Participate Translate Blank profile picture
Image for Persi nella Belle époque: Palermo ritrova il Villino Florio

Persi nella Belle époque: Palermo ritrova il Villino Florio

Published on

Palermo

Il 9 gennaio ha riaperto il Villino Florio all'Olivuzza. Ogni giorno dal lunedì al sabato e ogni prima domenica del mese, dalle 9 alle 13 si può visitare la residenza della famiglia più in vista della Belle époque palermitana, testimonianza della grandezza siciliana nel mondo. La città si riappropria, finalmente, di questo gioiello del Liberty. 

È venerdì mattina, il traffico caotico è un susseguirsi di clacson e imprecisabili sonorità metropolitane, il sole splende e riscalda la mattina anche se è fine gennaio, cosa niente affatto strana da queste parti. Ciò che invece risulta inconsueto è che addentrandosi nel quartiere dell'Olivuzza il rumore del traffico sembra farsi più lontano. Arrivati in Viale Regina Margherita, a interropere la banalità delle palazzine tutte uguali, apre i suoi cancelli il Villino Florio, piccolo gioiellino del liberty solitamente negato ai cittadini. A visitare il villino, pochissima gente: un paio di coppie finalmente in pensione che si godono la città e qualche appassionato di fotografia che con la sua reflex cerca di catturare la memoria di una bellezza intenta a riemergere. 

L'incendio

Villino Florio al suo interno risulta un po' spoglio. Grandi spazi vuoti e pochi arredi non riescono a colmare un vuoto che sa di cenere. Le guide, senza molte informazioni da dare ma con tanta buona volontà, portano l'attenzione dei visitatori su un evento che ha segnato per sempre il destino di questa residenza dalla storia affascinante: l'incendio di orgine dolosa (si pensa a scopo speculativo) che nel novembre del  1962, quando la Belle époque ormai era finita da un pezzo, distrusse quasi del tutto gli interni, assestando un durissimo colpo anche a parte delle mura esterne. Vennero distrutti, tra altri inestimabili beni culturali, le pitture decorative di Ettore de Maria Bergler e Giuseppe Enea, i mobili di Ducrot e le vetrate di Salvatore Gregorietti.

A imperitura memoria di ciò che distrusse ricordi e pezzi di storia, vi sono alcune parti del tetto, un corrimano nel piano sotterraneo e un camino con i segni indelebili dell'incendio. Ma emergono qua e la anche decorazioni superstiti che s'intrecciano vivaci come una volta, e nell'atmosfera sospesa pare di poter udire ancora la musica del grammofono, il fruscio dei vestiti di Donna Franca Florio, i passi decisi di suo marito Ignazio, le grida dei loro figli, la loro pelle chiara come le perle del leggendario filo di sette metri che Ignazio regalò a Donna Franca per farsi perdonare le sue infinite scappatelle.

La famiglia Florio

Ci si sente come ospitati in una favola: c'era una volta la famiglia Florio, di origini calabresi che piano piano, partendo da una piccola bottega di spezie a Piazza Garraffaello, diventò una delle famiglie più influenti dell'Europa della Belle époque. La storia imprenditoriale dei Florio – che possedevano una flotta formidabile, una fonderia, numerose tonnare e vigne da cui produssero il Marsala, il vino che fece il giro del mondo – è però una solida realtà storica che regalò il salto di qualità ad un'intera città, grazie a un fiuto per gli affari e un'apertura verso l'estero e il futuro che li consacrò come i signori della Palermo magnifica di fine Ottocento. Una storia di grandezza siciliana incomparabile, che favorì un deciso sviluppo economico e commerciale.

È a quella città in piena fioritura, con le vie inondate di carrozze e inebriate dal profumo delle botteghe di caffè e dal suono dalle operette, che risale Villino Florio: abbandonata la casa piccola e fortunatissima di via dei Materassai, la storica famiglia si trasferì nella villa che Ernesto Basile progettò per loro all'Olivuzza, realizzandola tra il 1899 e il 1902.

Il giardino 

Nell'enorme giardino con annesso laghetto, teatro delle passeggiate di Ignazio, Donna Franca e gran parte dell'aristocrazia europea dell'epoca (sembra persino che venne ospitato il Kaiser Guglielmo II), oggi si raccolgono i frutti del duro lavoro della Soprindentenza per i beni culturali e ambientali di Palermo. Dopo una serie di peripezie prevalentemente burocratiche, durante i restauri si è scelto di abbattere gran parte degli alberi del giardino «per seguire una sorta di percorso filologico», come dichiarato dall'architetto Marilù Miranda, e «che privileggiasse soltanto le piante originarie del villino».

L'interno, invece, è il trionfo del liberty e dell'art noveau, sapientemente contaminato da elementi architettonici di varia ispirazione, che Basile volle inserire in omaggio ai viaggi dei componenti della famiglia, come i bugnati rinascimentali o le torrette di ispirazione francese. 

.

Dal 9 gennaio, al civico 38 di viale Regina Margherita si può liberamente visitare tutto il villino, dal "piano degli svaghi" a livello del parco, dov'era collocato il biliardo, al "piano di rappresentanza", con il grande salone e la sala da pranzo, fino al "piano di residenza", dove si trovavano la stanza da soggiorno e la camera da letto. 

Suggestioni in libertà

La fantasia viaggia veloce verso agli uomini aristocratici che parlavano di affari mentre giocavano a biliardo. Sembra quasi di sentire la puzza di sigaro ispirare le idee che animavano il periodo più bello della città, mentre le donne al "piano di rappresentanza" parlavano tra loro e ammiravano i gioielli (tutti rigorosamente provenienti dalla bottega di rue de la Paix numero 3 di Cartier a Parigi) di Donna Franca. Si diceva che fosse una donna bellissima: Gaetano Basile scrive che era così bella che in città per definire una donna dalla bellezza notevole ancora oggi si usa l'espressione: «Cu è?... Franca Florio?». 

La visita, e con sè la sospensione fantastica, finisce. Fuori dal cancello Palermo torna ad essere il solito rumoroso, disordinato e fervente cumulo di vita. Due ragazzi fischiano alla macchina e chiedono: «Cucì, ma qual è sta villa?», mentre il rombo dei motori sembra quello della leggendaria Targa Florio. Ci si mette un po' a non sentirsi più in un'epoca lontana e bellissima.