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Summit dell’Eurozona: la solita solfa del cambiamento radicale

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Politica

Da tre anni siamo costretti ad ascoltare, leggere e capire le stesse parole, ancora e ancora. La crisi mondiale, il crollo dei mercati, la ricapitalizzazione delle banche e così via. Alla vigilia del summit europeo dell’Eurozona, i cui ambiziosi obiettivi sono già falliti, ecco qualche pista di riflessione sullo stato delle politiche economiche attuali.

Anche se in buonafede e dando l’impressione che fosse la cosa più legittima da fare, le misure prese dai governi e dalle istituzioni internazionali per attenuare i problemi finanziari hanno avuto come effetto la creazione di ulteriori rischi e uno stimolo ai problemi attuali e alle manifestazioni. “Dobbiamo prendere delle misure supplementari”, ha dichiarato il Presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, un’espressione che è diventata una sorta di mantra nelle lingue e nei documenti delle istituzioni dell’Unione europea. Dopo la riunione del Consiglio europeo di domenica, i dirigenti dell’Eurozona hanno tenuto una riunione di crisi per l’Eurozona, sapendo già che non sarà presa alcuna decisione decisiva. Germania e Francia hanno chiesto una riunione supplementare a Bruxelles che avrà luogo mercoledì 26 ottobre.

Sono passati tre anni da quando la crisi finanziaria mondiale ha realmente cominciato a mostrare i propri effetti tra il 2007 e il 2008. Lehman Brothers, Bear Stearns e altre istituzioni finanziarie che nei primi anni non si preoccupavano troppo del valore dei propri attivi, quando hanno rapportato i risultati trimestrali e versato premi importanti ai loro dirigenti, sono crollate. In tutto il mondo, i mercati di Borsa sono crollati e i governi hanno dovuto attuare rapidamente dei piani di salvataggio per rimettere in piedi le proprie istituzioni finanziarie e assicurare, per quanto possibile, la credibilità dei propri sistemi finanziari.

I grandi destinati al fallimento

In Europa, in alcuni casi, i governi hanno tentato di salvaguardare il risparmio dei depositanti, mentre in altri, hanno deciso di nazionalizzare le banche. Nel frattempo, le piccole e medie imprese e la gente della classe media hanno cominciato ad affrontare le conseguenze della crisi con ben poche possibilità di rifinanziare e salvare le proprie istituzioni finanziarie in difficoltà.

Islanda, Irlanda, Spagna, Portogallo, Grecia e Italia hanno fatto fronte (e fanno ancora fronte) a dei problemi maggiori di riforme economiche e politiche. I paesi industrializzati ricchi hanno dovuto cominciare a contemplare e hanno annunciato forti misure di austerità e di aggiustamento strutturale, che prevedano delle riduzioni sulle riforme pubbliche difficili, quindi  la messa in atto di misure che il mondo in via di sviluppo ha affermato con gli anni, cioè eliminare la discriminazione e rafforzare l’uguaglianza nelle transazioni commerciali. Un certo numero di misure sono state ugualmente abbordate per tentare di risolvere i problemi di deficit. Le spese elevate dei governi prima della crisi e l’incapacità delle imprese e degli individui di pagare le tasse durante la crisi hanno causato il crollo delle entrate fiscali e hanno generato problemi di evasione fiscale, rendendo così il deficit più difficile da contenere.

Il sogno dei filoeuropei e dei federalisti

Una delle risposte dell’Unione europea per il prossimo decennio è stata la promozione della crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Come una strategia di uscita dalla crisi, l’UE e i suoi Stati membri hanno incitato a fornire degli standard elevati per l’impiego, la produttività e la coesione sociale. Essenzialmente più occupazione, più innovazione e una migliore integrazione: il sogno di tutti i cittadini dell’UE e dei sostenitori dell’Europa. Sfortunatamente, queste iniziative, insieme a tutte le misure discusse e promosse sia a livello nazionale che internazionale, non hanno ottenuto la simpatia che volevano. I cittadini dell’UE si sono sentiti schiacciati, a partire dagli Indignati.

La caccia all’uomo è allora iniziata

Gli scioperi e le proteste sono diventati giorno dopo giorno routine e l’opinione pubblica generale ha cominciato a rigettare il populismo interno in materia economica. Viene reclamata una maggiore efficacia delle riforme strutturali che non riguardino unicamente la classe media, ma che esigano e obblighino le imprese più grandi, i ricchi banchieri e soprattutto i politici a fare uno sforzo vero per dividere il fardello del debito sovrano. La gente attraverso l’Europa ha cominciato a scendere in piazza e a far sentire la propria voce per gridare il malcontento riguardo allo stato dell’economia, alla posizione ingiusta i cui si ritrovano i giovani, alla loro mancanza di futuro o della possibilità di ottenere un prestito per acquistare una casa, per costruirsi una famiglia e per avere una pensione. “La gente ha ragione a essere arrabbiata”, ha scritto The Economist. Sì, lo è, sì lo siamo. Per il momento, però, direi. Che siano ispirati dagli Indignati di Madrid o dal movimento “Occupy Wall Street” di New York, i giovani e le persone di mezza età hanno mostrato la loro rabbia la settimana scorsa ad Atene, a Roma e nelle altre capitali europee, non solo contro la cattiva gestione dei propri paesi, ma anche contro le incurie del capitalismo.

Non la fine ma un bivio

Il capitalismo è stato il motore del recente aumento della crescita dei paesi del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) mentre tra i paesi industrializzati occidentali è stato abbordato come una delle principali cause della crisi finanziaria mondiale. Non è la sua fine, ma è evidente che dobbiamo rapidamente apportare un cambiamento importante rispetto alle politiche economiche attuali, alla cultura politica dominante e al modo in cui vogliamo che le generazioni giovani si prendano le proprie responsabilità. I cittadini hanno bisogno che venga detta loro la verità e non solo delle promesse difficili da mantenere. Allora spero che le persone non si sentano solo “indignate”, ma piuttosto che partecipino di più come “attori” e “consapevoli”, pronte a prenderne parte. Come ho già detto, lo spero.

Foto : (cc) lauren/flickr

Translated from Sommet de la zone euro : un changement radical comme monnaie courante