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Palestina e Gilad Shalit: quando il Consiglio d'Europa è sul pezzo

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signoradirettore

Politica

I deputati dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa sono i guerrieri dei diritti umani. Nella pratica, votano risoluzioni che nessuno applica. Ma lo scorso 4 ottobre, quando la questione palestinese ha fatto capolino, l’Europa era sul pezzo.

All’improvviso, si è alzato in piedi. Vestito di grigio, fazzoletto bordeaux nel taschino, capello alla Jean-Louis Borloo (l’ex-candidato alle presidenziali francesi, ndr): «E' un messaggio forte e chiaro per il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. I Palestinesi chiedono solo quello che tutti gli altri hanno già: un luogo dove sentirsi a casa propria». Quattro minuti. Mike Hancock (Libdem inglesi) si risiede. Tocca a Annette Groth. Incontenibile, la deputata tedesca del Die Linke se la prende sia con gli Stati Uniti, per aver avuto la faccia tosta di minacciare l’Autorità Palestinese di mettere fine agli aiuti, se Abu Mazen avesse chiesto lo statuto di Stato Membro dell’ONU, che con la Germania, per aver chiesto ai Palestinesi di ritornare velocemente al tavolo dei negoziati. Rimane solo un minuto. Velocemente, Annette ritorna sull’orrore dell’apartheid israeliano e la disperazione che pervade i palestinesi: «Israele è legato al Consiglio d’Europa. Dobbiamo dire loro che non è così che otterranno la pace». La luce rossa si accende. Quattro minuti. Avanti il prossimo. E così per tre ore. Il tutto condito da numerosi appelli sulla necessità di salvare il soldato Shalit (liberato martedì 18 ottobre).

Il Consiglio d’Europa era sul pezzo. Il 5 ottobre, 13 giorni prima della liberazione di Gilad Shalit e le conseguenze che ciò ha avuto sulle relazioni arabo-israeliane, un mese prima che l’Unesco riconoscesse la Palestina come Stato membro, l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa si è pronunciata. Mentre l’Europa si è divisa sul voto dell’Unesco (la Germania ha votato contro, Londra e Roma si sono astenute, la Francia ha votato a favore con Spagna e Grecia), Strasburgo si è espressa all’unanimità.

Relazioni pubbliche e incendi boschivi

Un atto storico, positivo. Eppure, i giornali l’hanno vista diversamente : "Dopo New York è a Parigi che si gioca il futuro della Palestina", si legge sul settimanale francese Le Point. Come? Non a Strasburgo? L’Unesco ha quindi più autorità del venerabile Consiglio d’Europa? "Il Consiglio d’Europa farebbe meglio a concentrarsi sui temi su cui si basa la sua ragion d’essere: i diritti dell’uomo e la democrazia. Perché, sinceramente, ritrovarsi a statuire sugli incendi boschivi…”. Göran Lindblad non ha peli sulla lingua. Oggi membro onorario del Consiglio d'Europa e consulente sui diritti umani, che passeggia all’interno della cinta del Consiglio in attesa di una collega del Tagikistan, che è sempre in ritardo, ha passato sette anni al Palazzo d’Europa di Strasburgo. Che cosa ha scoperto quest’uomo alto, magro e calvo, sotto la moquette verde del Consiglio? Il bisogno di muoversi per non pensare troppo. «Si deve fare una vera e propria opera di pubbliche relazioni, creare dei contatti al di fuori delle sessioni parlamentari, perché altrimenti si parla, si parla, ma senza avere gli strumenti per concretizzare…perché gli Stati membri se ne fregano». Attenzione, lo svedese non è disincantato, solo realista. Se occorre ripensare l’organizzazione del Consiglio d’Europa, cosa proposta dalla riforma del Consiglio d’Europa di giugno 2011, è «perché la Corte europea dei diritti dell’uomo diventa sempre più importante. Ed è una cosa positiva. Quando vedo il dibattito sulla Palestina o sulla lotta contro la pedofilia, mi dico che è di queste cose che dovrebbe occuparsi il Consiglio. Dobbiamo ridurre il numero di comitati e concentrarci sui diritti dell’uomo. Altrimenti, rischiamo di uscire dal nostro limite di competenza».

Il venerdì pigro

"Si parla, si parla, ma senza avere gli strumenti per concretizzare…perché gli Stati membri se ne fregano".

E quanto ad assiduità? In sessione plenaria, molti dei 318 posti sono vuoti e tra quelli occupati, alcuni giocano con il loro iPad, altri con il loro iPhone, mentre pochi seguono gli interventi e preparano il proprio. Visto che le risoluzioni dell’Assemblea Parlamentare non hanno alcun impatto concreto, pochi sono i rappresentanti che assistono alle votazioni. «Venga il venerdì mattina e vedrà: a volte, ci sono solo 15 persone che prendono parte al voto! E la maggior parte sono scandinavi» racconta Göran, impietoso. Già prima delle elezioni del 2009, Flavien Deltort, un ex assistente parlamentare dell’eurodeputato del partito radicale italiano Marco Cappato, aveva infastidito qualche eurodeputato pubblicando un’analisi approfondita del tempo di presenza al Parlamento Europeo. «Non voglio fare criticare l'utilità del Parlamento, ma semplicemente stigmatizzare alcune tendenze diffuse», aveva detto.

C’è un pilota a bordo?

Lungi dal fare puro "antiparlamentarismo", l’ex commissario degli affari esteri dell’Assemblea parlamentare del Consiglio si diverte a lanciare delle provocazioni davanti a un giovane giornalista, abbandonando a poco a poco l’apparente solennità che traspare dai discorsi e dai volti dei suoi ex colleghi. La sessione plenaria comporta infatti uno strascico di autocompiacimento, politichese e buone intenzioni. Ma prendere decisioni solo simboliche, a lungo andare, è frustrante. Tanto che l’Unione Europea sta cercando di rimpiazzare questa venerabile istituzione. «La creazione di un’Agenzia europea dei diritti fondamentali dell’Unione Europea a Vienna è un incomprensibile doppione. Ci chiediamo dove vogliano arrivare!» Ah, l’Unione Europea, degna concorrente. Mentre a Göran tocca prendere un volo con scalo a Parigi per venire a Strasburgo ed è costretto a temporeggiare nella sala lounge di Roissy: «Quando ci sono le sessioni del Parlamento europeo, vengono organizzati voli di linea...anche per le prostitute!» Per sua fortuna, da quando è consulente, Göran lavora per entrambe le istituzioni.

Foto : home-page (cc) coma_wink/flickr ; Testo : ©Emmanuel Haddad

Translated from Conseil de l’Europe : tes droits de l’homme, avec ou sans riesling ?