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"Neanche Obama riuscirebbe a governare la Tunisia"

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A cavallo tra Oriente e Occidente, la Tunisia vive in un limbo politico da più di due anni. In questa terra di contrasti, dove convivono studenti poliglotti e contadini illetterati, donne con il naqib e in bikini,  si aspettano ancora gli effetti della rivoluzione.

Le notizie sulla Tunisia che circolano in Europa parlano di instabilità politica, integralismo islamico, proteste. A Tunisi, dove sono ritornata dopo il secondo anniversario della "Rivoluzione dei Gelsomini", scopro che dietro alla rivolta c'è un popolo che fa fatica a definire ciò che vuole diventare. Non si percepisce una strategia, ma soprattutto non c'é una voce in grado di aggregare il consenso popolare. La Tunisia sembra acefala: manca la testa, manca un leader, manca una direzione. 

Ritorno al Futuro

Nel dicembre del 2010, la morte di Mohamed Bouazizi, un giovane commerciante di frutta che si da fuoco per protestare contro il sequestro della propria merce, accende una miccia già innescata da anni. Il popolo tunisino costringe il proprio Presidente Ben Ali, al potere dal 1987, a dimettersi e fuggire a gambe levate in Arabia Saudita. I pezzi di Hamada Ben-Amor, in arte El Général, rapper tunisino di Sfax, hanno fatto da colonna sonora alla rivolta. Il suo brano più celebre “Rais LeBled”diffuso su youtube e i social media, riprende gli slogan delle manifestazioni, narrando le sofferenze del popolo tunisino.

Son passati più di due anni, molta gente in Tunisia parla di politica, ma sembra che il fermento della rivolta sia ormai inibito da un futuro sempre più oscuro e incerto. C'è chi non vuole credere più alla favola della rivoluzione dei gelsomini. "I primi a manifestare, i primi a dimenticare", scandiscono alcuni manifesti sui muri di Thuburbo Majus, un villaggio a pochi chilometri dalla capitale. "Qui siamo sempre stati abituati a seguire delle regole mentre adesso é il caos. Neanche Obama riuscirebbe a governare la Tunisia", racconta Helmi, 35 anni di Hammamet.

Nella Tunisia post-rivoluzione l'economia stenta a decollare: il tasso di disoccupazione, sebbene in diminuzione, è ancora alto (15,9%) e i prezzi degli alimenti di base sono aumentati. Il Paese è stato ferito profondamente dall'uccisione di Chockri Belaïd a febbraio e di Mohamed Brahmi il 25 luglio, entrambi convinti oppositori di Ennahda, il partito islamico moderato attualmente al potere. Questa formazione politica è un'espressione della Fratellanza musulmana ed è avvertita da molti tunisini "liberali" come una minaccia all'apertura laica della Tunisia verso l'Occidente. Se Ennahda è accusato da certi di far sprofondare il Paese nell’oscurantismo religioso, altri sono convinti che i media ritraggano un'immagine troppo negativa di chi tiene in mano le redini della scena politica tunisina. Resta il fatto che i due omicidi hanno intorbidito le acque della "transizione democratica" e gran parte della popolazione è tornata in quelle stesse strade e piazze che sono state teatro della prima rivoluzione contro Ben Ali.

Senza guida

Molti tunisini temono che la diffusione di un sentimento politico islamista possa vanificare il progresso compiuto durante la rivoluzione. A Tunisi, accanto al Parlamento, Mohamed e Hama, quasi 40 anni in due, sono accampati da ormai più di un mese. "La vecchia generazione ha rovinato la Tunisia. Le manifestazioni spesso degenerano, ma non ci importa della sicurezza; è compito della nostra generazione cambiare questo Paese"afferma convinto Mahamed senza però riuscire a fornire ulteriori spiegazioni o motivazioni. Parlo poi con un altro ragazzo di Tunisi. Mi dice che una parte dei giovani accampati vengono pagati per stare lì - per fare presenza- e che sono come delle "pecore senza pastore": privi di idee su come poter migliorare la Tunisia. Quando chiedo chi li paga, non ottengo nessuna risposta.

La formula del fai-da-te 

In mancanza di un punto di riferimento reale e stabile a livello governativo, il popolo tunisino si auto-gestisce. A Takrouna, un antico villaggio berbero, incontro Aida Gmach Bellagha, creatrice di gioielli e attivista silenziosa. Senza fondi statali è riuscita a ristrutturare il villaggio in cui visse suo nonno prima di trasferirsi a Tunisi, tra la prima e la seconda guerra mondiale. "Ho messo pressione al governo e sono riuscita a ottenere la distribuzione di acqua ed elettricità nel paese anche se ormai solo 5 famiglie vivono a Takrouna. Ho lottato per anni, ma alla fine ho vinto"spiega Aida. Tuttavia, ciò che più la preoccupa è la condizione sociale delle donne in Tunisia. "Come puoi vedere, vado in giro scollata e mia figlia indossa i mini-shorts. Lo facciamo un po' per provocazione, ma soprattutto per dimostrare che non ci arrendiamo". L'abito non fa il monaco.

Qui sono convinti che la Tunisia non possa essere paragonata a nessun altro Paese della regione, tantomeno all'Egitto. "Non puoi comparare l'incomparabile", mi sento dire a Sidi Bou Said dove ormai il gelsomino cresce tra il filo spinato. I tunisini che ho incontrato hanno lo sguardo rivolto verso il futuro, ma sono delusi dal presente. Sperano soltanto che il domani sia un giorno migliore per il loro Paese. Come dicono qui: "Inch'Allah".

Video Credits: Michelangelo Sevrgnini/youtube