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Lussemburgo: tre lingue, una nazione

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Politica

Col 38% di stranieri non è facile costruire un’identità nazionale. Soprattutto quando si vive a cavallo tra Francia e Germania. Ma, a volte, un piccolo paese può dare una bella lezione di convivenza all’Unione Europea.

Incuneato tra Francia Germania e Belgio, quel fazzoletto di terra chiamato Lussemburgo è per lo più noto come paradiso fiscale. Ma basta passeggiare per le strade della sua omonima capitale per accorgersi che, dietro l'alto tenore di vita dei suoi abitanti, si nasconde una nazione dinamica, poliedrica e alla continua ricerca della propria identità.

38% di stranieri, scusate se è poco

Basti pensare che il 38% del suo mezzo milione d’abitanti è costituito da stranieri. Come spiegare quello che resta un record assoluto nell’Ue? La storia stessa del Granducato di Lussemburgo parla chiaro: fondato nel 963, il Lussemburgo è passato più volte sotto dominazione francese, prussiana, belga e olandese, fino a conquistare l'indipendenza nel 1835. E non solo. Nel 1952 il Lussemburgo assorge a Paese fondatore della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, che sceglie proprio il Granducato come sede ufficiale fino al 2002, quando le attività della Ceca vengono assorbite dall’Unione Europea. Oggi il Lussemburgo ospita ancora la la Corte europea di giustizia, la Corte dei conti, alcuni uffici della Commissione Europea e i servizi di traduzione del Parlamento Europeo. Una dimensione europea d’alto profilo che non fa che accrescere il numero di stranieri.

Tedesco, francese e... lussemburghese

Ma può esistere uno “spirito nazionale” in un paese in cui gli stranieri sono da secoli parte integrante della popolazione? «La coscienza nazionale dei lussemburghesi è nata all’indomani della seconda guerra mondiale. Oggi è particolarmente forte, soprattutto tra le persone anziane e nelle campagne, e si manifesta molto nell'attaccamento alla lingua lussemburghese» ci confida Gerald, traduttore irlandese, che da dieci anni vive in Lussemburgo. Ed è proprio la lingua a detenere un ruolo centrale nell’identità nazionale dei lussemburghesi. Dopo secoli di bilinguismo franco-tedesco, infatti, nel 1941 la popolazione si auto-indice un referendum sotto l'occupazione tedesca e riconosce nel lussemburghese, lingua germanica del ramo occidentale, la sua unica lingua materna: è l’inizio dell’identificazione nazionale. Nel 1984 una legge eleva infine il lussemburghese al rango di lingua ufficiale e instaura così l’attuale trilinguismo nel Granducato. La presenza di queste tre lingue è la chiave di volta nei rapporti tra i lussemburghesi “doc”, il loro spirito nazionale e i cittadini stranieri presenti sul loro territorio. Come ha dichiarato il premier Jean-Claude Juncker a café babel: «quando si vive in un piccolo paese e i propri vicini – francesi e tedeschi – rifiutano di parlare la propria, splendida lingua, non potete non parlare la lingua degli altri».

Se da una parte, infatti, francese e tedesco sono le lingue amministrative e della comunicazione tra autoctoni e stranieri, il lussemburghese rappresenta il vero marchio distintivo d'identità nazionale, forse l’unico. Basti pensare che la conoscenza certificata di questa lingua rientra tra i requisiti fondamentali per ottenere la nazionalità nel Granducato.

«Integrazione non vuol dire fusione»

Ciononostante, la lingua non può rappresentare un fattore di discriminazione. Per questo il governo lussemburghese applica una politica di promozione sociale esemplare, offrendo corsi di lingua lussemburghese a cittadini stranieri e assistenza nelle scuole ai figli dei nuovi immigrati. Ma gli sforzi per l’integrazione non sono solo rivolti agli stranieri. La strategia educativa multilingue e multiculturale applicata nelle scuole del Granducato rappresenta un fattore di coesione rivolto alle nuove generazioni, sintomo dell'apertura del paese verso l’esterno e della volontà di accogliere gli stranieri, assicurandosi che ognuno possa mantenere la propria identità nazionale. «I portoghesi rappresentano il primo gruppo d’immigrati in Lussemburgo e fanno ormai parte integrante della società. Eppure continuiamo a mantenere le nostre tradizioni e la nostra identità. Integrazione non è sinonimo di fusione di culture», afferma Claudia, originaria di Lisbona, da otto anni traduttrice al Centro di Traduzione degli organismi dell’Ue in Lussemburgo.

Dalla storia di questo piccolo paese, l'Unione Europea può forse trarre un modello d'ispirazione per sviluppare più coesione e comprensione transnazionale. Del resto fu il più famoso lussemburghese e padre dell’Europa, Robert Schuman a sentenziare: «Una volta vinto il nazionalismo, sarà necessario pensare a nuovi schemi per riuscire ad unire l’Europa».