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Teatro: il meglio di Avignone

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Default profile picture Renata Morizio

Al festival OFF di Avignone sono stati messi in scena 1.480 spettacoli che hanno fatto ridere, piangere e riflettere, hanno attirato l'attenzione, hanno fatto riscoprire i grandi classici o applaudire nuove compagnie. Sulle scene si è visto di tutto. 

L’espressione «era meglio prima» si è definitivamente radicata nelle conversazioni degli avignonesi durante il mese di luglio. Sono già cinque anni che si sente ripetere a tutti i tavoli dei ristoranti della rue des Teinturiers. Prima (prima quando? Sono stati celebrati i settant’anni del festival l’anno scorso) c’erano meno rappresentazioni, più spettacoli di strada e soprattutto la qualità nel complesso era decisamente migliore… Ma che cos’è un bello spettacolo? È un concetto del tutto soggettivo, giacchè non tutti hanno le stesse aspettative nel momento in cui superano i bastioni delle mura della città. 

Un omaggio alla lingua francese

Per alcuni, che restano di certo soddisfatti, il festival OFF è l’occasione per rilassarsi, per ridere. Si spera perciò che questi si siano lasciati tentare dal memorabile trio svedese Blønd and Blõnd and Blónd. Tø, Glär e Mår Blond, fratello e due sorelle, ripropongono in famiglia il meglio della canzone francese. Anche se lo spettacolo ci mette un po’ a decollare, le battute facili dell’inizio si trasformano rapidamente in una successione di performance vocali e teatrali che lasciano a bocca aperta. I giochi di parole e i riferimenti culturali non finiscono più. Primo, secondo, quindicesimo grado, ce n’è per per tutti i gusti e tutte le età, e sono in molti a seguirli durante la tournée e che vengono ad applaudirli più di una volta durante questo stesso festival. 

Per altri Avignone è l’occasione per scoprire nuove proposte. Certamente il festival OFF dà ampio spazio alle produzioni originali, infatti hanno debuttato al festival più di mille nuovi spettacoli. È l’occasione per avvicinarsi al teatro di marionette, per emozionarsi con gli spettacoli di qualità per i più giovani (menzione speciale al Ballon Blanc di Grégoire Aubert e al Magdalena di Vincent Clergironnet), in breve: per soddisfare la propria curiosità. Un’eccellente indicazione per gli amanti delle novità: il teatro di Doms, dove abbiamo scoperto Piletta Remix, opera radiofonica live proposta dal collettivo Wow!. All’entrata vengono fornite a tutti gli spettatori cuffie audio per ascoltare in diretta la notevole performance dei cinque attori-musicisti-cantanti-rumoristi presenti in scena. Anche se non ci ha soddisfatto appieno - la creazione dei rumori non è stata sempre adeguatamente valorizzata - questa spassosa fiaba nera d’iniziazione ci ha fatto venire la pelle d’oca.

Il festival OFF è l’appuntamento perfetto anche per coloro che amano porsi delle domande, riflettere, discutere. Prima di arrivare spesso ci si domanda quali saranno i grandi temi trattati negli spettacoli avignonesi. Terrorismo, migranti, rifugiati, alcuni temi su cui viene costantemente richiamata la nostra attenzione. A voi la scelta: approfittare delle nuove produzioni per approfondire la riflessione o riscoprire i classici alla luce del contesto della società attuale. Noi abbiamo optato per la seconda possibilità e siamo andati a vedere Dans la solitude des champs de coton di Bernard-Marie Koltès, messo in scena da Alain Timár nel teatro di Halles. Grandi e devoti fan di Alain Timár, questa opera ci ha lasciati con un po’ di amaro in bocca. Se il suono della batteria, ricorrente nelle messe in scena di Timár, è molto apprezzabile nel suo sottolineare la forza delle parole, la scenografia è un po’ troppo elaborata. Si rimpiange il minimalismo che era stato il punto di forza di Rhinocerós nel 2010 o di Tous contre tous en 2016. Gli attori sono certamente molto bravi, adatti ai ruoli e al servizio del testo, però il tutto è forse un po’ troppo compìto… Si finisce per notare i particolari che zoppicano, il pavimento troppo morbido per esempio. L’argilla bianca, utilizzata per annullare le differenze fra l’offerente e il compratore è una soluzione poco innovativa. Un classico che alla fine risulta un po’ troppo classico.

« Io mi ero preparata »

Secondo tentativo di mettere in moto la nostra mente con Peggio tutta (Cap au pire) di Samuel Beckett, interpretato dal formidabile Denis Lavant e con la regia di Jaques Olinski. «Io mi ero preparata», ci sussurra la nostra vicina della prima fila, e ha fatto bene. Coloro i quali hanno avuto la possibilità di assistere allo spettacolo hanno il diritto di domandarci ridendo: Peggio tutta, uno spettacolo per chi ama la riflessione, veramente? Non piuttosto per qualcuno che ha bisogno di fare un pisolino? O per i masochisti? No, è uno spettacolo per chi ama le parole. Che meravigliosa dichiarazione d’amore alla lingua, che incredibile prova d’attore! E che sofferenza. Sofferenza dello scrittore che non trova le parole giuste per descrivere, sofferenza di non poter dire la sofferenza, tentare, fallire, tentare ancora. Perchè le parole sono degne d’amore, ultime compagne sulla via della fine. Compagne del bambino, dell’uomo che le tiene per mano. Tentare di descrivere, di trovare le parole giuste, e metterci tutte le proprie energie al punto che nient’altro si muove. Ed è dentro questa immobilità perfetta che la voce calda e potente di Denis Lavant risuona in tutti i nostri pori: «Tentare ancora. Sbagliare ancora. Sbagliare ancora meglio. O pessimamente meglio. Sbagliare peggio ancora. Ancora e sempre peggio».

Passare il mese di luglio ad Avignone è anche un’ottima occasione per parlare con coloro che partecipano al festival: direttori/trici di scena, registi/e, e allo stesso modo attori/trici, e di capire come funziona questo festival da matti, perché sì, bisogna essere matti per lanciarsi in questa avventura. Remuneratività, prezzo dei biglietti, il sistema dei contratti a intermittenza… Questioni fondamentali che abbiamo avuto il piacere di approfondire con gli attori di No show, uno spettacolo “must-go-on a qualsiasi prezzo”, con la regia di Alexandre Fecteau. «Ecco qua la ricetta per stasera: voi avete pagato la cifra sufficiente per il compenso di tre attori, perciò gli altri quattro faranno sciopero». Per assistere al No show, siete voi a decidere quanto volete pagare (e lo fate in forma anonima). Due ore di performance teatrale allo stesso tempo divertente e profonda, innovativa e strabordante di energia. Ci poniamo decine di domande di tipo tecnico: quanto costa un progetto teatrale? Di tipo pratico: perché alcune opere si fermano e altre continuano a essere rappresentate? E anche di tipo personale: fin dove ci si può spingere per cercare di realizzare il sogno di vivere con questo mestiere? Quando si comincia a diventare patetici? Usciamo dalla sala emozionati e pieni di energia, e soprattutto con la voglia di dire grazie a questi sette grandi attori e gridargli: «Non mollate!»

Infine, fra gli spettatori che percorrono le strade della Città dei Papi, ci sono quelli che cercano begli spettacoli. «Dimmi dunque, straniero […] cos’è questo bello?» Le chien, la nuit et le couteau risponderemo a Socrate, una pièce di Marius von Mayenburg con la regia di Louis Arene. L’unico spettacolo di quest’anno che ci abbia fatto piangere. Non dalle risate nè dalla tristezza, semplicemente di bellezza. Non è solo il testo, nel quale ciascuna parola è di un’esattezza schiacciante, non sono solo i costumi e le maschere, la cui concezione è eccelsa, non è solo la recitazione mozzafiato dei dei tre attori (che all’inizio dello spettacolo credevamo cinque). Tutto in questo spettacolo è calibrato, calcolato, ponderato. Louis Arene pesca fra le risorse del cinema e trae vantaggio dal potere del teatro per sublimare allo stesso tempo i suoi attori e il testo, da questi declamato con una forza a cui è molto raro poter assistere. Così la colonna sonora (perchè è proprio quello di cui si tratta) e la voce del narratore (che ricorda quella di Gaspard Ulliel in È solo la fine del mondo) ci trasportano in questo raconto fantastico e cruento dove il sangue schizza a fiotti e il corpo si esprime nella sua interezza. Perciò sì, siamo a teatro e nulla si omette, nè si inquadra o si reinquadra. Il corpo da solo ci dimostra che non c’è bisogno di alcun artificio, esso stesso è il migliore degli effetti speciali e fa a gara per dare forma a un cane, un lupo, una donna innamorata, un mostro, un uomo fragile, un altro che avrebbe mangiato cozze in agosto. Magico e maestoso, François Praud ci lascia senza parole. Interpreta con brio M., un uomo ordinario che si ritrova immerso in un mondo di mostri affamati, diventando lui stesso un mostro. Un lavoro collettivo che non è asservito al testo bensì lo offre, come un regalo intellettuale, emotivo, sensoriale, ottenendo la più totale fusione dei sensi.  

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Translated from Théâtre : le très bon d'Avignon