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Rom in Italia: bersaglio (im)mobile

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Politica

Anche quest'anno in Italia la giornata internazionale dei rom e dei sinti, lo scorso 8 aprile, è trascorsa all'ombra dell'ennesimo trattamento differenziale.

L'ultimo capitolo della decennale storia di segregazione abitativa dei gruppi rom nel Bel Paese si è consumato a Roma, dove l'amministrazione cittadina ha de facto negato ai rom l'accesso alle case popolari, come recentemente denunciato dal Guardian.

Ancora una volta, un cavillo, nemmeno troppo sottile, inerente ai requisiti d'ammissione alle graduatorie, nega ai rom e ai sinti italiani la possibilità di uscire dai ghetti nei quali sono rinchiusi da trent'anni. Il bando per l’assegnazione delle case popolari, pubblicato a dicembre, pareva lasciare speranza ai circa 2500 rom reclusi nei campi della città, dando, almeno inizialmente, la priorità «alle famiglie che si trovano nelle situazioni di maggior vulnerabilità, ovvero di grave disagio abitativo”.

Pochi giorni dopo ecco comparire una puntualizzazione: «i richiedenti devono risultare ospitati in ricoveri temporanei". Ergo: niente rom, grazie, dato che i "campi nomadi" sono considerati strutture permanenti. Sostanziale continuità dunque, almeno in tema rom, tra la giunta Alemanno e la precedente. A coronare le geniali soluzioni di veltroniana memoria, tra cui vecchi sgombri e nuovi "villaggi di solidarietà", è arrivato il Piano Nomadi di Alemanno, con tanto di piantonamento armato e videosorveglianza dei campi, sempre oculatamente confinati ai margini della città.

Rom: un'anomalia italiana

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Continua così l'anomalia tutta italiana dei "campi rom" o "campi nomadi", strutture a metà tra il ghetto e il centro di detenzione a libertà vigilata. Sorti negli anni ‘60 come risposta improvvisata ed emergenziale da parte delle autorità locali a piccole migrazioni interne, moltiplicatisi negli anni ‘80, i "campi nomadi" sono divenuti un consolidato format di emarginazione spaziale che ha fatto del pregiudizio il suo racconto fondante. Il termine "nomade", inoltre, ha oggi ben poco a che vedere con le reali preferenze abitative dei gruppi rom-sinti.

stanziale è l’80% dei rom e dei sinti europei e in Italia gran parte di loro sono residenti da più di un secolo e almeno 80.000 hanno cittadinanza italiana

I rom d'Europa sono circa 12 milioni, 140mila in Italia, secondo le stime più accreditate. Accanto a storie di successo professionale ed economico (nelle quali spesso però i soggetti interessati occultano la propria origine rom per evitare discriminazioni), vi sono gruppi di rom estremamente poveri e riconoscibili, sui quali si concentrano violenze e pregiudizi. Li chiamiamo indistintamente "zingari" ma i rom e i sinti sono gruppi molto differenziati e ricchi di storia, che vivono in Europa da almeno 600 anni. Gruppi tutt’altro che nomadi: stanziale è l’80% dei rom e dei sinti europei. In Italia gran parte dei rom e dei sinti sono stabilmente residenti da più di un secolo, e almeno 80.000 hanno cittadinanza italiana. Altri provengono dalla ex Yugoslavia, dalla Bulgaria e dalla Romania, fuggiti da guerre e miseria.

Catalogati come "nomadi" sulla base di un vago nozionismo, segregati nei campi indipendentemente dall'origine, dalla lingua, dalla religione, i rom più poveri, privi della possibilità di acquistare un immobile dignitoso, sono costretti a vivere in recinti costruiti "ad hoc" con restrizioni della libertà individuale inspiegabili in uno stato di diritto (si pensi al coprifuoco o alla raccolta di impronte digitali).

I campi nomadi in Italia e in Europa

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Nella quasi totalità dei casi i "campi nomadi" rimangono gestiti da enti mediatori, spesso di carattere caritativo o religioso, mostratisi timidi nella richiesta di un completo superamento di questa inumana soluzione abitativa. In questi non-luoghi, regno dell'arbitrarietà, le condizioni abitative variano da un insediamento all'altro, così come le modalità di partecipazione ai costi. Trent'anni di servizi esclusivi, pratiche assistenziali, anche quando effettuate da operatori motivati e capaci, hanno ampliato la distanza fra rom e società maggioritaria. In questo quadro, le "innovazioni" proposte nel Piano Nomadi di Alemanno, come l'affidamento alla Croce Rossa dei servizi sociali e la creazione di presidi interni ai campi sosta dove svolgere attività didattiche, sembrano condurre verso una ulteriore radicalizzazione della separazione dei rom romani dalla società romana.

Sono pochi in Italia gli esempi di politiche abitative, rivolte a rom e sinti poveri, alternative al campo nomadi. Alcuni sparuti casi, tra i quali le soluzioni delle città di Venezia, Padova e Bologna, paiono però sufficienti a dimostrare quanto la dignità degli alloggi sia prerequisito necessario all'integrazione. Eppure, tali virtuose esperienze sono ancora lontane dall'essere adottate come modello di riferimento di una strategia nazionale omogenea.

Altrettanto semplice sarebbe prendere spunto da alcuni paesi europei dove il "problema" rom è stato ben gestito grazie a scelte volte alla garanzia d'eguaglianza. In Spagna, ad esempio, i gitani meno abbienti vivono in case popolari al pari d'ogni altro cittadino svantaggiato. In Germania, una legge riconosce i rom come "minoranza nazionale", a differenza di quanto avvenuto in Italia il 15 dicembre del 1999, quando la legge 482 escluse i rom e i sinti dalle 12 minoranze linguistiche riconosciute, impedendo a questi gruppi sociali di godere di importanti tutele.

Eppure qualcosa pare muoversi anche nel panorama politico italiano. In attesa di un governo e senza la minima illusione che il prossimo esecutivo voglia occuparsi seriamente delle condizioni abitative dei rom, resta la tenue speranza accesa dalla neo presidente della Camera, Laura Boldrini, che ha posto l'accento sulla necessità di includere i rom tra le minoranze tutelate in Italia, di favorire la conoscenza della loro storia e di permettere loro l'inserimento in case popolari in sostituzione ai "campi rom". Perché non può esistere integrazione dove resiste la segregazione.

Foto: © puffodrax/Flickr