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Net neutrality, quando il Parlamento europeo abdica

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Strasbourg

Mutilata degli emendamenti che avrebbero garantito la neutralità del traffico dati su Internet, la legge approvata il 27 ottobre rischia di aprire la via ad abusi. A decidere del futuro del web in Europa, ora saranno le authority di ogni paese.

Il 27 ottobre scorso, il Parlamento europeo potrebbe aver fatto la storia, ma questa volta una storia nefasta: lo sapremo da qui a fine luglio.

Oscurata dall’abolizione del roaming, infatti, all’interno del pacchetto Telecoms Single Market è passata la legge sulla net neutrality, che dovrebbe garantire la neutralità del traffico dati su Internet: i provider, cioè, non potranno bloccare o rallentare certi siti o applicazioni a vantaggio di altri. Non sono, però, passati gli emendamenti che avrebbero vietato eccezioni per i cosiddetti “servizi specializzati” e in caso di intasamento della linea.

Il testo adottato rimane quindi vago, lasciando il compito ai regolatori delle telecomunicazioni nazionali di definire meglio queste eccezioni. Il BEREC, l’agenzia europea che riunisce i regolatori, ha ora nove mesi di tempo, a partire dal 27 ottobre, per interpretare il testo e decidere se in Europa ci sarà la net neutrality oppure no.

Al pacchetto si è arrivati dopo una serie di negoziazioni sul testo proposto dalla Commissione europea nel 2013, ma in realtà di net neutrality si parla da molti più anni. Già nel 2009, Café Babel aveva diffuso la lettera aperta al Parlamento europeo pubblicata da La Quadrature du Net per proteggere la neutralità del web.

Dopo il voto, le reazioni sono state variegate. Günther H. Oettinger, commissario all’Economia e società digitale, ha ricordato che “per la prima volta avremo regole sulla net neutrality nella legislazione europea. Queste regole proteggono il diritto di tutti gli europei di accedere ai contenuti di loro scelta, senza intereferenze o discriminazioni”. Ma le voci contrarie sono numerose, a cominciare da quelle della lilberaldemocratica Marietje Schaake, che definisce il mancato voto degli emendamenti “un’opportunità mancata” e di Julia Reda del Partito Pirata, che lo ritiene “una promessa infranta”.

Sulla stessa linea le ONG in difesa dei diritti digitali, quali Access, che si dice  “delusa che il Parlamento europeo abbia deciso di non legiferare su questa questione critica” e rimane disponibile a “lavorare strettamente con le autorità di regolazione per portare la necessaria chiarezza al testo”. Dal canto suo, EDRi, sapendo che l’informazione ufficiale sarebbe stata fumosa, il giorno prima del voto ha addirittura pubblicato un’infografica per “tradurre” i comunicati stampa e comprendere le implicazioni pratiche della legge. Anche Tim Berners-Lee, inventore del Web, ha scritto sul suo blog che il testo che è stato approvato “minaccia l’innovazione, la libera espressione e la privacy, e compromette la leadership dell’Europa nell’economia digitale”.

E infatti già il 30 ottobre, il CEO di Deutsche Telekom Timotheus Höttges, appoggiandosi all’eccezione per i servizi specializzati, ha creato scompiglio con la proposta di far pagare alle start-up una quota delle loro entrate per avere una buona connessione. Anche negli USA, dove la normativa sulla net neutrality è entrata in vigore lo scorso giugno, il provider T-Mobile ha destato preoccupazioni con il lancio di un nuovo servizio che permetterà agli utenti di guardare i video di alcuni partner selezionati, tra cui Netflix, senza conteggiarli nel loro traffico dati. Un’idea che potrebbe piacere agli utenti, ma che crea concorrenza sleale per i siti che non sono stati selezionati come partner, tra cui il grande assente è YouTube.

I prossimi mesi saranno quindi decisivi per capire che direzione prenderà l’Europa. Per il momento riecheggia il ricordo di Orwell, che alcuni hanno parafrasato su Twitter il giorno del voto: tutti i dati sono uguali, ma alcuni dati sono più uguali degli altri.

Scritto da Eleonora Cipollina