principe è musulmano, dopo tutto. Ciò porterà a un piccolo scandalo su Twitter e sulla stampa olandese, ma el-Senussi se l’è semplicemente scrollato di dosso con rassegnata dignità.
La Libia del 2012
"Mentre ero ancora in cella, 1200 giovani istruiti venivano giustiziati in un solo giorno nella stessa prigione"
«Voglio riconciliazione in Libia» dice il Principe, con le mani infilate graziosamente in tasca. «Coloro che in Libia hanno compiuto seri crimini dovrebbero avere un giusto processo, ma solo loro. La gente ha rovesciato il dittatore con l’aiuto dell’Europa, ma non c’è stata alcuna guerra fra la popolazione, nessuna guerra civile. Solo una battaglia contro il regime. La Libia è un’unica, grande famiglia». El-Senussi indica le donne e i giovani come le due principali forze direttrici dietro il sollevamento: sebbene avessero molto da perdere, hanno combattuto una guerra giusta e fatto enormi sacrifici; secondo il Principe, ciò dovrebbe tradursi, sotto il nuovo governo, in un incremento dei diritti politici per le donne. «Anche i giovani hanno fatto enormi sacrifici – e non soltanto durante la Primavera araba, che passava ovunque in tv: mentre ero ancora in cella, 1.200 giovani istruiti venivano giustiziati in un solo giorno nella stessa prigione. Noi li abbiamo sentiti urlare, ma i media non l'hanno mai reso noto, nessuno in Occidente sembrava averne mai sentito parlare». Nonostante tutto, il Principe è felice per il ruolo giocato dai media occidentali – nuovi e vecchi – nella recente lotta in Libia. I giovani dovrebbero avere libero accesso ai social media, come Facebook e Twitter, cosa che el-Senussi, d’altronde, considera «parte della democrazia».
Con umiltà e riconoscenza, il principe considera il suo premio Sacharov un simbolo della fine dell’isolamento della Libia piuttosto che un segno di tributo alla sua persona. Nonostante ciò, riconosce che i libici sono felici che il premio sia stato assegnato a lui e cita Nelson Mandela quale modello; come Mandela, el-Senussi ha trovato la forza in prigione. «Non abbiamo mai perso la speranza. Non ho mai abbandonato la mia dignità umana. Abbiamo sempre pensato che i sogni si sarebbero realizzati, e che un giorno li avremmo visti noi stessi. Adesso, la libertà è stata finalmente raggiunta. Se sono riuscito a restare ottimista in prigione, posso certamente esserlo ora». E così la pensa per il futuro della Libia, come pure per la sua vita privata: ha appreso che la moglie era morta mentre era ancora in prigione. Il Principe rappresenta adesso attivamente i diritti dei prigionieri politici nel governo di transizione libico. Ha solo un messaggio per l’Europa e i suoi baffi grigi si contraggono mentre lo consegna: «Non siamo terroristi, solo perché siamo musulmani. Non ci trattate come tali». Come sapeva bene anche Havel prima di lui, con la libertà arrivano le responsabilità. Ecco allora giunto il momento della prossima intervista.
Foto: apertura © Ezequiel Scganetti ; Testo : (cc) European Parliament/flickr
Translated from Activist Ahmed el-Senussi: Libyan prince and human rights hero