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L’uomo che ricostruirà la memoria di Ground Zero

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Flavia Cerrone

Daniel Libeskind, l’architetto a cui è stata recentemente commissionata la ricostruzione del World Trade Center, incarna lo spirito dell’Europa: pensatore libero in grado di rielaborare le diverse correnti che lo hanno influenzato.

L’architettura non riguarda solo la costruzione di edifici, ma è anche l’espressione della cultura e della storia. Ed è proprio in questo che Daniel Libeskind è un maestro. Nato in Polonia nel 1946, Libeskind si trasferì con i suoi genitori in Israele, ed in seguito in America, per sfuggire all’oppressione comunista ed antisemita. Acclamato come un genio della musica, decise di abbandonare la carriera di musicista e di intraprendere quella di architetto. Dopo aver completato gli studi di architettura a New York, tornò in Europa per prendere una seconda laurea in Storia e Teoria dell’Architettura, in Gran Bretagna. Da allora, l’importanza della storia nel lavoro di Libeskind sembra essere un tema ricorrente ed è forse una delle ragioni del fatto che il suo lavoro riesce ad imprigionare l’effimero nel tangibile, rendendolo memorabile.

Un polacco con gli stivali da cow-boy?

Il Museo Ebraico di Berlino è uno dei migliori esempi dell’architettura di Libeskind, visto che l’edificio di per sé emula il dolore e la disperazione provocati dall’Olocausto. Decidere di progettare il Museo è stato molto difficile per l’architetto, in quanto uno dei suoi genitori è sopravvissuto all’Olocausto. Quando l’Università di Humboldt a Berlino gli conferì un dottorato ad honorem, Libeskind dichiarò di sentirsi “non semplicemente un architetto di un’altra nazionalità che lavora ad un progetto in Germania, ma piuttosto come qualcuno che non ha identità; sé stesso come prodotto dell’Olocausto”.

Il Museo Ebraico è stato un punto di svolta per la carriera di Libeskind visto che, anche se insegnava nelle università di vari paesi, ed era già celebrato nei circoli accademici, i suoi progetti non erano mai stati utilizzati, e come conseguenza erano in gran parte visti come astrazioni teoriche. Il recente successo di Libeskind ha provocato le critiche di alcuni architetti che lo accusano di aver attratto l’attenzione del pubblico, indossando stivali da cow-boy per asserire la sua “americanità”, al concorso per il progetto che avrebbe dovuto ricostruire il sito di Ground Zero. Forse il fatto che viene dalla classe lavoratrice lo allontana dalle correnti di pensiero di molti architetti contemporanei, e gli permette di respingere le critiche rispondendo che “l’architettura non è qualcosa di elitario. E’ una cosa di tutti i giorni.”

Non solo Ground Zero

Non contento dei musei e delle gallerie, l’architetto ha concentrato tutte le sue energie per vincere uno dei più importanti contratti degli ultimi cinquant’anni: la ricostruzione di Ground Zero, per l’appunto. E ci è riuscito. Ancora una volta, ha dovuto disegnare qualcosa che fosse molto di più di un edificio; qualcosa che fosse facilmente riconoscibile come monumento ai morti, ma allo stesso tempo un’immagine di forza e di speranza per il futuro.

Molta gente, impegnata in tale impresa, si concentrerebbe solo su questo unico progetto, ma Libeskind no. Ultimamente ha vinto i diritti di costruzione di tre grattacieli a Milano (dove nel 1985 fondò una scuola di architettura), i primi ad essere costruiti nella città da più di quarant’anni. Altri progetti europei includono un centro per lo studio e la pratica delle arti a Dublino, il più grande centro commerciale in Europa (che sarà costruito in Svizzera), e persino la direzione artistica di un'opera. La grande varietà di progetti e di paesi coinvolti nel suo lavoro è incredibile, ed illustra il significato dell’architettura come un’espressione dell’identità sovranazionale.

Cresciuto in Polonia, Israele e Stati Uniti, Libeskind ha continuato a spostarsi di nazione in nazione. Sua figlia minore è nata in Italia mentre insegnava all’università. E' infatti a Milano che Libeskind ha fondato l'Architecture Intermundium. Parla principalmente il tedesco visto che ha vissuto a Berlino con la sua famiglia durante i dieci anni impiegati per completare il Museo Ebraico.

Come la sua architettura, che trascende i confini tra paesi, tra passato e presente, tra dolore e speranza, Libeskind è difficile da definire. Come ha detto in un’intervista con Giles Worsley, sentirsi a casa non vuol dire per forza “qui o lì. E’ una specie di viaggio... La gente si identifica con un pezzo di terra, un luogo, ma è illusorio perché il mondo è globale”.

Story by

Translated from Daniel Libeskind's towering success