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Referendum 2016: le trivelle della discordia

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società

Qualsiasi attività presenta un pericolo: occorre valutare il rapporto tra rischi e benefici, lo stesso che vale per qualsiasi risorsa naturale che noi utilizziamo. Il cosiddetto "referendum sulle trivelle" accende il dibattito sulla dipendenza dai combustibili fossili e sui possibili danni all'ambiente.

Le perforazioni nei mari italiani

L'energia alimenta il mondo in cui viviamo. In Italia, come nel resto del mondo, la maggior parte del fabbisogno energetico è coperto dai combustibili fossili. Parte del petrolio che consumiamo ogni anno deriva dalle perforazioni nei fondali del Mediterraneo. Il 17 aprile gli elettori italiani sono chiamati a votare sul cosiddetto "referendum delle trivelle". Prima precisazione: l'etichetta assegnata al referendum non è corretta. Si tratta più esattamente di perforazioni, non di trivellazioni. Con una vittoria del «» al referendum abrogativo, allo scadere delle concessioni ­­– tra il 2017 e il 2034 – saranno bloccate le licenze a 21 giacimenti e sarà abrogato l’articolo 6, comma 17 del Codice dell'Ambiente. In altre parole: anche nel caso in cui il giacimento non fosse esaurito, non si potrà più estrarre. In caso di vittoria del «No», questi siti continueranno a produrre. Esiste anche una terza opzione: se la consultazione non supererà il quorum obbligatorio del 50%+1 degli aventi diritto al voto, tutto resterà invariato. 

I numeri del referendum.

L’equilibrio tra rischi e benefici

Lasciando da parte la bagarre politica, che tende a distogliere l'attenzione da un tema così tecnico e complesso, il voto fa riflettere su questioni ambientali ed etiche rilevanti. Greenpeace, il Comitato No Trivelle e chi è contro il rinnovamento delle concessioni, paventa danni all'ambiente e alle aree marine interessate. Sul fronte opposto e quello dell'astensionismo tuttavia si pensa anche ai 10mila lavoratori che potrebbero perdere il loro posto di lavoro, nonché al contributo energetico che queste piattaforme danno e darebbero in futuro all'Italia.

Quanto è effettivo il rischio ambientale? Abbiamo chiesto un parere ad un esperto, il professor Fabrizio Berra, geologo all'Università degli Studi di Milano. «Qualsiasi attività che facciamo ha un rischio: bisogna valutare il rapporto con i benefici, e lo stesso vale per qualsiasi risorsa naturale da noi sfruttata,» spiega Berra. Ogni attività umana disturba la natura: le emissioni degli aerei o delle auto, un depuratore che può rompersi e inquinare le aree circostanti. «Nel caso specifico italiano abbiamo dei grandi esperti in materia di perforazioni. Il rischio dunque esiste, ma è controllabile grazie all'ottima tecnologia sviluppata,» osserva, «per esempio nell'Adriatico alcune piattaforme si trovano nelle zone di ripopolamento marino. Uno dei grossi rischi per la fauna dei nostri mari sono in realtà le reti a strascico».

«Il problema principale relativo alla sicurezza riguarda i controlli. L'Italia è leader in termini di qualità, innovazione tecnologica e rispetto per l'ambiente. Il rischio di fughe o di incidenti esiste, ma è remoto,» sostiene Berra. D'altro canto, anche se smettessimo di estrarre idrocarburi dai nostri mari, l'Italia continuerebbe comunque ad averne bisogno, essendo l'industria delle energie rinnovabili — benché sviluppata — non ancora in grado di garantire l'autosufficienza. «Se dovessimo dipendere totalmente dall'estero, potremmo anche andare a rifornirci da chi i controlli non li fa o in Paesi dove le misure sono più permissive» conclude Berra. In altre parole: non è detto che gli stessi problemi che noi ci poniamo per difendere l'ambiente siano in cima alla lista delle priorità dei Paesi da dove andremmo ad approvvigionarci di carburanti fossili. Un circolo vizioso.

Le 12 miglia e l'esaurimento di un giacimento

Alcuni passaggi del referendum possono far sorgere domande. Non esiste difatti alcuna differenza da un punto di vista geologico al di qua o al di là delle 12 miglia dalla costa, né in termini di estrazione né in termini di maggiore o minore rischio per l'ambiente. Il livello delle 12 miglia specificato nel quesito referendario è una zona di tutela stabilita dalla legislazione. «La profondità dipende molto dalla conformazione del fondale, non dalla distanza dalla costa,» osserva Barra. A minore profondità è più facile procedere alle perforazioni poiché gli impianti sono più stabili, nonché i costi minori. La questione delle 12 miglia diviene invece importante in chiave turistica e di tutela del panorama: qui nascono le difficoltà nell'avere degli impianti più prossimi al litorale. Esaurire un giacimento o al contrario cessare di sfruttarne le risorse non ha infatti un impatto di rischio tecnico o conseguenze sull'ambiente. In altre parole: è solo una questione di licenze. 

Esclusi dalle sorti del referendum rimangono invece i giacimenti situati nelle acque internazionali — al di là delle 12 miglia — di proprietà economica italiana. Secondo gli studi infatti queste aree custodirebbero una riserva petrolifera del volume stimato di circa 700 milioni di tonnellate. Le concessioni rilasciate si concentrano nelle acque di 7 regioni: Abruzzo, Calabria, Emilia-Romagna, Marche, Molise, Sicilia, Veneto.

La mappa dei giacimenti bloccati dalla legge. Fonte: Sole 24 Ore.

Eco-Italia ed eco-Europa?

Quale che sia l'esito, il referendum chiama in causa una questione importante. L'Italia è in ogni caso energeticamente dipendente dall'estero e l'utilizzo esclusivo delle fonti rinnovabili non è praticabile, mancando ancora una tecnologia sufficientemente sviluppata. Una nota positiva però c'è. Il Bel Paese è all'avanguardia nel campo delle rinnovabili, grazie a uno dei parchi fotovoltaici più vasti e sviluppati del mondo. «Siamo appena dietro al Giappone,» osserva Roberto Faranda, docente al Politecnico di Milano e specialista in sistemi fotovoltaici. «Siamo arrivati a questo livello grazie agli incentivi governativi – che paghiamo ancora in bolletta – , ma che contribuiscono a rendere la Nazione più "eco"».

Anche l'eolico ha un discreto sviluppo in Puglia e Sardegna (e non mancano le polemiche al riguardo), così come il geotermico in Toscana e gli impianti idroelettrici nelle valli di montagna. Una cosa è chiara: l'Italia è dipendente dall'estero in termini di energia e l'utilizzo esclusivo delle rinnovabili è ancora utopico, nonostante esse siano in grandissimo sviluppo. 

D'altro canto in Europa emergono segnali di rifiuto verso le perforazioni nel Mediterraneo. In occasione della seconda Conferenza Nazionale sulla Transizione Ecologica del Mare e dell'Oceano, il ministro francese dell'Ambiente Ségolène Royal ha prospettato una moratoria immediata sulla ricerca e sull'estrazione degli idrocarburi nel Mediterraneo. Un indubbio segnale che la questione è al centro dell'attenzione anche a livello europeo.

Una cosa è certa: questo referendum, licenze concesse o no, è una materia complessa che non si risolve con la vittoria del «Sì» o del «No». Un elettorato consapevole e informato sarebbe necessario, nonché una vera discussione sul futuro energetico dell'Italia e dell'Europa senza inutili faziosismi e strumentalizzazioni politiche. Comunque vada, pochi risultati concreti in ogni caso, ma un segno in una direzione o nell'altra verrà dato.