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Perché dobbiamo difendere la corrida de toros

Published on

Sevilla

«La historia del toreo está ligada a la de España, tanto que sin conocer la primera, resultará imposible comprender la segunda» José Ortega y Gasset

Nelle ultime settimane si è tornati a dibattere riguardo le corride in Spagna. Podemos propone di abolirle, altri partiti, PP in primis, le difendono, quasi tutti si schierano seguendo presunte posizioni ideologiche, alcuni si chiedono se sia lecito abolire quest’antica tradizione, altri vogliono vederci più chiaro di quanto non facciano i politici che strumentalizzano la fiesta nacional.

La corrida de toros non è un evento politico quanto piuttosto una festa popolare. Però se vogliamo farne un discorso politico possiamo, arrivando a sovvertire i luoghi comuni che la riguardano e ad affermare che questa è si una festa politica, una festa di sinistra.

La globalizzazione, anche intesa come occidentalizzazione forzosa del mondo intero, tende ad eliminare le tradizioni locali e a creare un modello unico di mercato globale. Vestirsi, mangiare, divertirsi, viaggiare tutti allo stesso modo, seguendo le stesse formule. La libertà di scelta vacilla e il libero arbitrio, sia dei popoli sia dei singoli cittadini, sembra perdere il poco terreno che gli rimane. A tutto questo si oppone la fiesta nacional.

Spesso considerata un fenomeno “di destra”, appannaggio della grande nobiltà e dei reali, la corrida si presenta semplicemente quale forte componente identitaria di tutta la penisola iberica. Come afferma il matador Sébastian Castella “se dovessimo eliminare le corride si dovrebbe cambiare il nome alla Spagna” oppure, ricalcando la passione taurina del filosofo Ortega y Gasset “la storia della Spagna e quella della corrida sono legate, tanto che senza conoscere la prima non si può comprendere la seconda e viceversa”.

Da straniero, astraendomi dalle politiche del PP e di Podemos e sapendo che generalmente dove ci sono interessi c’è sempre politica, considero la fiesta nacional un fenomeno caratteristico e culturale interessante. Ho avuto occasione di vedere svariate corride, ad Arles, Béziers, Zaragoza e Madrid. Sono espressioni popolari, moti di vivacità legati al costume locale, come la pizzica in Puglia o i Pupi in Sicilia. Non hanno nulla a che vedere con la politica in senso stretto, come il calcio o la vela. Nelle plazas si incontrano persone di tutte le realtà sociali e culturali, banalmente legate dalla passione taurina, dalla voglia di godere dello spettacolo per i locali e di capire un fenomeno prima di giudicarlo per i forestieri.

La corrida de toros è un'arte complessa, avente le sue caratteristiche, i suoi tempi, riti e dinamiche. La prima corrida a cui si assiste è depistante, non si capisce nulla, chi fa cosa, quanti tori partecipano allo spettacolo, cosa significa “tercio” e perché si espongono fazzoletti aventi colori diversi o orecchie e code di toro alla fine dell’atto.

La verità è che si tratta di una tradizione millenaria che richiede un certo impegno per essere compresa a pieno nel suo significato. Quando gli antitaurini tacciano di ignoranza gli aficionados, non solo dimenticano la passione taurina di tanti grandi intellettuali del passato e del presente, ma fingono di non sapere che la piena fruizione dello spettacolo necrofilo per eccellenza passa proprio attraverso lo studio. Fingono di non sapere che l’eventuale annullamento de “los toros” in Spagna equivarrebbe ad un appiattimento culturale globale, ad un’idea unica di tradizione, di giusto e sbagliato, di bello e brutto, buono e cattivo.

Story by

Bernardo Bertenasco

Venuto al mondo nell’anno della fine dei comunismi, sono sempre stato un curioso infaticabile e irreprensibile. Torinese per nascita, ho vissuto a Roma, a Bruxelles e in Lettonia. Al momento mi trovo in Argentina, dove lavoro all’università di Mendoza. Scrivo da quando ho sedici anni, non ne posso fare a meno. Il mio primo romanzo si intitola "Ovunque tu sia" (streetlib, amazon, ibs, libreria universitaria)