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Un giro all'Expo, tra utopia e realtà

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Lifestyle

Milano ha atteso questa occasione per anni e  ora, finalmente, l'esposizione internazionale della metropoli finanziaria italiana ha aperto i battenti, accompagnata da un'onda di euforia e da orgoglio patriottico da un lato, e da scandali di corruzione, auto in fiamme e altri incidenti accaduti negli edifici della fiera dall'altro. 

Quando, alcuni anni fa, studiavo a Milano, si poteva già sentire nell'aria. Ovunque spiccavano cartelloni con su scritto: «Arriva l'Expo!». Innumerevoli cantieri per grandi progetti infrastrutturali hanno plasmato il volto di una città in tumultuo, che voleva presentarsi a inizio maggio 2015, puntuale, come una metropoli pulita e moderna. E ce l'ha pure fatta (più o meno), anche se all'ultimo momento. Va sempre così con le fiere internazionali, ha sostenuto il sindaco di Milano Giuliano Pisapia all'inaugurazione.

Scintille e lacrimogeni

Nonostante la negatività dei titoli di prima pagina, dei quali  intanto ci si ricorda a malapena, ho vissuto in un paese vivace e pieno di orgoglio. Basta con la crisi. Adesso è tempo di dinamismo e di voglia di guardare avanti. In questo modo è stata presentata anche l'inaugurazione: come i giochi olimpici, colorata, euforica, col mondo intero ospite a Milano. Un preludio ben riuscito, tra gloria e tam-tam. Il Presidente Matteo Renzi, alla faccia di quelli che fino a poco prima non ci credevano, ha commentato così: «È tutto finito,  in tempo!».

Poi sono arrivate le proteste violente. Ci si aspettava un'opposizione da parte dei detrattori dell'Expo, ma non erano stati previsti dei veri atti di violenza. I dimostranti hanno acceso razzi, pitturato i muri delle case con la loro rabbia, appiccato il fuoco alle auto. La polizia ha reagito con cariche, getti d'acqua e gas lacrimogeni.

Solo cibo e mete per le prossime vacanze?

Feeding the planet, Energy for life è il motto dell'Expo. Globale, ambizioso, forse troppo. In un mondo dove, nei prossimi decenni, vivranno nove miliardi di persone, Expo si presenta come una delle più grandi sfide del secolo. Ci sono andata quindi con delle enormi aspettative. Mentre aspettavo in coda per un'ora (controlli di sicurezza vagamente disorganizzati), queste sono cresciute ancora di più. E poi sono entrata.

Eccoci nell'enorme padiglione delle Nazioni Unite (UN) e poi da "Zero Hunger Challenge". Comincia un viaggio attraverso la storia dei nostri alimenti e dei nostri consumi. A partire da: «Come ci siamo nutriti, secoli fa, col prodotto dei campi?», a: «Speculazioni alimentari e Isole Spazzatura negli Oceani». Sono affascinata dall'artisticità di questa realizzazione e le mie impressioni sono giustificate. Forse penso di nuovo alla scultura. Un preludio ben riuscito.

Benvenuti nel padiglione del Nepal. Stranamente, non è pronto. A causa del terremoto molti nepalesi sono partiti per dare una mano alla ricostruzione del loro paese, di conseguenza la preparazione del padiglione è stata interrotta. Il Nepal voleva approfittare dell'esposizione per alimentare il turismo. Ora servirà da raccolta donazioni. Un esempio lampante di come le catastrofi non minaccino solo la sicurezza delle persone, ma anche la loro alimentazione.

Giro del mondo e concerto di culture

E così vaghiamo di paese in paese. Sudan, Belgio, Cambogia. Si incontrano persone sorridenti, che presentano fiere il loro paese e i loro tesori. Sfoglio un catalogo di viaggi e vivo la nostalgia del viaggio. Qua una cerimonia del caffé etiope, là una Pop star kazaka. Un momento, è già ora di mangiare. Per questo c'è un padiglione sul caffé e un altro sul riso. Continuo a scoprire grandi grafici e didascalie. Chi produce e in che quantità, quanto i paesi dipendono da questi prodotti, a che conseguenze potrebbe portare il cambiamento climatico. Cosa succede se il livello degli oceani si alza improvvisamente? Chi viene sommerso? E se la siccità aumenta? Quante persone in futuro soffriranno la fame?

In certi padiglioni è possibile sapere di più sul rapporto tra clima, catastrofi ed alimentazione: però bisogna allontanarsi dalla zona principale per sportarsi ai margini della fiera (una o più insegne sarebbero ben accette). Proprio in fondo si trova il cuore di questo argomento. Diversi paesi molto poveri espongono lì, e la maggior parte delle porte sono ancora chiuse. Una porta posteriore però è aperta.«Posso entrare?» - «Ma certo, benvenuta in Mali!». C'è qualche cavo, gli scaffali sono vuoti.«Siamo pronti», spiega il rappresentante del Mali, che sta seduto da solo dietro un piccolo bancone. «Ma l'organizzazione non ha funzionato molto bene, è per questo che è venuta fuori così».  Si sforza di sorridere e mi chiede se so dove si trovi il Mali sulla mappa. Dico di sì, anche se purtroppo non ci sono ancora stata, e lui è contento. Gli auguro buona fortuna e proseguo verso i padiglioni delle zone torride.

Visito il Senegal, che ha puntato tutto sul mangiare. Non avevo la minima idea che coltivasse così tanto riso e arachidi. Raggiungo il deserto. Djibouti, Somalia, Palestina.  Tutte le porte sono chiuse. Penso alle parole di Renzi. Alla fine non è proprio tutto pronto. Proprio per i paesi in via di sviluppo, di nuovo, ci vuole più tempo. Sono delusa.

Orgoglio: Un mondo senza Italia?

Il padiglione dell'Italia devo proprio vederlo. Come si presenta il paese ospitante? Si auto-acclama (lo fanno tutti i paesi dell'Expo in un modo o nell'altro), e non poco. Il paesaggio e la varietà delle sue regioni, bello. La cucina, una meraviglia. «Un mondo senza Italia?»: questa la domanda che echeggia in un'intera stanza. Nei video dei non-italiani spiegano che un mondo senza Italia non avrebbe senso. Ovunque sta la parola "orgoglio". Okay, mi piace molto l'Italia, e capisco che ci sia molto di cui andare fieri, ma deve proprio stare dappertutto? Sono irritata.

È stato invitato il mondo intero, ma dev'essere chiaro a tutti: Italians do it better. Mentre lascio il padiglione (attraverso un corridoio in cui dei cavi penzolano ancora dalle pareti), mi ricordo della violenza e degli incidenti durante i primi giorni: il vice ministro dell'agricoltura Olivero e il rappresentante della branca turistica Radaelli sono bloccati in un corteo (panico).

Nel padiglione della Turchia (che ospiterà l'Expo l'anno prossimo) è caduta una lastra di metallo, una donna è stata colpita e portata in ospedale. Cibo gratis? Rapporto negativo: «Se provi tutto passi la giornata a mangiare». No. Chi crede che all'Expo il cibo sia gratis si sbaglia. Però sì: si possono provare tante cose. Lassi di mango indiani, crepes al cioccolato, kebab, birra belga, tapas spagnole. Mentre cerco qualcosa da mangiare per pranzo mi rendo conto che ci sono poche specialità vegetariane e quasi niente di vegano. Io mangio più o meno di tutto, quindi per me non è la fine del mondo. Ma mi chiedo dove siano queste opzioni, soprattutto quando si parla di un'alimentazione sostenibile e sana per il futuro.  

Alla fine decido di prendere un sandwich francese. Dopo quasi dieci ore di mostra, di attese e di sorprese, mi fanno male i piedi (e non ho ancora visto tutto). Il giro del mondo in una veloce passeggiata è stato inebriante. In un solo giorno ho incontrato tante persone positive che mi hanno ispirata con il loro modo di vivere. Lo ammetto, sono stata un po' ingenua con la mia speranza di trovarmi in una nuova galassia di sostenibilità ambientale e di amore per il pianeta. Il biglietto non è stato nemmeno così a buon mercato (27 euro, comprato in anticipo), ma per un giro del mondo direi che non è male.

Translated from EXPO Milano 2015: Wanderlust und Welthunger