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Palermo ha il suo presidente ma...

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Palermo

I palermitani celebrano il primo presidente della storia con grande entusiasmo e calore mediterraneo, ma cosa cambia per la città? [opinione]

Da via Libertà 66 al Quirinale. In una fredda giornata di gennaio Palermo si è svegliata magicamente con un presidente in più e qualche sventura in meno. Sergio Mattarella, il vecchio democristiano riservato e "con la schiena dritta" sarà il dodicesimo Presidente della Repubblica, primo siciliano a guidare il Colle “direttamente”, come sottolinea maliziosamente il genio di “Spinoza”. È arrivato in punta di piedi in una corsa con pochi reali contendenti e in una partita senza storia. Non è un mistero che fosse la migliore delle offerte possibili in quei sottili equilibri di palazzo che tanto ricordano quella prima Repubblica. Come dice Crozza, "l'uomo giusto al momento giusto, 30 anni fa".   

E a casa sua, in una Palermo affaticata, ma mai rassegnata ad un ruolo di capitale dimezzata del Sud e della storia antica del Mediterraneo, si respira un’aria di eccitazione. Dalla facoltà di giurisprudenza, fucina della politica sicula post-unitaria ai vicini di casa, dai palazzi del salotto cittadino del quartiere Libertà alle putìe che sognano di regalare i cannoli e le arancine al presidente, tutti festeggiano una figura che riaccende nei cuori la speranza. Nella Sicilia eterno laboratorio politico pirandelliano, tutti, da Orlando a Cammarata, dal “partito dei siciliani” a Crocetta, da Zamparini al parroco Don Alerio Montalbano, plaudono alla sua elezione. E improvvisamente dell’uomo politico che molti non avevano mai sentito parlare in pubblico, sappiamo tutti i particolari, in attesa che qualche astuto commentatore fiuti l’affare e ne pubblichi la biografia e la storia.

Già, ma cosa guadagna il capoluogo siciliano da un’elezione arrivata in modo quasi inaspettato dopo l’annuncio-diktat di Renzi? Da domani il destino della città che in un decennio ha perso circa 30 mila abitanti prenderà una strada diversa? L'avvento di un presidente palermitano illuminerà un'antica capitale che brancola nel buio e che nelle cronache nazionali finisce solo per la mafia e la trattativa, o per le storie fantozziane della Trinacria sprecopoli?  

Si sa, la storia dell’isola è dominata da quello strano orgoglio siculo-trionfalista, lo stesso che celebra con grande passione due vittorie consecutive dei rosanero e che sparisce non appena si presenti la minima difficoltà. Come non essere allora d’accordo con lo storico Giuseppe Carlo Marino quando dice a Repubblica Palermo (4 febbraio 2015) che “l’elezione di Mattarella è bella, ma se una battaglia è stata vinta è una battaglia d’immagine e Palermo è piena di battaglie d’immagine ma sconfitte di realtà”. O ancora: “perché le figure di Grasso e Mattarella abbiano un significato reale, dovrebbe nascere un movimento antimafia fondato sul disagio sociale. Ma sembra che la città continui a subire il fascino dei salotti dietro ai quali si nasconde la miseria e il degrado”.

La mafia ritorna sempre e anche se non ha vinto come sostengono giustamente il giurista Giovanni Fiandaca e lo storico Salvatore Lupo nel recente pamphlet, non è andata via dall’isola e dalla città e ne inquina ancora la mentalità. E quei salotti, sono le dinastie perbene (a volte con qualche ombra nei capostipiti) e le buone intenzioni lasciate cadere nel vuoto delle parole e nella confusione che governa per esempio quel mostro inceppato della Regione. Dietro si nasconde la miseria e il degrado di un patrimonio culturale deteriorato e dei numeri impietosi che scorrono davanti agli occhi nella vita reale o nelle statistiche ormai simboliche: lavora solo il 38% della popolazione attiva, mentre ben 6 giovani sui 10 restano a casa.

Le parole del nuovo presidente che, con eleganza senza pari, cita “solo” Falcone e Borsellino e non quel fratello ucciso in quella tragica Epifania del 1980 fanno bene alla Sicilia ma solo se queste nobili intenzioni diventassero realtà: Allora Palermo avrebbe quel riscatto che la sua storia merita da tempo.