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Zanko: un rapper italiano dalle molteplici identità

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Miriam F.

Culturasocietà

Due ore di ritardo sono tante per chiunque, impensabili per un milanese. Ma Zanko, el arabe blanco, ha almeno tre buoni motivi per farmi aspettare: è milanese solo d’adozione, è di ritorno dall’estremità opposta dell’Italia, e deve cantare. Incontro con un italiano della seconda generazione che rivendica le sue mille identità.

Si fa subito perdonare con un paio di pezzi che già conosco: rime e beatbox nel bel parco di Cernusco sul Naviglio, paesotto alle porte di Milano. Qui oggi si ricorda Abba, ragazzo italiano originario del Burkina Faso, ucciso a sprangate da due baristi un anno fa perché, forse, aveva rubato un pacchetto di biscotti.

Italiano medio, straniero in ogni nazione

Zanko ha una storia che potrebbe incrociarsi con quella vissuta, e che avrebbe potuto vivere Abba. Ventotto anni, risponde al nome di Zuhdi ed è nato a Milano da genitori siriani. A vederlo, nessuno lo indovinerebbe: basso nella t-shirt larga da rapper, fin troppo poco abbronzato per questo periodo dell’anno, «un italiano medio» come canta lui. Studente lavoratore, non sente di essere rappresentativo dell’Italia che sta cambiando, ma «lo è sicuramente, anche se la gente prova ad ignorarlo». Stasera si esibisce per poco più di mezz’ora: ieri è stato a Lampedusa, propaggine verso l’Africa o avamposto verso l’Europa: una settimana di dibattiti ed iniziative sull’isola-simbolo degli sbarchi di clandestini che il governo combatte ogni giorno. È una seconda generazione, si definisce «straniero in ogni nazione» e se gli chiedi quante identità ha, Zanko ne conta almeno quattro. Siriano, italiano, ma ha vissuto anche in Canada e a Parigi. Non ne rinnega nessuna, assorbe quello che gli sembra il meglio di ogni esperienza, consapevole che l’identità, in fondo, è individuale e «poliedrica. Come diceva Pirandello, abbiamo infinite sfaccettature e mutiamo continuamente». A lui non chiedono spesso di esibire un documento, a differenza degli amici che sono “scuri”, e talvolta lo invidiano perché riesce a passare inosservato. Ma basta che qualcuno inceppi sulle “H” del suo nome e cognome per classificarlo automaticamente nella categoria del “diverso e anormale”, potenziale criminale. Zanko sa di essere privilegiato: sono stati i suoi genitori, migranti pionieri, a dover affrontare le difficoltà più grosse. Per lui si tratta di bilanciare le due culture in cui vive. I suoi testi parlano di questo.

L’Hip Hop: una potenza multiculturale

«Forse era destino»- racconta mentre fuma, seduto con me sull’erba- «in terza media la professoressa ci aveva chiesto di scrivere un pensiero sul razzismo, ed io l’ho scritto in rima». Così si è avvicinato «senza pensarci su» all’hip-hop. Lo definisce «potenza multiculturale». La sua forza è che «s’impara per strada» ed è «democratico». «Farlo non è difficile, farlo bene magari è un’altra storia». Pensa che in Italia, solo a Bologna si comincia a vincere la diffidenza nei confronti dell’hip hop senza frontiere, che invece in altre parti d’Europa, in Francia o in Olanda, riunisce persone di origini e storie di vita diverse per un’unica passione. «L’hip-hop è un sentimento – lo chiama proprio così - per cui ho lottato»: i suoi genitori non l’hanno appoggiato, «ho vissuto un conflitto culturale, oltre che generazionale». In Siria, «poco occidentalizzata» è un genere poco praticato, vissuto come lontano, estraneo per il «tran tran occidentale». Eppure ai suoi concerti c’è sempre qualche arabo che lo segue partecipe, riconoscendosi nelle sue difficoltà d’integrazione. Quando torna in Siria, Zanko deve «forzare l’accento dell’entroterra» per evitare che qualche locale lo assalga cercando di vendergli souvenir, convinto che sia un turista. Con la Siria ama mantenere legami, non solo affettivi: segue le serie televisive, le «migliori del mondo arabo», legge i giornali, ci torna appena può.

«Integrato non significa assimilato», rappa nelle sue canzoni e lo ribadisce mentre mi parla. Per lui la multiculturalità è una risorsa, forse proprio la marcia in più che potrebbe riscattare l’Italia in un periodo di crisi, economica ma non solo. Due settimane fa ha cantato a Zingonia, ghetto ancora peggiore delle periferie di Milano, dove spesso tiene i suoi concerti. Curiosa di poterlo stuzzicare, gli chiedo se suonerebbe mai su invito della Lega. «Sì, assolutamente. Sono aperto al confronto, mi piace esprimere quello che penso».

Metrocosmopolitano

Del resto, comunicare, giocando con le parole, i suoni e le basi musicali, è quello che fa con il suo nuovo disco Metrocosmopolitown, dove rivendica di essere un «essere umano», al di là della nazionalità. L’ha registrato con altri nuovi Italiani: come lui, appena arrivati, adottati, con pezzi in italiano, francese, arabo. «Il "meticciato" è più diffuso di quanto si creda», così cerca di scaldare il pubblico riunito per ricordare l’assurdità di una morte al grido di «sporco negro». Per Zanko, la «destra italiana è una destra da Sud del mondo, ancora decisamente ferma sulle paure del passato: da noi la mentalità della destra che in altri paesi è definita estrema, è diffusa nella destra parlamentare». 

Non accusa, ma riflette che serve impegnarsi per provare a cambiare gli stereotipi e i timori. Con la «creatività e la prontezza del freestyle, che è un esercizio di vita», sa di poter provare a costruire nuovi immaginari, che evolvano insieme all’Italia che prova a convincersi di non essere multietnica.

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