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Può l’Europa avere fiducia in Hamas?

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Marco Riciputi

Dopo la vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi gli europei si chiedono se si può trattare con terroristi democraticamente eletti. Ma, prima, sarebbe meglio sapere chi è Hamas.

Dopo la vittoria del 25 gennaio su Al-Fatah, Hamas ha preso il controllo dell’Autorità palestinese e il nuovo premier designato è Ismail Haniyeh. Il loro scopo principale è la fondazione di uno stato islamico sul territorio in cui oggi si trovano lo stato di Israele, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza.

L’Ue deve fronteggiare un dilemma: da una parte vorrebbe sostenere lo sviluppo delle strutture democratiche dell’Autorità palestinese; dall’altra, nel 2003 ha classificato Hamas come organizzazione terroristica.

1. Quali sono le origini di Hamas?

Nel 1967, durante la Guerra dei Sei giorni, i combattenti egiziani portarono nella Striscia di Gaza le idee che fin dal 1928 animavano l’organizzazione islamica dei “Fratelli musulmani”. Lo sceicco Ahmad Yassini, ucciso nel 2004 dall’aviazione israeliana, sviluppò la sezione dei “Fratelli musulmani” negli anni Ottanta per influenzare le organizzazioni islamiche presenti in Palestina.

Nel 1988 i combattenti armati si diedero un regolamento e il nome di Hamas, parola araba acronimo di Harakat al-Muqwwama al-Islmiyya (Movimento di resistenza islamico) che letteralmente significa “zelo, entusiasmo”.

2. Qual è la posizione di Hamas su Israele e gli ebrei?

Nello statuto di Hamas si ritrovano un violento antisemitismo e un richiamo all’Islam come fonte di legittimazione per la sua azione. Tutta la Palestina è considerata un regalo che Dio ha fatto ai musulmani. Si legge che ogni musulmano ha il dovere di combattere contro il “sionismo mondiale”(art. 32) e per la liberazione dal “occupazione giudaica” (art. 15) in Medio Oriente.

L’uccisione degli ebrei è giustificata con le parole del profeta Maometto che disse: «l’ora del giudizio arriverà prima se i musulmani combatteranno e uccideranno gli ebrei, in modo che gli ebrei si (…) nascondano e ogni albero e pietra possano dire: “Oh musulmano, o servo di Allah, dietro di me c’è un ebreo, vieni e uccidilo» (art. 7).

Si rifiutano le soluzioni pacifiche: «non ci sarà altra soluzione (…) al di fuori dello jihad» (art. 14). Jihad significa “sforzo, impegno”. Lo statuto parla del cosiddetto “piccolo jihad”, la guerra in difesa dell’Islam («solo il ferro può rompere il ferro», art. 36), sebbene sullo sfondo operi al contrario Hamas con il “grande jihad”, che si propone di combattere il peccato in ogni sua manifestazione nella vita di tutti i giorni.

3. Quali sono le attività di Hamas?

L’attività di Hamas si fonda su tre pilastri. Il primo è fomentare sollevazioni palestinesi di massa, fin dal 1988, anno della prima Intifada, tramite i cosiddetti Mujahidin e attentati contro i civili e i soldati israeliani. Su Wikipedia si legge che questi “combattenti dello Jihad” uccisero nella seconda Intifada, tra il settembre 2000 e il maggio 2003, oltre duecento uomini.

Secondo. Hamas controlla “enti di beneficenza” quali scuole, ospedali e istituzioni. Nella Striscia di Gaza ha coperto le mancanze delle infrastrutture sociali statali e per questa ragione ha acquisito popolarità tra la popolazione.

Il terzo pilastro è recente: la politica e, presto, il governo.

4. Chi finanzia Hamas?

Prima che Hamas salisse al potere, l’israeliano International Policy Institute for Counter-Terrorism gli attribuiva una «salda base finanziaria». Questo riceverebbe infatti finanziamenti non ufficiali da diverse fonti provenienti dall’Arabia Saudita, dai paesi del Golfo e dall’Iran, così come dai proventi della sua sempre più ampia rete di enti di beneficenza. Inoltre, anche molti musulmani donano ricche elemosine tramite la pratica della zekath. Da una parte queste offerte sono spese dalle organizzazioni per scopi sociali e dall’altra per finanziare i combattenti armati di Hamas.

Una volta al governo, Hamas dovrà fronteggiare un problema finanziario. Al momento Israele non versa all’Autorità palestinese gli importi spettanti dalle tasse e dai contributi doganali, pari a 55 milioni di dollari americani. Soldi che serviranno con urgenza per il pagamento degli stipendi dei 160.000 impiegati pubblici palestinesi.

5. L’Ue dovrebbe collaborare con Hamas?

La linea politica dell’Ue verso il Medio Oriente si basa sulla richiesta di “due stati” e la condanna del terrorismo. Per questo l’Ue si trova in netto contrasto con gli scopi di Hamas, poiché continua a rifiutare di deporre le armi e a non riconoscere lo Stato di Israele. Dovrebbe quindi smettere di versare alla Palestina i 610 milioni di dollari annui?

La risposta è un doppio no. A partire dalla seconda Intifada l’economia palestinese si trova in uno stato di depressione: servono soldi per affrontare il problema dei profughi, per i libri delle scuole e per la formazione professionale dei funzionari. Servono aiuti per creare anche una modesta prosperità utile a promuovere la democrazia. Inoltre gli aiuti sono anche un mezzo per influenzare ed addomesticare Hamas: è meglio, infatti, tenersi buono chi ti foraggia. La minaccia di ritirare i fondi può essere esercitata solo se l’Ue resta convinta dell’importanza che rivestono gli aiuti ai palestinesi. Altrimenti potrebbero intervenire altri paesi islamici. Con priorità molto differenti.

Translated from Können die Europäer der Hamas trauen?