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Referendum UE: tra disinformazione e crisi democratica

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Juri D'Olivo

Nel 1972 il primo referendum sull'integrazione europea ebbe luogo in Francia. Da allora, 40 referendum riguardanti l'UE sono stati discussi da stati membri e paesi candidati a farne parte. Gli argomenti sono vari: dalle questioni sull'adesione all'eurozona al salvataggio della Grecia. E se i referendum scatenano critiche, ci sono anche ragioni a favore del loro utilizzo.

I referendum hanno da sempre attirato critiche. Sulla scelta un po' semplicistica tra sì e no, ad esempio. È vero, di solito la complessità delle questioni trattate è difficile da racchiudere in una semplice domanda. Il suo risultato, sia esso positivo o negativo, può essere facilmente utilizzato per compensare la riduzione del potere delle scelte politiche. Può essere usato togliersi il peso di decisioni scomode, dal momento che la scelta ricade sulla "decisione popolare". Inoltre, un referendum, da solo, non rappresenta una vera e propria forma di democrazia se non è accompagnato da un sistema informativo per i cittadini che poi dovranno votarlo. Per la sua intrinseca mancanza di sfumature, il referendum tende ad avere un effetto fortemente polarizzante sulla popolazione.

Sebbene i difetti del referendum siano numerosi, si possono trovare anche dei pregi per questa forma di democrazia diretta. Ad esempio, si può considerare come uno sforzo per stimolare una riflessione su argomenti politici. In questo caso allora, il principale difetto, quello della semplicità della questione posta, può essere considerato un pregio. Molti cittadini che normalmente si tirerebbero fuori da questioni politiche opache e complicate possono così sentirsi mossi a dire la sua.

La costituzione europea

Nel 2005, i cittadini francesi e olandesi votarono contro la provvisoria Costituzione Europea che, di conseguenza, non venne mai ratificata. Il referendum nei Paesi Bassi fu consultativo, quindi non vincolante per il governo. Il referendum proclamò il 61,1% contro e il 38,4% a favore della Costituzione. Alla luce di questi dati si potrebbe pensare che gli olandesi siano un popolo euroscettico, ma il dato non è da leggersi semplicisticamente. È vero che molti olandesi hanno votato 'no' per contrastare la supremazia delle leggi europee su quelle nazionali. Ci si può giustamente chiedere se sia stato davvero democratico riscrivere la stessa Costituzione Europea ma con diverse parole.

Brexit 

Questo referendum è un esempio perfetto del problema della semplicità della domanda posta. Nessuno, nel caso avesse vinto il 'leave', ha chiesto i votanti se preferissero una Brexid 'dura' o 'morbida'. La scelta era semplicemente tra lasciare o rimanere, non c'era posto per alcuna sfumatura. La fazione del 'leave' è stata dipinta come un gruppo omogeneo, ma in verità è esattamente l'opposto. Inoltre, sembra che una fetta della popolazione non fosse adeguatamente informata sulle possibili conseguenze di un'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea, giacché la campagna si è concentrata sugli slogan piuttosto che sui fatti. Quindi, sì, possiamo ragionevolmente sostenere che molti britannici volevano che il Regno Unito abbandonasse l'Unione Europea, ma non va dimenticato che tali decisioni delicate sono state spesso condizionate da informazioni fuorvianti. Sono state fatte promesse difficilmente mantenibili durante la campagna, e senza alcun dubbio sono state queste a condizionare una larga fetta della popolazione. Un altro dato da analizzare è la distribuzione del voto rispetto all'età dei votanti. Essenzialmente, i giovani hanno votato per rimanere, i più adulti per abbandonare l'UE. Il risultato è stato una bella dose di frustrazione tra i giovani e il senso di essere stati "traditi" dalle generazioni precedenti.

Migranti

Un terzo referendum che rivela le debolezze dei referendum è quello che si è tenuto in Ungheria sulla propria quota migranti, nell'ottobre 2016. I cittadini sono stati chiamati a scegliere se fossero d'accordo sulla proposta di ricollocazione dei migranti dell'UE. La traduzione italiana della domanda è la seguente: "Vuoi che l'Unione Europea abbia il potere di ordinare la ricollocazione di cittadini non ungheresi in Ungheria, anche senza il benestare dell'Assemblea Nazionale?". Con il quesito così posto sembra che l'UE imponga oneri impossibili da sostenere all'Ungheria, quando non è così. L'Ungheria avrebbe "beneficiato" del progetto di ricollocazione, con 54000 rifugiati in Ungheria trasferiti in altri stati membri. Da questo si deduce quanto il quesito del referendum fosse più retorica e visibilità politica che vere e proprie domande per Viktor Orban. Questa macchinazione ha chiaramente funzionato visto che gli elettori ungheresi, quasi all'unanimità, hanno votato contro il piano di ricollocazione. Oltre alla disinformazione, questo referendum dimostra come i politici possano trarre vantaggi dai risultati delle urne. La "decisione della gente" sarà usata con gioia da Viktor Orban per ignorare le richieste dell'UE.

Come andare avanti?

La storia del "mostro-europa" che comanda i poveri e deboli stati membri è stata sfruttata da molti dei leader europei che hanno proposto un referendum. Il referendum è adatto ai voti di protesta quando, qualsiasi sia la questione in ballo, elettori disillusi sono disposti a votare qualsiasi cosa vada a svantaggio dell'UE. In più, è possibile che i referendum si trasformino in semi-elezioni, ciò si basa sul fatto che le politiche dell'UE sono troppo complicate e lontane dai bisogni degli elettori per poter fare qualcosa di concreto, e che porta i votanti a concentrarsi sugli affari interni. A questo punto sembra necessario trovare una nuova forma di partecipazione politica che racchiuda i vantaggi del referendum, come quello della mobilitazione popolare. Però, dovrebbe essere integrata da una visione più sfumata della forma partecipativa, dove i cittadini possano dire qualcosa di più che un sì o un no, ma siano anche incoraggiati a argomentare le proprie ragioni di voto. In questo caso, una mancanza di informazione, o peggio, la presenza di falsa informazione, potrebbe essere contrastata dall'opinione degli altri cittadini.

In questo modo, i cittadini non sarebbero più obbligati a scegliere tra bianco e nero, ma sarebbero piuttosto incoraggiati a esprimere opinioni, ascoltare, mediare e via dicendo. Il risultato di questi dibattiti tra rappresentati di diversi gruppi sociali potrebbe avere lo stesso risultato del referendum, ossia aiutare i politici a decidere su materie controverse, con ben in mente i problemi dei cittadini.

This article was originally published on the official website of Eyes on Europe. 

* | Eyes On Europe

Created in 2004 by a group of students, Eyes On Europe is an organization dealing with European affairs. Through their magazine and their website, they promote European citizenship and dialogue. For more information, check their Facebook page.

Translated from EU referendums: beyond desinformation and the democratic crisis