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Voci dalle periferie: "La Malacarne" di Alfonso Moscato

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Palermo

Le interviste musicali di Cafébabel Palermo ripartono da Alfonso Moscato, ex voce delle CordePazze. Il suo nuovo album è una discesa negli inferi di un mondo violento, crudo, di solitudine e abbandono, in cui emergono però sprazzi di luce: segno che la salvezza è sempre possibile. Anche in una terra contraddittoria come la sua, la nostra: la Sicilia. 

C'è un carcerato che dalle pareti claustrofobiche della sua cella prega per la propria redenzione ('U Carzaratu); c'è un vecchio giunto all'epilogo della vita, condannato alla solitudine di una casa vuota, ingombra soltanto di medicinali dai nomi più disparati. C'è una prostituta che aspetta un miracolo (Le Pulle) e un ragazzino omosessuale dagli occhi verdi che sogna una rinascita, come le crisalidi (La Canzone di Mimì).  I dieci brani del disco d'esordio di Alfonso Moscato - ex voce delle Cordepazze, Premio come miglior interprete al “Premio Fabrizio De André” nel 2007 e Premio della critica a Musicultura 2009 e 2014 -  sono prima di tutto delle storie: storie sofferte, "periferiche", squarci di vite ai margini. L'album si chiama, non a caso, La Malacarne ed è uscito lo scorso giugno, anticipato dal videoclip de Le Pulle (regia e montaggio di Andrea Nocifora, audio registrato e mixato da Orazio Magrì) e seguito da quello di 'U Carzaratu, realizzato con una selezione di foto scattate in Sicilia da Alex Astegianofondatore dei Marlene Kuntz. 

Iniziamo dal titolo - La Malacarne - che racchiude il leitmotiv del tuo album, i cui protagonisti sono tutti, in un modo o nell'altro, definibili attraverso il termine “malacarne”, privato dell'accezione negativa che spesso ha nella lingua siciliana. Da dove proviene il tuo interesse per le vite ai margini, per la gente reclusa (in carcere, in una casa vuota, in un corpo che non gli appartiene)? Cosa ti ha spinto a raccontarne le storie attraverso la musica?

Quando ho cominciato a scrivere, intorno ai 15-16 anni, ho sempre scritto storie e continuo a farlo, andando un po' in controtendenza rispetto alla musica contemporanea, che predilige i testi frammentati, discontinui. Malacarne perché - come dici tu - i protagonisti delle mie canzoni sono tutti dei “malacarne”, abitanti delle “periferie”, reali e metaforiche, della nostra città e non solo della nostra città. Ma anche per il significato ebraico che ha il termine: malakà in ebraico è l'angelo, il nunzio, colui che ti porta qualcosa. E in effetti colui che ti racconta un po' di se - chi in terza persona, chi in prima - ti “porta qualcosa”, ti dona la sua storia. I personaggi delle mie canzoni sono degli angeli bui che ti mostrano qualcosa, come una teofania. Anche noi, come loro, siamo abbandonati, frammentati, spezzati, cerchiamo di cambiare come il trans (La Canzone di Mimì), cerchiamo di venderci come le prostitute (Le Pulle): la loro storia, in fondo, è anche un po' la nostra.  

Oltre che “dieci canzoni” e “dieci storie periferiche”, hai definito i brani del tuo album“dieci esercizi dello spirito”: in che senso?

Io vengo da un ateismo profondo, nichilista, molto greco. Avevo sempre rifiutato l'idea di Dio. Invece da un paio di anni a questa parte ho incontrato dei segni che mi hanno portato a fare delle letture, a scoprire l'origine ebraica del mio nome, a studiare la lingua ebraica. Non a caso la copertina del disco è una porta: sono entrato dentro un posto oscuro che però aveva molte parti di luce. Questo disco è nato dentro questa atmosfera, in un momento in cui ho cominciato a vedere il mondo in maniera molto diversa da come lo vedevo prima e questo mi ha aiutato tanto nella mia vita quotidiana quanto nella scrittura.

Ascoltare il tuo album equivale quasi a una catabasi, a una discesa negli inferi di un mondo di violenza e sangue, di solitudine e abbandono. A tratti emergono però degli spiragli di luce: il profumo di un fiore, la bellezza di un amore, l'affetto ingenuo di un nipote che saluta il nonno in una lingua straniera, sapendo che non lo rivedrà fino al Natale successivo. C'è un'immagine, nel brano Amore criminale, che racchiude una sorta di ossimoro: “mani sporche di sangue e d'amore”: segno che la bellezza forse sta proprio lì, nei contrasti, nell'alternanza tra buio e luce, amore e violenza?

I protagonisti delle mie canzoni sono degli angeli terribili, agiscono in una dimensione infernale, però sono salvati da piccoli sprazzi di luce. Ognuno di noi ha un inferno interiore, molto privato, più o meno drammatico, ma dentro ogni storia c'è il buio e la luce e io ho cercato di vedere nel buio quel frammento di luce che può ancora redimerci. Il disco cerca di essere un tentativo di cambiamento: non ha fini commerciali, il ricavato andrà a chi ha bisogno di coperte, di pane, a chi è più sfortunato di me. (n.d.r.: Il ricavato della vendita del disco sarà interamente devoluto alla Missione Speranza e Carità di Palermo fondata da Biagio Conte).

In questo senso quanto e in che modo ha condizionato la tua musica l'essere nato e cresciuto in una terra contraddittoria come la Sicilia, da cui trapela tanto squallore quanta bellezza?

Tutto quello che c'è dentro alle mie storie è Sicilia. La Sicilia è sicuramente molto drammatica, e per questo è molto greca. La matrice greca della nostra terra si percepisce proprio nel dramma che vive ogni giorno. Non a caso il simbolo della Sicilia è la testa della Gorgone: il mito racconta che la Gorgone era una bellissima fanciulla che si volle vantare di essere più bella di Venere e per questo venne tramutata in mostro. In mostro che appena ti guarda ti pietrifica. In effetti molti siciliani, ma anche molti stranieri, restano “pietrificati” dalla bellezza dell'isola e non riescono più ad abbandonarla. La bellezza e il terrore: questa è la Sicilia.  

Due brani sono proprio scritti nella lingua della tua terra: 'U Carzaratu e Malaluna. Dove ti senti più a tuo agio, cantando in siciliano o in italiano?

Questa è una bella domanda perché proprio in questo momento sto continuando a scrivere e lo sto facendo in siciliano. È come se stessi tornando alle origini, non solo alle mie, ma a quelle della mia famiglia, del mio passato, della mia terra. Perché poi il siciliano, in Malaluna come nella disperazione del carzaratu ("carcerato"), assume una musicalità che l'italiano probabilmente non ha. Pensare adesso Malaluna in italiano per me è impossibile: questa mitologia della licantropia, ambientata tra le campagne degli ulivi saraceni, sotto le notti di luna piena, non avrebbe reso in italiano. E allo stesso modo 'U Carzaratu, che è una canzone che è arrivata di getto: un giorno di inizio settembre dell'anno scorso ho preso la macchina fotografica e sono andato a Palazzo Chiaramonte Steri, che era la sede dell'Inquisizione, per fotografarne le pareti. L'indomani ho scritto questo brano: è come se qualcosa mi avesse chiamato in quel luogo per farsi raccontare. Ora, se ci penso, cantandola in italiano non credo sarebbe venuta allo stesso modo.

Gli scatti di Alex Astegiano rappresentano il contrappunto visivo alla tua musica e rivelano un'estetica comune tesa all'inclusione della decadenza, del marginale, della periferia. Sono foto in bianco e nere che ritraggono immondizia, case abbandonate o in ristrutturazione da decenni, quartieri popolari, mercati storici... Com'è nata la vostra collaborazione artistica?

Io e Alex abbiamo un carissimo amico in comune. Ci siamo incontrati, gli ho spiegato quello che volevo fare. Ci è venuta l'idea di non pubblicare solo un disco, ma di realizzare un'esperienza. In questa esperienza mancava proprio la parte visiva. Alex ha una grande dote, che è quella di fotografare "deserti". Se guardi le sue fotografie raramente trovi delle persone, tra le poche forse solo in uno scatto a Ballarò e in quello in un sottopassaggio che ritrae alcuni senzatetto che dormono, quasi invisibili sotto le coperte. Questa esperienza desertica si sposa perfettamente con la mia idea artistica. I deserti sono anche i luoghi dei personaggi delle canzoni, posti vuoti che raccontano le storie di chi prima li ha percorsi e poi è sparito. Per questo le fotografie sono perfette per l'album.  

Progetti per il futuro?

A breve nascerà mia figlia, quindi per adesso la priorità è quella – ride. Poi si vedrà.