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Prova del fuoco per la Turchia europea

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Default profile picture daniele melli

Dopo decenni di stallo la Turchia passa all’attacco. Cambiando posizione, presupposti e carte in tavola. Dopo Atene e Nicosia, Ankara punta a Bruxelles.

1995: l’Unione Europea accetta la candidatura cipriota. E la Turchia ottiene, per ingoiare il rospo, un’unione doganale venduta e percepita come un primo passo verso l’adesione.

Il legame tra la soluzione del conflitto cipriota e l’adesione della Turchia è dunque fissato per sempre. Ma da una parte e dall’altra le retoriche ufficiali continuano a proclamare l’indipendenza delle due questioni. Fino al novembre 2003, quando Bruxelles finisce per riconoscere che il mantenimento dello status quo sull’isola costituisce un serio ostacolo alla prospettiva dell’adesione turca.

La tattica europea, spinta dall’abile diplomazia greca, consiste in due punti:

1. Costringere la Turchia a fare delle concessioni per spingerla a una soluzione esercitando pressioni continue: dall’accettazione della candidatura cipriota (1995) al riconoscimento dell’entità greca come la sola legittima al momento dell’entrata nell’UE (2004). Dopo tutto, Ankara come potrebbe pensare di aderire a una struttura in cui non riconoscerebbe uno dei membri? Senza dimenticare i circa venti miliardi di dollari d’indennizzo da versare nel caso di un fallimento delle trattative.

2. Assicurarsi dello status quo attraverso un atteggiamento asimmetrico: avvicinarsi a una soluzione riconoscendo di fatto una sola autorità legittima sull’isola è una condizione inaccettabile per Rauf Denktas, il leader cipriota turco, così come per i suoi alleati in Turchia tra i militari ed i conservatori. Questo corrisponderebbe più o meno a far tornare nuovamente i Turchi di Cipro sotto sovranità greca.

In questo modo la parte greca può sostenere qualsiasi tipo di posizione visto il rifiuto assicurato di una Turchia il cui punto fermo è sempre stato quello di giustificare lo sbarco e l’invasione del 1974.

La diplomazia greca presa in contropiede

Fino a quando, un bel giorno, Ankara non comincia a voltare pagina dopo trent’ani di stallo. E questo per diverse ragioni:

1) L’avvicinarsi delle scadenze europee: dopo due anni di profonde riforme, la Turchia è cosciente del fatto che il suo destino europeo si gioca a dicembre di quest’anno, quando l’UE deciderà se dare o meno il via ai negoziati di adesione.

2) I primi effetti delle riforme applicate in Turchia contro il potere eccessivo dello Stato maggiore dell’esercito: il Consiglio di Sicurezza Nazionale (MGK), vera e propria istituzione principe da un punto di vista decisionale del paese che comprende i capi dei corpi d’armata e i principali ministri, ora si riunisce solo a mesi alterni. Su Cipro, l’ultima riunione del MGK (23 Gennaio) non ha fatto altro che registrare la differenza delle posizioni in campo tra la diplomazia e lo Stato maggiore, diretto dal Generale Özkök, un uomo di grande moderazione. “Il MGK non è un’istituzione che decide”, dichiarava il vice primo ministro, Abdullah Gül, il cui partito era stato cacciato dal potere nel 1997 da questo stesso organo. Il cambiamento è così significativo che la stessa diplomazia greca non aveva previsto questa opzione.

3. Da ultimo, la vittoria storica della sinistra turca a Cipro alle elezioni legislative di dicembre scorso e la formazione di una coalizione basata sull’obiettivo di una soluzione da qui a maggio 2004. Tutto ciò non può che contribuire a una revisione dello status quo. E’ quanto lo stesso Rauf Denktas riconosceva all’indomani del voto.

Referendum: un testo "ridotto"

All’inizio di quest’anno Ankara passa dunque all’attacco: le recenti aperture turche, favorevolmente accolte da Kofi Annan così come da Bush, hanno preso in contropiede la parte greca.

Ankara s’impegna a riprendere i negoziati al più presto enunciando una serie di proposte:

1. Accettare le condizioni drastiche di Kofi Annan (tra cui una scadenza per un referendum e la competenza ONU per la redazione delle parti più sensibili dell’accordo alla vigilia di questa data) in modo da obbligare la parte greca a prendere le proprie responsabilità col rischio di vedere limitata la propria rappresentatività sull’isola (rappresentatività da lungo legata alle sue buone intenzioni supposte).

2. Arrivare ad una soluzione rapida prima del 1° maggio 2004 senza però rimettere in discussione i diritti dei turchi di Cipro : cioè accettare un referendum su un accordo di principi, un testo “ridotto” e quindi negoziabile durante i rimanenti mesi per lasciare la gestione dei dettagli a dei negoziati successivi sotto supervisione dell’ONU.

3. Provare a subordinare una soluzione alla propria adesione all’UE: lasciando il negoziaziato e l’applicazione dei dettagli del piano di pace al periodo successivo al 1° maggio, e dunque per il (lungo) periodo dell’adesione turca. Un insieme di proposte che Atene, in piena campagna elettorale, e Nicosia, rivolta all’orizzonte vittorioso del 1° maggio, per ora continuano a rifiutare.

Quello strano silenzio dell'UE

Rimane da sapere quale sarà l’atteggiamento dell’ormai troppo silenziosa Unione Europea su questo argomento, perché, qualunque siano le posizioni di Stati Uniti e ONU, è Bruxelles che rappresenta la chiave di volta dell’intero processo.

Il tutto se si accetta la buona fede delle intenzioni turche, e la proposta di un calendario serrato di negoziati per raggiungere un accordo-quadro da qui al 1° maggio – accordo che si impegnerebbe a garantire per la promessa di una apertura dei negoziati con la Turchia. O applicando la buona vecchia politica del « laissez faire, laissez passer »

E rendendo impossibile, in pratica, un accordo per maggio: fatto che rimanderebbe la prospettiva di una soluzione e complicherebbe di molto le relazioni turco-cipriote e turco-europee. Perché, come dichiarava Murat Yetkin nel quotidiano Radikal del 6 novembre scorso, “una soluzione a Cipro non è immaginabile se non all’interno di un sistema a due equazioni (UE/Turchia) e due incognite (Cipro-negoziaziati d’adesione)”.

Ma l’Unione Europea è pronta a formulare la propria equazione?

Translated from Epreuve du feu pour la diplomatie turque