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Un caffè a Berlino? Sì, ma equo e solidale

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Anne Preckel

Cosa c’entrano i cellulari con la guerra in Congo? Qual è la storia della cioccolata Milka? Perché caffè ci fa pensare di più a Starbucks che alla Colombia? Sono domande che incominciano a interessare a molti. A Berlino molte iniziative d’avanguardia cercano di fare della città un centro del FairTrade.

©Tau Mendez HernándezSUKUMA è un’associazione che s’impegna per il commercio equo solidale e annuncia un premio europeo di spot pubblicitari che si occupano del tema Fairtrade. «Vogliamo informare in modo creativo. Ci teniamo a raggiungere le persone nella vita quotidiana», mi spiega il fondatore dell’iniziativa, Sascha Kolek a Berlino. Siamo seduti insieme nell’ufficio d’Oxfam, un Ong che si occupa di commercio etico, al Prenzlauer Berg, con una tazza di caffè di commercio equo solidale. Sascha si ricorda: «Già durante il primo concorso la cosa è esplosa. Sono arrivati video da diversi paesi europei, abbiamo preso contatti con la sede lussemburghese di Transfer e, successivamente con quella tedesca. Ci siamo mossi abbastanza…». Sascha prende ancora un sorso, sorride e si rilassa.

Una storia dietro il caffè

Il caffè è anche il tema dell’ultimo spot vincitore del premio SUKUMA, il quale racconta ai consumatori la storia dietro questa bevanda quotidiana: «Del prezzo di un pacchetto di caffè il 94% va alle fabbriche di tostatura del nord del nord del mondo. Solo il 6% va agli effettivi produttori». Compriamo più di quanto pensiamo (“you buy more than you expert”) è il motto di SUKUMA. Secondo Sascha i processi di produzione dovrebbero essere resi più trasparenti: «Nella pubblicità si vede solo la parte superficiale di un prodotto, l’altra, la storia che sta dietro, viene negata completamente. In realtà, però, i consumatori avrebbero bisogno di più informazioni per poter decidere coscientemente. Dove, per esempio, si può vedere come viene realizzato un prodotto?». Interviene Franziska Humbert, la “specialista del caffè” d’OXFAM a Berlino: «Però, bisogna dire che la coscienza dei consumatori ultimamente è abbastanza cambiata. La gente s’informa. Si nota per esempio che le grandi aziende reagiscono: Lidl e Tchibo adesso vendono caffè equo solidale. Si sta muovendo qualcosa, direi».

©Tau

Solidale non è per forza rivoluzionario

Potrebbe avere ragione. Durante il mio giro nei negozi berlinesi che ©taz.devendono prodotti Fairtrade lo vedo con i miei propri occhi: cestini di spesa pieni, tanti prodotti Fairtrade e compratori selettivi. C’è succo d’arancia eco, eco caffè, eco cacao, addirittura palloni di calcio e vestiti. Un signore anziano del negozio OXFAM presso la Schönhauser Allee ha appena acquistato una sciarpa: «Compro qui perché spesso ci sono delle offerte. Sono delle cose carine e la cosa più importante è che con la mia spesa qui posso aiutare la gente». Anche una ragazza che incontro alla cassa del supermercato biologico a Friedrichshain è una consumatrice convinta di prodotti “equo e solidale”. Nella mano ha un pacchetto Tazspresso (il quotidiano di sinistra die tageszeitung ha creato una “sua” marca di caffè, rigorosamente faire trade, ndr). «Certo, è un po’ più caro ma io ormai metto delle priorità, compro di meno ma solidale». Infatti i “solidali” non sono un’esclusiva dei Bio-Freaks che li comprano. Questo mi conferma la Gepa Germania, un’altra associazione che si occupa di Fair Trade.In Germania la percentuale di questi prodotti sul mercato è ora solo all’uno percento ma sta crescendo. Ad esempio, il volume di vendita di prodotti Fairtrade tra il 2005 e il 2007, in soli due anni, è raddoppiato (indagine Daws/Gepa 2007).

©sukuma.netMentre in altri Paesi europei succede di più dal punto di vista strutturale, il fairtrade in Germania si articola maggiormente tramite iniziative private: esiste addirittura, dal 2006 , una marca di caffè della capitale tedesca, il Berliner Bohne (Chicco Berlinese) che ha ottenuto il sostegno del Senato di Berlino e che viene diffuso nei bar della città. Come per SUKUMA, iniziative come queste fanno parte di un’avanguardia a “Est”. In questa “nuova” parte della Germania i prodotti fairtrade vengono consumati di meno che “nell’Ovest” più ricco del Paese. Anche per questo SUKUMA ha ricevuto dei finanziamenti da parte dell’Unione europea. «Allora erano un paio di migliaia euro», Sascha si ricorda, «per noi studenti era una motivazione in più».Ma che cosa fa l’Unione europea sul piano politico per sostenere il fairtrade? Nell’ambito del contratto di Cotonou, che regola i rapporti di commercio tra Ue e i Paesi i©berlinerbohne.den via di sviluppo, per la prima volta le Onlus sono state integrate nell’evoluzione del processo legislativo. Una tendenza positiva, pensano Franziska e Sascha, perché gli obiettivi del contratto prevedono prezzi minimi per i prodotti venduti dal terzo mondo e la diminuzione delle tasse d’importazione. «In Belgio e Francia al momento ci sono dei tentativi di trovare una base legislativa più chiara per l’iniziativa privata del Fairtrade. È un inizio», mi dice Franziska.

A prescindere da ciò che accadrà nelle prossime elezioni europee e le decisioni che prenderanno su questo tipo di commercio è importante che nel quotidiano le nostre spese assumano una forma “equo-solidale”. Commercio ma con rispetto.

Translated from Handeln, aber fair