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"Mariuzzo, ma chi te lo fa fare?": l'omicidio Francese 37 anni dopo 

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Palermo

In occasione del trentasettesimo anniversario dalla morte di Mario Francese, ricordiamo il cronista ucciso dalla mafia nel '79 attraverso l'intervista che il figlio Giulio aveva rilasciato lo scorso anno a l'oraquotidiano.it

Aveva scritto un dossier sul clan dei Corleonesi e stava continuando ad approfondire il piano d’attacco di questa “mafia nuova”, una mafia di cui ancora a Palermo si sapeva poco. Non gli fu permesso. Mario Francese, cronista di giudiziaria del Giornale di Sicilia, venne ucciso sotto casa, in viale Campania, la sera del 26 gennaio del ’79, al rientro da una lunga giornata di lavoro. Freddato alle spalle da quattro colpi di pistola.

«Era un giornalista con una curiosità innata, con una passione straordinaria. Non aveva mai perso la voglia di raccontare – racconta il figlio, Giulio Francese, giornalista anche lui. «È stato un cronista innovatore a Palermo: lui, che scriveva di giudiziaria, non si limitava a fare il resoconto di quello che avveniva nelle aule del tribunale, ma cercava di approfondire anche all'esterno, andando sul territorio, parlando con la gente. Era un battitore libero, un vulcano di idee con il dono del dialogo. Considerato da molti un “esagerato”, perché continuava imperterrito per la sua strada».

Il prezzo altissimo della ricerca della verità 

Coincidenza spietata: fu proprio Giulio, giornalista “biondino” alle prime armi al Diario, a prendere la segnalazione di un omicidio in viale Campania. L’omicidio di suo padre. L’altro figlio, Giuseppe, sentì invece gli spari in diretta, da casa. Si sarebbe suicidato un anno dopo la conclusione del processo, nel 2002, a trentasei anni, dopo essersi battuto strenuamente per convincere la Procura a riaprire le indagini. «Adesso il mio lavoro è finito», aveva scritto in un taccuino prima di uccidersi. «Questa è la dimostrazione che per avere giustizia e verità per mio padre abbiamo dovuto pagare un prezzo altissimo» - commenta Giulio. «Giuseppe ci ha scosso dalla rassegnazione, stavamo quasi per cedere e lui ci ha strattonato. È diventato giornalista, lui che giornalista non era, solo per fare giustizia a nostro padre. E questa scelta si è trasformata nella sua condanna a morte».

Le condanne di primo grado per i colpevoli del delitto di Mario Francese giunsero infatti solo ventidue anni dopo quella tragica sera di fine gennaio. Nell’aprile del 2001 vennero condannati a trent’anni di reclusione Totò Riina, Francesco Madonia, Antonino Geraci, Giuseppe Farinella, Michele Greco, Leoluca Bagarella (considerato l'esecutore materiale del delitto) e Giuseppe Calò.  Nelle motivazioni della sentenza di primo grado si legge: «Mario Francese era un protagonista, se non il principale protagonista, della cronaca giudiziaria e del giornalismo d’inchiesta siciliano. Nei suoi articoli spesso anticipava gli inquirenti nell’individuare nuove piste investigative. E pertanto rappresentava un pericolo per la mafia emergente, proprio perchè capace di svelarne il suo programma criminale». Nel processo bis, con rito ordinario, fu condannato anche Bernardo Provenzano con pena all’ergastolo come mandante dell'omicidio. Nel 2003, in Cassazione, vennero assolti Pippo Calò, Antonino Geraci e Giuseppe Farinella “per non avere commesso il fatto” e confermati i trent’anni al capo dei Corleonesi, a Bagarella, Ganci, Madonia e Greco.

1979-2001: ventidue anni in cui «si è fatto finta di non vedere»

«Mio padre, dopo un mese dalla sua morte, era già una vittima dimenticata». Trattato quasi come un colpevole della propria testardaggine: «Mariuzzo, ma chi te lo fa fare?» - gli dicevano. 

E sono ancora molte le zone d’ombra intorno all'omicidio Francese. Quel dossier che il cronista stava scrivendo e che fu pubblicato solo postumo, ad esempio. «Mio padre  - racconta Giulio - aveva il sospetto che qualcuno lo avesse portato all’esterno del Giornale. Per questo l’aveva preso e conservato a casa. Era preoccupato». Anche a causa del clima interno che si respirava al Giornale di Sicilia, di certo non sereno: l’incendio della villa del capocronista Lucio Galluzzo, le fiamme all’auto del direttore Lino Rizzi. «L’omicidio di mio padre fu come l’epilogo di un’escalation».

Il ricordo più bello che Giulio Francese conserva del padre è però legato proprio all’ultimo periodo della loro vita insieme, quello che precedette il delitto: «Lui, che era sempre stato un padre assente, a causa del lavoro, divenne improvvisamente presente: era come se avesse fretta di lasciarmi il testimone. Ricordo le mattine, le discussioni professionali, mentre leggevamo i giornali. Avevo da poco iniziato a fare il giornalista anch’io ed eravamo tutti i giorni fianco a fianco. Paradossalmente le ultime settimane della sua vita furono quelle più felici».

Precedentemente pubblicato sull'oraquotidiano.it insieme a Noemi La Barbera