A Palermo gli scatti della Germania (Est) che non ti aspetti
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Fino al 12 febbraio al Goethe-Institut Palermo sono in mostra sessanta fotografie di Jeanne Fredac, artista francese residente a Berlino. Organizzata con l’Institut Français Palermo, “Luoghi sospesi. Germania 2006 – 2014” conduce il pubblico in una realtà scomparsa della Germania dell'Est, svelando traumi mai sopiti di un convulso passaggio storico.
L’immagine che abbiamo della Germania è spesso quella di locomotiva d’Europa, isola felice per livello di reddito e qualità della vita, capace anche di trascinare nel benessere la Germania dell’Est, cioè di fare in pochi anni ciò che l’Italia non è mai riuscita a fare con il Meridione in tutta la sua storia.
Vivere sotto il regime comunista nella ex DDR significava in primo luogo non poter raggiungere l’Occidente. Lo Stato ti pagava scuola, salute e ti procurava un lavoro, ma il livello di benessere era nettamente inferiore a quello della Germania Ovest. Vi era una sorta di ateismo di Stato, e scegliere una religione poteva significare vedersi ostacolata la carriera in tutti i modi dalle autorità. Le case si trovavano facilmente, e anche a poco prezzo, ma per l’auto si poteva scegliere solo tra due marche, la Trabant e la Watburg, che venivano consegnate con tempi di attesa di un paio d’anni.
Quando nel 1989 Ungheria e Austria aprirono le frontiere (oggi una innalza mura lungo il confine, l’altra sospende Schengen), i cittadini di Berlino Est trovarono la rotta per emigrare verso la Germania Ovest, così il Muro di Berlino perse il suo senso, venendo abbattuto l’anno seguente. La Germania e l’Ue investirono negli anni successivi ingenti somme per far correre anche Dresda, Lipsia e le altre città dell’Est nel tentativo di cancellare i retaggi del modello comunista. E nonostante alcune regioni siano rimaste più povere rispetto a quelle occidentali, oggi la Germania unita è la locomotiva d’Europa che tutti conosciamo.
La mostra fotografica “Luoghi sospesi. Germania 2006 – 2014” di Jeanne Fredac, francese residente a Berlino, crea una crepa (non sappiamo quanto consapevolmente) su questa consolidata visione storica. Organizzata con l’Instutut Français Palermo e visibile fino al 12 febbraio al Goethe-Institut, la mostra svela una Germania poco nota, riportandoci in alcuni luoghi abbandonati della DDR oggi non più accessibili e riscoperti per caso dalla fotografa. Si tratta di spazi in rovina, preziosa testimonianza visiva di quanto veloci e disordinati furono i cambiamenti storici che interessarono la vita dei cittadini della Germania Est. Sessanta foto che compongono un diario di viaggio in fuga dal tempo, ricco di stratificazioni di altre epoche. Un percorso che emoziona lo spettatore per la sensazione di oblio trasmessa: partendo da edifici, gli scatti finiscono per essere un racconto molto umano, che agisce sulle forze del ricordo e della memoria.
Abbiamo parlato con l’autrice, Jeanne Fredac, per capire meglio il suo lavoro, molto apprezzato dal pubblico palermitano, tanto che diverse foto hanno trovato richieste d'acquisto nei primi giorni dell’esposizione.
Cafébabel: Come hai rintracciato questi luoghi abbandonati? Erano nascosti, oppure ubicati nei principali assi viari di Berlino?
Fredac: È stato un lavoro lungo dieci anni, quindi i posti visitati sono davvero tanti. Alcuni nei dintorni di Berlino, come ex fabbriche, capannoni e fattorie. Altri più in vista nella città: hotel, scuole, teatri, strutture sportive e case private abbandonate.
Cafébabel: Questi scatti sono stati apprezzati in Germania?
Fredac: Direi di si, perché i cittadini tedeschi dell’Est in pochissimi anni hanno dovuto rinnegare tutte le loro convinzioni, adeguandosi a uno stile di vita e pensiero Occidentale. Vedere questi luoghi immutati e sospesi ha prodotto in loro, per contrasto, una grande emozione. Così sono stati molto partecipi al mio lavoro, segnalandomi nuove location abbandonate.
Cafébabel: E com’è avvenuto questo scambio, sul web?
Fredac: No, per strada, laddove esponevo le mie fotografie: i passanti si emozionavano e mi raccontavano le loro storie ed esperienze, suggerendomi altri luoghi dove avrei potuto trovare soggetti. Mi mostravano anche le loro fotografie. La reazione a queste foto era di estrema curiosità. Mi accompagnavano e s’intrufolavano con me in nuovi siti, una cosa oggi impossibile, perché per evitare incidenti molti luoghi sono stati chiusi, anche se conservano la loro decadenza.
Cafébabel: “Luoghi Sospesi” contiene ben due opere che ritraggono pianoforti abbandonati. Come si fa ad abbandonare un pianoforte?
Fredac: Quella dei pianoforti è una coincidenza che mi accompagna: ho iniziato questa tipologia di foto trovando un pianoforte abbandonato a Detroit. Da allora ne ho scovati altri quattro, sempre in momenti particolari. È una cosa stupefacente: troverò tutti i pianoforti abbandonati del mondo (ride).
Cafébabel: A proposito di momenti, i tempi di posa sono stati lunghi?
Fredac: In alcuni luoghi mi piaceva stare a lungo, non solo per catturare la luce giusta ma anche per cogliere lo spirito intimo del luogo.
Cafèbabel: E la post produzione?
Fredac: Quale post produzione? Si tratta di pellicola. Con tutta la manualità necessaria.
Cafébabel: Starai qualche settimana in Sicilia, cosa vuoi fotografare?
Fredac: Ancora non lo so, intanto ripercorrerò il Grand Tour compiuto da una fotografa francese, Dominique Fernandez, in compagnia di Ferranti Ferrante negli anni Sessanta.
In Sicilia la Fredac seguirà dunque l’itinerario dell’arte barocca, probabilmente con un approccio nuovo e non erudito, simile a quello di Fernandez e Ferrante, cioè basato sull’intuito e le suggestioni del viaggio: negli anni Sessanta la coppia di artisti partì da Palermo e raggiunse le ville di Bagheria, i tesori di Agrigento, il barocco di Siracusa, Ragusa e Noto. C’è molta curiosità intorno a cosa potrà trovare oggi Jeanne Fredac in Sicilia, perché con “Luoghi sospesi. Germania 2006 – 2014” ha saputo catturare con la macchina fotografica un nervo scoperto della storia tedesca, parte di un sentimento registrato anche da un clamoroso sondaggio del 2009 dell’istituto Emnid: secondo il 49% del campione, la DDR aveva più lati positivi che negativi, e c’era qualche problema ma si viveva bene. Dalle foto della Fredac trasudano molti di questi umori, ammantati di un’aurea sospesa e nostalgica.