A 70 anni della fine della II Guerra mondiale, l'Europa non sa che fare
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Quelli di aprile, sono stati giorni berlinesi di strana euforia. Ma si trattava di euforia avvolta in una malinconica atmosfera. Il 24 aprile è stato il giorno di commemorazione del centenario del Genocidio Armeno ad opera degli Ottomani.
Quelli di aprile, sono stati giorni berlinesi di strana euforia. Ma si trattava di euforia avvolta in una malinconica atmosfera. Il 24 aprile è stato il giorno di commemorazione del centenario del Genocidio Armeno ad opera degli Ottomani. Il presidente Joachim Gauck ha tenuto un discorso al Berliner Dom nel quale ha invitato la Turchia ad ammettere pubblicamente, nel giorno dedicato all'eccidio, che quello di cento anni fa è stato un vero e proprio sterminio per motivi razziali e religiosi compiuto contro una minoranza etnica e di credo differente da quello nazionale e ufficiale.
Non a caso è l'anno in cui si celebra anche il 70° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale. Proprio in queste ultime settimane, anche ad opera di altri eventi di uguale significato, l'Europa dovrebbe quanto mai riflettere su quanto questo continente – il nostro continente, quello in cui 2.500 anni fa è nata la Democrazia –, resti sempre e comunque un passo indietro rispetto all'attualità del mondo.
«Siamo entrati nella Terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli» ha dichiarato poche settimane or sono al ritorno da un viaggio in Corea il Papa. E l'Europa resta a guadare o manda navi militari nel Mediterraneo. Sembra una corsa all'inseguimento in cui perfino l'organismo politico più antico e reticente al cambiamento del mondo – il Vaticano –, grazie alle dichiarazioni di un uomo corretto, moderno come sembra essere Papa Bergoglio, risulta più attivo e al passo coi tempi.
I morti costringono a guardarsi in faccia.
L'8 maggio sembrava celebrare grottescamente una tragedia senza fine: il bollettino di un nuovo conflitto mondiale. L'Ucraina, la Siria, la Palestina, le stragi che sconvolgono molti paesi africani dall'Uganda al Kenya, dalla Nigeria alla Somalia, dal Sudan fino alla Libia, e ancora le proteste di massa di molti paesi latino americani, due su tutti il Brasile e il Venezuela, negli stessi giorni in cui – dopo quarant'anni – un presidente americano e un presidente cubano tornano a parlarsi. L'UE resta sempre indietro e arriva dopo: abbiamo la pace.
Le guerre non sono più combattute in modo tradizionale, sono ovunque e senza bandiera, continente europeo compreso. Pochi giorni fa 950 migranti sono stati inghiottiti dal mare del Canale di Sicilia dopo un naufragio. Un record di vittime, numeri che non si sentivano proprio dai tempi dell'ultimo conflitto mondiale: oltre 700 uomini, 200 donne, 50 bambini stipati nella stiva e morti perché gli scafisti li avevano intrappolati bloccando i portelloni ed ogni via d'uscita. Resta la rabbia e l'amarezza di quelle immagini, di un bambino di dieci anni con il viso immerso in una macchia di nafta.
Le parole cambiano il mondo solo quanto più si avvicinano alla verità. Il genocidio armeno, solo il primo di una lunga serie fino ai giorni nostri, è la memoria storica di ciò che accade ancora oggi nell'Europa che affonda – nel bene e nel male – le proprie radici nella religione cristiana, costringe a riflettere, addirittura smuove nazioni a dire basta, le costringe ad un riconoscimento anche economico, a prendersi una responsabilità senza violenza. Con le parole, con il confronto pacifico, con il cambiamento vero che nessuna guerra e nessuna pulizia etnica possono portare. Sono simboli, eventi, dichiarazioni e movimenti che spingono ad unirsi, a parlare, a non nascondersi nell'ipocrisia, a trovare soluzioni vere, con conseguenze reali. Abbiamo una parte di mondo troppo ricca e una parte di mondo senza nulla, disperata, e sarà sempre peggio. Meno disuguaglianza, meno finanza e più politiche per le persone e per i popoli sono la soluzione, anche quando richiedono scelte impopolari per gli europei. Vorremmo una politica senza paura di non essere rieletta.
Papa Bergoglio si era pronunciato ben prima di Gauck sul tema. Siamo al teatro delle marionette in cui sembra ancora il Papa l'unico in grado di riunire tutte le opinioni e le idee di un continente litigioso, diffidente, teoricamente laico e per buona parte democratico da oltre mezzo secolo.
E allora ben vengano eventi, manifestazioni, proteste, libri sull'argomento, testimonianze. È l'unica speranza perché dal basso si costringa chi sta più in alto e a troppa distanza dal mondo reale – o se ne disinteressa perché non ne è nemmeno indirettamente toccato –, a muoversi. Un'Europa profondamente diversa, unita potrebbe essere l'esempio, la guida e la luce della ragione come fu nel Rinascimento, a seguito di un Medioevo nel quale siamo piombati da anni a causa di banche e multinazionali senza alcun controllo o limite imposto dalla politica. Se non saremo noi a farlo, non lo farà nessuno.