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Tor Bella Monaca, il sipario si leva

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Non sono ghetti come le banlieues francesi né divisi in comunità separate come i suburbs britannici. Ma nei quartieri periferici di Roma non mancano le difficoltà. Anche se Michele Placido...

A Tor Bella Monaca, periferia est di Roma, si arriva con un trenino locale dalla stazione Termini. Durante i 40 minuti di viaggio, la civetteria del centro di Roma lascia progressivamente il posto alla grigia funzionalità del cemento.

Se Placido sbarca per il Tbm

Il treno attraversa borgate di epoca fascista, costruite negli anni Trenta per accogliere le nuove classi operaie, seguite dall’Alessandrino, un tempo scalcinato sobborgo, dove ora spuntano antenne paraboliche, balconi fioriti e piccoli esercizi commerciali. Per affittare un appartamento da 35 metri quadri, qui bisogna sborsare circa 700 euro al mese.

Una decina di chilometri più in là la scena cambia nuovamente: in fila si vedono edifici di una dozzina di piani piazzati in aperta campagna. Nel mezzo di questo austero paesaggio urbano troneggia il teatro Tbm, dove hanno lavorato di recente l’attore Leonardo di Caprio e il regista Peter Brook. Il teatro, diretto da Michele Placido, regista di Romanzo Criminale (2005), ha aperto un anno fa con una vocazione politica chiara: creare un luogo di prestigio in un quartiere colpito dalla propria cattiva reputazione e coinvolgere la popolazione locale in attività artistiche.

«Gli abitanti sono entusiasti e fieri che «dei romani del centro città si spostino fin qui per il Tbm», spiega Claudia, giovane residente del quartiere. «Così hanno la possibilità di vedere che non siamo in un ghetto e di rendersi conto delle nostre difficoltà. Per la maggior parte sono costretti a venire in macchina, dato che i trasporti pubblici sono insufficienti».

Dal ghetto all’autopromozione sociale

Il quartiere è cresciuto in maniera esponenziale durante gli anni Ottanta, per accogliere gli abitanti delle ultime bidonville romane. In appena 40 anni la sua popolazione è passata da 2000 a 210.000 abitanti. Gli alloggi sono stati costruiti in fretta e furia, ma i servizi pubblici non sono stati affatto reattivi. Ben presto il quartiere si è chiuso su se stesso, offrendo terreno fertile al traffico di droga.

È solo di recente che il Comune di Roma ha preso coscienza del problema dei suoi quartieri-ghetto. Nel 1997 la legge Bersani per lo sviluppo economico delle periferie ha permesso di trasferire 56 milioni di euro all’amministrazione comunale. Questi fondi sono serviti a lanciare il programma Autopromozione sociale, che da allora ha permesso di creare 760 imprese e quasi 3.800 posti di lavoro in periferia. L’iniziativa è stata accolta con favore anche a Bruxelles, dove lo scorso dicembre è stata insignita del premio per lo spirito di imprenditoria responsabile.

Altro problema, l’accentramento politico. Il comune di Roma, diviso in 20 municipi, occupa una superficie di 150.000 ettari (Parigi a confronto ne conta 11.000) , ma le politiche di sviluppo continuano ad essere gestite dal centro. Gianpiero Alunni, ex consigliere comunale, vorrebbe «una gestione più locale della politica. Le amministrazioni dei municipi non hanno alcun potere d’azione. Non fanno che correre dietro ai problemi».

Un ruolo tutto fuorché periferico

Per il sociologo Franco Ferrarotti, specialista delle periferie romane, «si è registrato un progresso indiscutibile in materia di occupazione e alloggi, ma non ci sono stati sforzi sufficienti affinché gli abitanti delle periferie si sentano cittadini a pieno titolo». Sebbene l’86% dei romani vivano fuori dal centro città, «il Comune di Roma non ha ancora compreso il ruolo centrale giocato dalle periferie nel funzionamento della metropoli».

E quando i servizi pubblici peccano per la loro assenza, la Chiesa gioca un ruolo sussidiario importante. A Tor Bella Monaca, la parrocchia Santa Maria Madre del Redentore ha allestito un servizio permanente di ascolto. Gli abitanti possono recarsi a consultare psicologi, avvocati o volontari del servizio di pianificazione familiare. «Il più grosso problema del quartiere è la mancanza di punti di riferimento a livello familiare, il che scoraggia in particolare i bambini a frequentare la scuola», sottolinea il parroco Don Riccardo.

Malgrado tutto, non mancano le belle iniziative. L’anno scorso, nel suo servizio medico ambulante, 1.500 bambini hanno visto la luce grazie all’assistenza di medici volontari. «Tor Bella Monaca ha le sue difficoltà, ma è un bel quartiere», sottolinea il sacerdote. Un’opinione condivisa da Vivian, nigeriana venuta in Italia tre anni fa per finanziare gli studi ad Abuja dei suoi quattro figli. «A Tor Bella Monaca ci si aiuta a vicenda. A volte non guadagno a sufficienza per pagare l’affitto e inviare denaro ai miei figli. Allora chiedo alla mia padrona di casa il permesso di rinviare il pagamento, oppure sono i miei vicini che mi aiutano a mandare soldi in Nigeria».

La giovane donna riconosce che «non tutti, qui, hanno la mia stessa fortuna». Ma a Tor Bella Monaca, la voglia di cambiare c’è.

Translated from La vie douce amère des banlieues romaines