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Immigrati a Bologna, l’integrazione si costruisce al museo

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Cora Ranci

Bologna

I musei cittadini possono svolgere un ruolo importante per l’integrazione degli stranieri nella nostra città. Se poi a condurre le visite non è una semplice guida, ma un vero e proprio mediatore culturale straniero, l’esperienza diventa ancora più interessante. L’esperimento è già partito a Bologna, e ce ne parla Khadija Madda, presidente dell’associazione promotrice Italo Calvino.

È partita a dicembre scorso l’iniziativa “Benvenuti a Bologna, città della cultura”, un progetto ideato e realizzato dall’associazione culturale Italo Calvino e dall’Istituzione Musei Civici del Comune di Bologna, con il contributo della Fondazione del Monte. L’idea, alquanto originale nel panorama delle attività volte a promuovere l’integrazione degli stranieri, è quella di usare una risorsa importante come i musei civici, aprendoli alle comunità di immigrati che vivono a Bologna e organizzando delle visite nelle diverse lingue straniere. In arabo, persiano, polacco, spagnolo, francese e altre lingue straniere, delle guide non convenzionali hanno accompagnato i loro connazionali in un percorso di conoscenza e di bellezza attraverso i musei della città, diventando vere e proprie mediatrici tra due mondi.

Tra dicembre e gennaio scorsi si è tenuto il primo ciclo di visite. Ce ne traccia un bilancio Khadija Madda, presidente dell’associazione Italo Calvino.

Invitare gli immigrati stranieri che vivono a Bologna a visitare i musei che raccontano la storia passata della nostra città, come il Museo Civico Medievale o quello del Rinascimento. Perché?

Visitare un museo significa comunicare col luogo in cui ci si trova. Abbiamo voluto offrire agli stranieri un’opportunità per conoscere meglio la città in cui lavorano, vivono e fanno crescere i loro figli. Aprire le porte dei musei agli stranieri favorisce l’avvio di un dialogo e di una comunicazione che sono alla base di ogni speranza di vera integrazione.

In che senso questo progetto contribuirà all’integrazione degli stranieri?

In Italia abbiamo la fortuna di poter trarre insegnamento dalle esperienze di altri paesi europei che hanno dovuto fare i conti prima di noi con l’immigrazione massiccia. Penso soprattutto al modello francese, che abbiamo visto fallire: è un’opportunità per non cadere nello stesso errore. La cultura non deve essere trascurata, perché l’integrazione passa necessariamente anche attraverso la conoscenza reciproca.

Precisamente, che obiettivo vi siete prefissati?

Il nostro pensiero è rivolto soprattutto alla parte più debole delle comunità di stranieri residenti a Bologna. Ci sono molte donne che vengono in Italia per riunirsi al marito. Molte di loro provengono da realtà rurali e non hanno mai ricevuto un istruzione. Finiscono per condurre un’esistenza “invisibile”, intimorite come sono anche solo di uscire di casa. Per non parlare delle difficoltà con la lingua. Sono donne che rischiano l’emarginazione. È difficile raggiungerle: penso soprattutto a quelle di fede musulmana che esitano ad intraprendere attività lavorative. Ma ci proviamo. E poi ci sono i giovani stranieri nati qui o arrivati da piccoli.

__In che modo la visita al museo può aiutare i cosiddetti giovani di seconda generazione? __ Questi ragazzi, soprattutto quando giungono all’età dell’adolescenza, hanno grosse difficoltà a gestire la diversità culturale che li separa sia dai coetanei italiani, sia, in un certo senso, dai propri genitori. Spesso sentono la famiglia distante: non riescono a farsi supportare da genitori appartenenti ad un mondo troppo diverso da quello della loro quotidianità. La visita al museo di questi ragazzi, in compagnia della loro madri, rappresenta allora anche un’occasione per favorire il dialogo tra i genitori e i loro figli nati qui.

Come avete selezionato le dieci “mediatrici museali”?

È stato indetto un bando pubblico a cui, casualmente, hanno risposto solo donne di varie età. Ne abbiamo scelte dieci di diverse nazionalità: Marocco, Iran, Polonia, Corea, Moldavia, Colombia e altre. Il requisito era che risiedessero a Bologna e che fossero laureate. La laurea è garanzia di competenza e motivazione: due condizioni essenziali per la buona riuscita del progetto. Abbiamo formato, in quattro mesi di intenso lavoro e di studio, delle vere e proprie mediatrici culturali che porteranno avanti questo progetto. Molto dipenderà da loro e dalla loro capacità di dialogare con le comunità. Il loro compito non si esaurisce infatti nelle visite ai musei: spetta loro anche tutto un lungo lavoro preliminare di sensibilizzazione e coinvolgimento delle comunità straniere, anche attraverso le associazioni già esistenti.

Che tipo di affluenza avete riscontrato in questa prima tranche di visite?

Siamo molto soddisfatti dei risultati raggiunti. Alle visite hanno partecipato molte famiglie, o anche coppie. Certo l’obiettivo è, andando avanti, quello di riuscire a raggiungere sempre più comunità straniere. Penso soprattutto a quella del Bangladesh, che purtroppo non siamo ancora riusciti a coinvolgere, e che conta moltissime donne a rischio di emarginazione.

Quali nazionalità siete riusciti a coinvolgere maggiormente?

Un buon lavoro è stato fatto con le persone di fede musulmana, sia arabi che persiani. La visita in lingua araba al Museo del Patrimonio Industriale, ad esempio, approfondiva il tema della lavorazione della seta a Bologna tra il XV e il XIII secolo. Un dato che ci avvicina all’Oriente, e che ha suscitato interesse.

La prima nazionalità straniera presente a Bologna è diventata quella romena, eppure non vi è una mediatrice di questa nazionalità. Una casualità?

Sì. Abbiamo persino prorogato la scadenza del bando sperando di raggiungere più nazionalità, ma stranamente nessuno dalla Romania né dal Bangladesh, due comunità numerose, si è presentato. Ma speriamo per il futuro di raggiungere queste importanti comunità.

Il progetto andrà avanti dunque.

Decisamente sì. L’obiettivo adesso è di coinvolgere sempre più stranieri e, magari, anche di ampliare il numero dei musei da visitare.

A livello europeo, che lei sappia, sono già state intraprese iniziative come questa?

Non mi risulta. Da due anni lavoriamo come associazione alla realizzazione di questo progetto, e so che siamo anche stati citati come esperienza pilota a livello europeo.

Allora non è vero che in Italia siamo indietro su tutto.

Bologna è cambiata tanto negli ultimi anni, ma resta una città interessante e dinamica, che, con la volontà giusta, può ancora offrire tanto sotto molti punti di vista.

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