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"Places" di Lou Doillon, davvero una bella copertina

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Cultura

Places, l’album del rientro dalle vacanze. Lou Doillon, attrice e modella, si è convertita recentemente in cantante-compositrice. Considerata arrogante, tacciata come «figlia di» (Jane Birkin e Jacques Doillon), Lou si difende come può dalle critiche. Ma questo non ha impedito a un italiano reazionario e a una tedesca semi-convinta di darvi il loro parere.

Federico: non ne hai abbastanza di queste figlie di papà, che non sapendo cosa fare durante la giornata si mettono a cantare, come se comprassero un nuovo paio di scarpe?

Katharina: quindi? La figlia di Jane Birkin non ha il diritto di fare carriera nella musica? Dovrebbe rinunciare al suo talento, per rimanere casalinga? Invece che parlare sempre della sua biografia, parliamo della musica. Il suo primo album (Places, pubblicato da Barclay, settembre 2012) mi ha piuttosto sorpreso. L’ho ascoltato diverse volte e alcune canzoni come «I.C.U.» o «Devil or Angel» mi sono piaciute molto.

F: infatti, penso che lo stesso Jane Birkin non avesse il diritto di romperci i timpani con la sua voce inesistente. Ho l’impressione che il caro vecchio Serge (Gainsbourg, ndlr) ci abbia fatto pagare troppo caro il suo talento, imponendoci le sue concubine che non avevano che il merito di vivere nella sua ombra: da Brigitte Bardot a Lemon Incest con la figlia Charlotte – che del limone ha solo l’acidità di una voce immatura – che secondo me ha dovuto far ammalare il povero Beck l’anno scorso. E per ritornare all’album di Lou Doillon, lo trovo molto noioso. Che cosa ha di nuovo da offrire?

K: senti, forse il ritmo si perde verso la fine – e la canzone-titolo («Places») ha qualcosa di deprimente. Ma Doillon dimostra di avere charme, in questo album folk-malinconico: pensa al timbro di voce, allo stesso tempo rauco e sensuale, un po' alla Patti Smith, un po’ alla Winehouse

F: sì, certo… si ispira a Amy Winehouse, che si ispira a Sarah Vaughan, che si ispira a Nina Simone, che si ispira a Ella Fitzgerald. Cosa c’è di originale in lei?

K: non esagerare, ogni artista ha i suoi modelli. Inoltre, non dimenticare che ha scritto questo album da sola e che fa musica da diversi anni.

Federico: "certo, per gli stessi che lavoravano con Léo Ferré. Che vergogna!"

F: non mi sorprende che lo abbia scritto da sola. Guarda i titoli: «Jealousy», che nome originale! E come fai a non innamorari del ritornello della canzone di apertura: «and I see you in every cab that goes by, in the strangers at every cross roads, in every bar». Ah! Quando penso che è la stessa casa discografica che produceva Léo Ferré, che vergogna!

K: ah sì ? Eppure l’altro giorno ascoltandola mi avevi detto che ti piaceva questa canzone. Sei sempre lì con le tue menate intellettuali, come parecchi francesi che studiano tutto talmente a fondo da distruggere qualsiasi spontaneità artistica. Questa ragazza riesce a combinare due cose che alla fine funzionano: il suo lato France Gall da piccola francese alla moda e la lingua inglese, che è perfetta per conquistare il mercato internazionale. La musica non si ferma a Léo Ferré.

F: ok, questa canzone non è male, ma il fatto è : quanti buoni musicisti sono capaci di scrivere delle belle canzoni come questa ma non hanno i soldi necessari per produrla? E poi basta con la storia che per avere successo bisogna essere belli. Io voglio della buona musica, delle storie forti da raccontare e non dei «Places» freddi e ben disegnati, costruiti da case discografiche che si comportano come degli architetti del nulla… (sic).

K: e come spieghi che la maggior parte della critica francese ha scritto solo bene di questo primo album («un timbro di voce dalla eleganza scheggiata», «impressionante», «la sorpresa musicale più bella»)? Non male come inizio di carriera,  rispetto ad altre «star» convertite (Mélanie Laurent, Christophe Hondelatte ecc.) La lista è lunga…

F: io guardo al significato di questo debutto di carriera. Del resto credo sia quello che ha meravigliato i critici: la copertina dell’album. Disegnato molto bene, con una foto molto bella, un ottimo materiale, ecc… La vera sintesi di questa opera in effetti: un contenitore senza contenuto.

Foto di coeprtina: © Katharina Kloss e Federico Iarlori ; testo: cortesia del sito ufficiale e della pagina Facebook di Lou Doillon; video: (cc) UniversalMusicFrance/YouTube.

Translated from Places de Lou Doillon : la cantatrice (im)pitoyable