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Sufjan Stevens a Milano: "Scusate se tutte le mie canzoni sono tristi"

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Sufjan Stevens è tornato in Italia, il 21 settembre, dopo anni di attesa. E lo ha fatto con una data unica a Milano, al Teatro della Luna, trasportando il pubblico in un universo a metà tra l'autobiografia e la favola. Il concerto sold out è stato, infatti, l’occasione per presentare il nuovo album “Carrie & Lowell”, un ritorno dell'artista alla scrittura intimista ed alle sonorità soffuse.

Stevens è tornato per dirci che moriremo tutti. È questa la dolorosa verità che accomuna gli esseri umani, e l’artista lo sa bene. Il concept del suo nuovo progetto, infatti, prende il titolo dal nome della madre e del patrigno. Ed è proprio la difficoltà a rapportarsi al dolore provocato dalla scomparsa di Carrie, quella figura materna così controversa, a costituire il nodo centrale della poetica dell’opera. Un tour come “Carrie & Lowell” si traduce, allora, in una sfida universale, un esorcismo malinconico, che ferisce e fa sanguinare l’artista così come il pubblico che lo ascolta. Non è un caso, infatti, che Stevens abbia eseguito a Milano l’ultimo album nella sua interezza. Undici canzoni in cui vita e morte sono complementari e danno un senso alla bellezza ed all’oscurità dell’amore.

Fin dall’inizio la musica sembra provenire da un altro mondo. Il rosso soffuso che incornicia il palco del Teatro della Luna vira nel nero più assoluto per un istante, per poi risorgere, abbagliante, sotto forma di una luce che non si esiterebbe a definire come sacra. Sufjan e la sua band si stagliano davanti a dei pannelli luminosi, simili alle vetrate di una cattedrale. Dawn Landes e Casey Foubert sono pronti a seguire Stevens ed a trasformare la melodia in una vera e propria celebrazione già dalle prime note, fondendo l’intro di Redford (for yia-yia & pappou) a Death with Dignity.

Il silenzio è solenne, il pubblico è stregato. I quattro multistrumentisti che accompagnano l’artista sono tutti vestiti di scuro e si alternano alle varie postazioni con movimenti estremamente fluidi e precisi. Il suono è pulito, brillante. Alle loro spalle vengono proiettati splendidi scenari naturali e vecchi filmini casalinghi, andando a richiamare i temi più cari di “Carrie & Lowell”.

Sufjan canta il proprio manifesto sulla condizione esistenziale dell’uomo. Si copre il volto con le mani alla fine di ogni esecuzione, come a voler esaltare, più che celare, il dolore provocato dalla lotta interiore tra due forze complementari: la memoria e la perdita.

È la volta della splendida esecuzione di Fourth of July. “We’re all gonna die” canta una prima volta con serena accettazione. “We’re all gonna die” ripete, ed il suono diviene più denso, robusto. Poi i toni s’innalzano, si distorcono, e tra i tintinnii delle campane e le contaminazioni elettroniche l’affermazione risuona, al suo stadio finale, potente come un inno. Subito dopo No Shade in the Shadow of the Cross fa ripiombare il teatro nel silenzio più assoluto. Sufjan mette a nudo la propria anima, il suo essere fragile ed indifeso. La ferita è aperta e la carne è viva: “Fuck me, I’m falling apart”. E la platea trattiene nuovamente il fiato.

Stevens alterna pianoforte, chitarra e laptop. Il silenzio costituisce il perno centrale delle esecuzioni musicali. In due occasioni speciali, però, il cantante si lascia prendere la mano. La prima è Vesuvius, in cui la morte è ancora una volta presente “Sufjan, follow the path/It leads to an article of eminent death”. È con questo brano che entra in gioco una gestualità che diviene espressione del tumulto dell’anima, andando a combinarsi perfettamente con i suoni alieni dell’esecuzione musicale “Sufjan, follow your heart/ Follow the flame, or fall on the floor”. La seconda occasione è costituita da Blue Bucket of Gold, il cui preludio di matrice quasi ambientale collassa magistralmente in un infinito epilogo rumoristico.

Sufjan Stevens lascia il palco seguito dalla sua band. Lo scroscio di applausi è incessante, il Teatro della Luna è ipnotizzato.

Il ritorno in scena riporta con sé la sobrietà iniziale. Stevens, ora in camicia e cappellino da baseball, esegue al piano una splendida versione di Concerning The Ufo Sighting Near Highland, Illinois e manda il pubblico in visibilio. È a questo punto che l’artista, dopo più di un’ora di concerto, si rivolge per la prima volta al pubblico e lo fa per chiedere scusa: “Scusate se tutte le mie canzoni sono tristi”. Ma non c’è nulla di cui scusarsi, in fondo siamo tutti volontariamente e consapevolmente in quel teatro, e ci siamo proprio per addentare quel frutto così particolare che è la sua musica. Un frutto melodico dalla polpa ricca, ma sempre e comunque amara. Sufjan, infatti, parla apertamente di quanto la propria arte sia fondamentalmente catarsi e condivisione: “I feel we can combine our hearts and our minds”. Una maniera privilegiata di mettersi a nudo e donarsi al proprio pubblico, nella speranza di ricevere conforto ed amore in cambio.

Arriva il momento di sfoderare il vecchio banjo e di catapultare il Teatro della Luna in un’altra dimensione, quella appalacchiana di For The Widows In Paradise, For The Fatherless In Ypsilanti e quella dell’educazione sentimentale di The Dress Looks Nice On You. Segue una strepitosa Casimir Pulaski Day. Infine giunge il tempo dei saluti e la band si unisce a Basia Bulat, supporter di Stevens per la serata milanese, in una versione corale e malinconica di Chicago.

La standing ovation è scontata. Il pubblico ringrazia Sufjan Stevens per il viaggio compiuto, per la comunione ricevuta attraverso una musica che parla di fede assoluta nella bellezza e nella verità. Avvicinarsi al dolore, scottarsi e soffrire per poi guarire tutti assieme come un unico corpo, è questo il senso di una tournée come "Carrie e Lowell". Perché la musica di Sufjan Stevens è una musica totale che strazia il cuore mentre lo culla dolcemente. E no, non è diversa dall’amore, quello vero.

SETLIST

Redford (for yia-yia & pappou)

Death with dignity

Should have known better

Drawn to the blood

Eugene

John my beloved

The only thing

Fourth of July

No shade in the shadow of the cross

Carrie & Lowell

All of me wants all of you

The owl and the tanager

Vesuvius

Blue bucket of gold

Concerning the Ufo sighting near Highland, Illinois

For the widows in paradise, for the fatherless in Ypsilanti

The dress looks nice on you

Casimir Pulaski day

Chicago