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L’universalismo dei valori americani

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Flavia Cerrone

Bush e la guerra in Iraq possono pure aver esacerbato gli animi. Ma le origini dell’antiamericanismo europeo sono più profonde.

Il termine ‘antiamericanismo’ è diventato parte del linguaggio di tutti i giorni, ma di cosa si tratti realmente sembra sia cosa diversa da persona a persona. In generale questo concetto suggerisce un sentimento di antipatia, o forse di disdegno, per tutte le cose che sono americane, anche se spesso si sente “io non ho niente contro gli americani di per sé, però…”. Quel che è interessante è il fatto che ciascuno abbia ragioni diverse per criticare l’America. Per i socialisti è l’economia capitalistica, per l’élite intellettuale è la ‘base’ culturale, per gli umanisti è l’apparente disinteresse per la sofferenza del mondo. E la lista potrebbe continuare. Ma quali sono le origini di questo disprezzo, e perché gli europei sentono di avere una tale pletora di divergenti (e a volte contraddittorie) ragioni di essere antiamericani?

Alle origini dell’antiamericanismo

Forse possiamo far risalire l’antiamericanismo europeo fino ai tempi in cui l’America rifiutò la dominazione britannica attraverso la Dichiarazione d’Indipendenza del 1776. Si trattava di una svolta nelle relazioni tra Europa ed America: da quel momento in poi l’ex-colonia si sviluppò gradualmente fino a superare i colonizzatori: prima nel campo economico, poi nell’influenza internazionale. Il successo degli Stati Uniti d’America ha indubbiamente condizionato la psiche europea: portandola ad assumere un oggetto su cui veicolare ineluttabilmente ogni genere di risentimento e invidia. Tuttavia, se tutto ciò spiega in qualche modo il bisogno europeo di dichiararsi “culturalmente superiori”, per avere almeno un elemento a cui aggrapparsi, non rivela tutta la verità.

Individualismo: il nocciolo del problema

Il nocciolo del problema con gli USA è la loro fede nell’universalismo dei propri valori. I tre principi fondamentali di libertà, democrazia, ed individualismo sono lodevoli, ma quando i primi due diventano soggetti al terzo, cominciano i problemi: in particolar modo quando “l’individualismo” è definito in termini puramente economici. L’individualismo economico incoraggia la mentalità del “nuota o affoga” (come si dice in inglese) che, applicata al suo interno, causa una divisione tra persone di successo e fallimenti della società civile: questi ultimi ricevono dallo stato aiuti microscopici, o addirittura nulla. Applicata all’esterno, attraverso il liberismo economico, comporta che le nazioni che non riescono a tenere il passo, verranno sfruttate e cadranno in una spirale di povertà. Gli Stati Uniti, grazie alla loro potenza economica, sono in grado di spingere altri paesi ad aprire i loro mercati in nome del liberismo, e ciò ha contribuito alle attuali sperequazioni mondiali, rinforzando l’antiamericanismo. I critici hanno anche evidenziato che, mentre gli USA lodano il liberismo, continuano a vedere di buon occhio le barriere economiche quando sono convenienti, come i dazi del marzo 2002 imposti dal presidente Bush sull’acciaio importato.

Liberatori od oppressori?

Questa ipocrisia si estende agli interventi degli Stati Uniti nella politica interna di altri paesi, che naturalmente crea un sentimento di forte antiamericanismo nei paesi coinvolti, ed in coloro che criticano le azioni americane. L’America vede se stessa come una democrazia modello, e guarda alla democrazia come ad un sistema politico che deve essere adottato da tutte le nazioni. Una delle ragioni principali fornite per la deposizione di Saddam Hussein, è rappresentata dal fatto che pur sempre di un dittatore tiranno si trattava, e che l’intervento esterno avrebbe liberato la popolazione irachena da quell’oppressione. Anche se tutto ciò, è vero, l’America in passato si era alleata con Hussein per ragioni strategiche durante la guerra contro l’Iran degli anni ottanta. Questo tipo di atteggiamento “pragmatico” verso la politica estera, non è un fenomeno nuovo: l’America Latina per esempio, ha sofferto per anni a causa dell’ossessione anti-comunista di Washington. In Cile nel 1973, gli statunitensi permisero che il generale Pinochet deponesse il presidente Salvador Allende, un marxista che comunque era stato eletto democraticamente. Più vicino a casa nostra, il sostegno americano a favore della dittatura di Papadopoulos (1967-74), in Grecia, culla della democrazia, avvelenò anche da queste parti il clima.

A parte le azioni americane in politica estera, la soppressione negli Stati Uniti di espressioni come ‘antiamericano’ o ‘un-American’ (come si suol definire l’antiamericanismo nato in America) ha suscitato interesse. Mentre ‘la terra della libertà’ non limita ufficialmente la libertà di parola, proprio il fatto che un certo tipo di comportamento è detto ‘un-American’, sembra cozzare con lo status democratico del paese. Come detto dal linguista Noam Chomsky: “Il concetto di ‘antiamericanismo’ è interessante. Termini simili vengono usati solamente in stati totalitari o in dittature militari...Così, nella vecchia Unione Sovietica, i dissidenti venivano chiamati ‘anti-sovietici’”. Dal maccartismo degli anni cinquanta, al rifiuto della Disney di distribuire Fahrenheit 9/11 di Michael Moore, un film ‘un-American’, gli Stati Uniti continuano a rafforzare all’estero la loro immagine di entità monolitica. Una delle principali cause dell’antiamericanismo in Europa è proprio il rifiuto da parte dei poteri esistenti di accettare che le politiche e l’etica americane possano non essere sempre “giuste”.

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Translated from The ‘universalism’ of US values