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Tra politica e letteratura, l’Europa vista da Peter Schneider

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Torino

L’impegno politico dei giovani europei, la crisi dei migranti e le nuove tecnologie di comunicazione. L’intellettuale e scrittore tedesco Peter Schneider riflette sui temi di attualità in occasione della presentazione a Torino del suo ultimo libro tradotto in italiano.

Cosa pensa uno scrittore che ha vissuto momenti tra i più importanti della storia recente tedesca ed europea di alcune tra le vicende di maggiore attualità del nostro continente? Cafébabel Torino ha incontrato Peter Schneider presso la Libreria Therese di Torino, dove ha presentato insieme alla scrittrice Giusi Marchetta e al giornalista Gian Luca Favetto, il suo ultimo libro tradotto in italiano, Gli amori di mia madre, pubblicato da L’orma Editore.

L’intellettuale tedesco ha vissuto in prima persona ciò che noi chiamiamo Storia. Nasce infatti durante la Seconda Guerra Mondiale e cresce in Germania nel sofferto dopoguerra. Nel 1965 entra nello staff del socialdemocratico Willy Brandt. Schneider si occupa di scrivere i discorsi di quel politico che, quattro anni dopo, sarebbe diventato Cancelliere della Repubblica Federale Tedesca. Negli anni che seguono, Schneider si sposta politicamente più a sinistra, divenendo uno dei massimi esponenti del ‘68 berlinese. Nello stesso periodo frequenta anche i colleghi della facoltà di Sociologia di Trento, dove impara l’italiano, che tuttora parla fluentemente. Sin dai primi anni Settanta i suoi romanzi, racconti e saggi sono diventati la voce della sua generazione. Oltre all’attività di scrittore, Schneider ha insegnato come visiting professor in diverse Università statunitensi e scrive regolarmente articoli di commento su La Repubblica.

In occasione dell’incontro torinese, oltre a presentare la sua ultima fatica letteraria, Peter Schneider si è soffermato sul ruolo di Angela Merkel e sull’impegno politico delle giovani generazioni europee.

Frau Merkel, hai fatto la cosa giusta

L’arrivo di migliaia di rifugiati in Europa è un argomento al centro delle cronache e delle analisi politiche da diversi mesi, in particolare sui media tedeschi. Il “noi ce la facciamo” è diventato il manifesto politico di Angela Merkel che lo scorso settembre, con la decisione di aprire i confini ai rifugiati siriani e il rifiuto di stabilire un tetto massimo di persone che possono chiedere asilo in Germania, ha attirato le critiche non solo dell’opposizione ma anche all’interno del suo stesso partito. La prima domanda è su come viene visto questo importante quanto inatteso cambio di direzione di Merkel. Schneider affronta l’argomento con toni appassionati. Critica la sinistra che, a suo avviso, non è in grado di elogiare la Merkel per questa “magnifica frase” e per le implicazioni politiche che ne derivano. La ragione di queste titubanze “è il timore di perdere la propria ragione d’essere. Ma così facendo la sinistra continua solo a lamentarsi”, riflette proprio uno dei mostri sacri della sinistra europea. Sullo stesso tema, Schneider ammette che questo “gesto generoso e grandioso cambierà non solo la Germania ma anche l’Europa”. Lo scrittore sottolinea però la sua apprensione per la forte affermazione della destra e trova “terrificanti” i crescenti consensi che quella parte politica continua a registrare.

Nonostante le lodi per la Cancelliera tedesca e per la sua politica di accoglienza dei rifugiati, Schneider riconosce, al tempo stesso, la necessità che ha qualsiasi Società di confrontarsi, prima o poi, con la definizione di un limite di ingresso ai nuovi cittadini provenienti da oltre frontiera. Da un lato, quindi, l’intellettuale approva la Merkel quando afferma “non esiste un tetto massimo”, ma dall’altro lato vede raggiunto quel limite nel momento in cui viene meno il consenso dei cittadini. Quando cioè la Società stessa arriva ad affermare che non si può andare oltre.

Schneider ammette quindi di non avere una risposta preconfenzionata a questo dilemma, ma è convinto che il peso dell’accoglienza andrà diviso fra tutti i Paesi occidentali. A questo riguardo cita soprattutto la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, che finora hanno accolto “soltanto un numero ridicolmente basso di rifugiati”.

Nessuna paura del futuro: "Ho fiducia nei giovani europei"

Cosa pensa una persona che ha partecipato in prima fila ad uno dei maggiori movimenti giovanili del XX. secolo, ovvero il ’68, dei giovani dei nostri giorni e del loro rapporto con la politica? L’Europa può ancora contare su di loro?

Schneider è ottimista su questo punto e sottolinea di non aver mai partecipato alle generiche e astratte critiche sugli adolescenti di oggi. Riconosce che al tempo del suo attivismo politico, il contesto generale era completamente diverso. “Noi siamo stati i primi a doverci ribellare contro la generazione dei genitori, la generazione del nazifascismo”, rileva l’intellettuale tedesco, “era più facile individuare contro chi opporsi. Inoltre l’assenza della disoccupazione facilitava le cose: bastava alzare la mano e avevi un lavoro. Le giovani generazioni dei nostri giorni hanno invece una maggior difficoltà nel definire una propria posizione nel mondo. Fenomeni come l’emergenza dei rifugiati sono tuttavia capaci di spingere verso l’attivismo politico molti giovani, che hanno già mostrato di potersi impegnare proprio in questi mesi”. “Io non sono affatto preoccupato”, ribadisce Schneider.

Grazie ai suoi figli Schneider si sente informato sui temi delle nuove generazioni e apprezza in particolar modo le opportunità che offrono le nuove tecnologie. “Su Internet si vedono delle iniziative di cui noi potevamo solo sognare”, sostiene infatti l’autore, “idee come il crowdfunding, l’opensource e la sharing economy sono state inventate dai giovani. Come si può quindi dire che sono non organizzati, incompetenti? Sciocchezze!”.

Si perde qualcosa

Parlando dello sviluppo tecnologico e delle nuove forme di comunicazione, Schneider ritorna ad affrontare la presentazione del suo ultimo libro. Ne Gli amori di mia madre l’autore ricostruisce, tramite lo scambio epistolare fra la madre e il suo amante, la vita movimentata di questa donna vissuta durante la Seconda Guerra Mondiale e venuta a mancare quando Schneider aveva solo otto anni. Il suo libro potrebbe essere uno degli ultimi che prendono spunto da una raccolta di lettere cartacee. Lo stesso scambio di parole e sentimenti oggi si svolgerebbe probabilmente tramite e-mail, messaggi istantanei o social media. “Sono consapevole del fatto che si tratta di un destino inevitabile, che è un percorso da cui non si potrà indietro. Tuttavia, in questo progresso tecnologico, si perderà anche qualcosa di importante nella comunicazione fra le persone”, conclude lo scrittore.