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Lo spleen di Berlino: il club dei polacchi falliti

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n- ost

Translation by:

Lidia Perla

I fondatori del Club dei polacchi falliti hanno scritto un libro che riprende il nome del leggendario club berlinese. I due autori, esilaranti animali da palcoscenico, esaminano i rapporti fra polacchi e tedeschi, senza nascondere il loro punto di vista sulla Germania.

Sabato sera in Ackerstraße, civico 168 a Berlino. Adam Gusowski, 39 anni, si avvicina al microfono e saluta gli spettatori, con un inconfondibile accento polacco. All'improvviso, entra in scena sul piccolo palcoscenico anche il coprotagonista della serata, Piotr Mordel. I due discutono del recente abbandono di Gusowski della propria religione [ndt, in Germania l'apostasia permette di non pagare la tassa destinata alla propria chiesa], di Joachim Gauck, attuale presidente della Repubblica Federale Tedesca, e dei rapporti tedesco-polacchi.

Nel frattempo, le immagini dei film amatoriali dei due vengono proiettate sullo sfondo, entrambi ballano la polka e poi finiscono con un bicchiere di vodka in mano al bancone del bar.

Si chiama Club der polnischen Versager, letteralmente Club dei polacchi falliti, è un pub, un centro culturale tedesco-polacco, nonché un’istituzione della città di Berlino. Gosowski e Mordel amano definirlo il proprio “salotto allargato” e hanno da poco scritto un libro che ne ripercorre la genesi. “Una sorta di bilancio. Un bilancio fra virgolette”, afferma Mordel con la sua erre arrotata. Gusowski aggiunge: “Questo libro è un riassunto del nostro lavoro di satira”.

Da leggere ancheNoi, polacchi di Berlino, falliti e contentisu cafebabel.com

Per il momento, a inizio serata, non ci sono ancora clienti e i due siedono l’uno di fronte all’altro nel locale deserto. Le loro risposte ricordano una partita di ping pong. Gusowski fa al suo amico: “Io non conosco i tuoi testi, ma proprio per niente, tuttavia ho sentito dire che siano buoni quasi quanto i miei”. Mordel, 51 anni, dinoccolato dalla barba leggermente ingrigita, replica: “La mia ragazza pensa che anche i tuoi testi non siano poi così male”.

Entrambi emigrarono a Berlino nel 1988, poco prima della caduta del muro. “In Germania chi lavora un paio di volte alla settimana e per il resto del tempo ozia sul divano può permettersi due o tre Mercedes-Benz”, si legge nel libro, in cui ironicamente ripercorrono aspettative e ricordi della loro prima volta a Berlino.

Bugie, fantasticherie e idee strampalate

Gli elementi biografici costituiscono, però, solo una piccola parte dell’opera. “Il resto sono bugie, fantasticherie e idee strampalate”, dice Mordel. Anche il programma del club si può descrivere come un’idea strampalata: perlomeno la messa in scesa dello “Spettacolo del sottotenente”, che inizia sempre alle 21.37 spaccate, l’ora della morte di Papa Giovanni Paolo II, stoccata al cattolicesimo polacco.

Con lo “Spettacolo del sottotenente”, che stanno portano sui palchi di tutta la Germania, i due si lanciano in complesse discettazioni filosofiche sui rapporti tedesco-polacchi, mostrano sondaggi ripresi per strada sui temi più assurdi del tipo: entro il 2030 sarà il polacco o il tedesco a imporsi come lingua? Ed è grazie a stereotipi come quello sui ladruncoli polacchi, che le risate degli spettatori sono assicurate.

Fra le righe il lettore scopre anche qualcosa della storia tedesco-polacca. Nel capitolo “Cent’anni alla porta accanto”, gli autori raccontano con ironia la cristianizzazione dei oolacchi ad opera del re Mieszko: “A un tratto nel regno ci fu il feudalesimo, l’agricoltura basata su rotazione triennale delle colture, le tasse e l’inquisizione. Sgobbare dal mattino alla sera, digiunare e niente sesso prima del matrimonio”.

Vogliamo risvegliare l’interesse reciproco”, afferma Mordel. I due, tuttavia, non vogliono paragonarsi allo scrittore e cabarettista Steffen Möller che ha costruito la sua carriera grazie alle barzellette su tedeschi e polacchi. “Noi non dovevamo per forza scrivere un libro”, spiega Gusowski. Entrambi, infatti, hanno un altro impiego e lavorano come registi e attori oltre che per una radio. “Il club è il nostro hobby: qui svolgiamo tutti un lavoro volontario”, dichiara Guskowski.

L’insostenibile leggerezza dei falliti

La genesi della fondazione del club e l’origine del suo nome sono spiegati già nell’Introduzione: “Volevamo aggiungere un qualcosa di fiabesco alla nostra triste quotidianità. Per divertimento ci chiamammo 'falliti' e qualche volta ci siamo anche sentiti così”.

Dopo 11 anni di successo del club si può ancora parlare di “falliti”? “Ma certo!”, risponde Gusowski. Secondo lui è un nome che alleggerisce, liberando da alte aspettative, “attraverso cui ci si accorda una certa leggerezza”. Questo ha un valore terapeutico.

Il club ha vissuto alti e bassi ma dopo il trasloco di cinque anni fa, ha raggiunto l'apice del successo. I “Falliti” di tanto in tanto venivano minacciati di sfratto dal centro culturale, dove gestivano il pub. Il proprietario dell’immobile aveva l'intenzione di ricavarci uffici e appartamenti da affittare. Per fortuna la città di Berlino offrì come soluzione un luogo di rimpiazzo.

Nel libro, come di fronte ad uno specchio, mostriamo ai tedeschi la loro vera immagine”, sostiene Mordel. Ad esempio quando si tratta del presunto amore dei tedeschi per l’ordine, ordine che svanisce in tema di dialetti: “Più si va a fondo nella varietà linguistica della Germania, più si scoprono strani dialetti: altro che ordine!”.

Una risposta alla questione su come polacchi e tedeschi possano avvicinarsi la si trova nell’ultimo capitolo, in cui si consiglia una distanza geografica - in realtà impossibile - “di circa tremila chilometri” fra i due paesi. Soltanto così i vicini sembreranno gli uni agli altri di nuovo esotici. “Solo allora la Polonia sarà un paese che la Germania potrà sognare”.

Da leggere: Adam Gusowski & Piotr Mordel, Der Club der polnischen Versager. Rowohlt Taschenbuch Verlag

L'autore di questo articolo, Markus Nowak, è un membro del network est europeo n-ost.

Foto: copertina del libro ©Rowohlt; nel testo ©polnischeversager.de

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Translated from Buch: Berlin-Spleen der polnischen Versager