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Trionfo al referendum: l'Italia da zimbello a modello europeo?

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Politica

Sono andati a votare il 57% degli italiani, nel referendum che ha detto no a nucleare, privatizzazione dell'acqua e legittimo impedimento per Silvio Berlusconi. Una seconda mazzata per il premier e il centro-destra, dopo la clamorosa sconfitta a Milano e Napoli due settimane fa.

Mentre in Spagna si è scelto di dormire in piazza, in Grecia di assediare il Parlamento e nel nord Africa di cacciare i tiranni con la forza, in Italia è bastato il potere elettorale per stabilire che il popolo è ancora sovrano. Ed esige il cambiamento.

Cautele. Ci vogliono cautele nel dire che una stagione in Italia è finita perché Silvio Berlusconi ha dimostrato più volte di rialzarsi dopo le cadute elettorali, così come ha dimostrato più volte di superare indenne gli scandali giudiziari che lo hanno coinvolto e lo coinvolgono ancora. Cautele perché questo referendum non è un voto politico, come in tanti hanno detto, e perché Berlusconi non ha il fegato di Charles De Gaulle, che utilizzava i referendum per mettere alla prova la sua forza, e se perdeva, si faceva da parte. Però questo voto dimostra qualcosa.

Seconda sberla per Berlusconi

Dimostra innanzitutto che le scelte del governo non sono apprezzate dalla maggioranza degli elettori. Il 95% dei votanti ha affermato di non condividere le decisioni di Berlusconi & Co. Poi sottolinea che la persuasione del primo ministro non funziona: il suo invito a non votare è stato seguito da una minoranza degli elettori, mentre il 57% degli italiani maggiorenni si è recato alle urne. I cittadini hanno espresso un voto contrario e di protesta quasi come è successo due settimane fa nelle elezioni amministrative a Milano e Napoli, dove ha vinto il cambiamento radicale; un voto simile a quello delle ultime elezioni amministrative in Spagna e Francia e regionali in Germania.

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Eppure c'è qualcosa di più. Se per la prima volta dopo anni un referendum ha raggiunto il quorum, la soglia minima di elettori richiesta per rendere valida la votazione, è perché non c'è stato uno steccato ideologico: le opinioni e gli interessi individuali andavano oltre le indicazioni dei partiti.

Ora anche gli alleati gli chiedono di uscire dal torpore: la risposta elettorale è stata chiara.

L'indignazione attraverso il voto

Per quanto demagogico, populista e urlatore, Grillo ha portato nell'agenda setting politica temi altrimenti trascurati

Gli elettori italiani hanno dimostrato insofferenza verso una politica priva di contenuti, disinteressata ai problemi reali e alla partecipazione popolare. Hanno detto “basta” alle decisioni rischiose fatte sulla loro pelle da politici distanti, che si occupano solo dei problemi giudiziari di Berlusconi e della spartizione delle cariche. Tre quesiti su quattro riguardano cose concrete: due sulla gestione delle reti idriche (e gli eventuali rincari delle bollette) e uno sulla costruzione di centrali nucleari. Si tratta di valori e diritti intangibili a cui la gente si interessa e su cui certe dottrine economiche liberiste non hanno presa, ma anche di temi economici che dimostrano la lontananza dei governanti dagli elettori, con idee più simili a quelle dei movimenti. Uno su tutti, quello del comico Beppe Grillo: da anni il blogger più celebre d'Italia propone politiche energetiche alternative e pone l'attenzione dei lettori sui rischi della privatizzazione della gestione degli acquedotti, e non solo. Per quanto demagogico, populista e urlatore, ha portato nell'agenda setting politica temi altrimenti trascurati, e lo ha fatto meglio di altri movimenti, come quello dei girotondi che nei primi anni duemila aveva portato in piazza molte persone per protestare solo contro Berlusconi e la sua politica.

Altri sentimenti covano nella società: una stanchezza che non diventa noia lasciando spazio alla rassegnazione, la voglia di dimostrare la propria presenza nelle piazze, nelle strade e nei palazzi (quante bandiere si sono viste sui balconi!), la forza di reagire che ha aspettato il momento giusto per realizzarsi. Il momento giusto è il 2011, l'anno di “Indignez-vous” e degli “Indignados”, ma anche delle rivolte arabe. Non c'era bisogno del testo di Stéphane Hessel e dell'esempio dei cugini spagnoli per indignarsi: gli italiani lo erano (e lo sono) da molto tempo (e forse, come i francesi, non siamo mai stati contenti). C'era bisogno di vedere speranza, quella che soffiava dalle sponde dell'Egitto e della Tunisia. Se ce l'hanno fatta loro, perché noi no? Ecco quindi le manifestazioni delle donne stanche al grido di “Se non ora quando?”, quella dei precari al grido di “Il nostro tempo è adesso”; ecco la caduta del centro-destra nella roccaforte berlusconiana, Milano, e quella di una certa sinistra collusa col malaffare e il clientelismo a Napoli; ma anche gli elettori della Lega Nord, partito alleato di Berlusconi, che si distaccano dalle scelte dei loro leader.

Gli italiani, insomma, non vogliono una rivoluzione: vogliono un rinnovamento e lo vogliono ora. Dopo 17 anni il vecchio Berlusconi traballa, i suoi alleati sono in allarme e l'opposizione rialza la testa. Già nei prossimi giorni si vedranno i risultati.

Foto: home-page(cc)  uomoplanetario.org/flickr; Berlusconi (cc) associazione aut aut/flickr; Grillo (cc) Liwax/flickr