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L’Islanda nell’Ue: «Sì ma alle nostre condizioni». Parola di 18enni

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A colloquio con tre giovani islandesi in un pub di Reykjavik. Le loro opinioni sull’entrata del Paese nell’Unione europea – per la quale il Governo ha iniziato la procedura a fine maggio 2009 – divergono. Ma sono d’accordo su un punto: il pragmatismo. Soprattutto con una crescita al -10%. E l’europeismo?

«Prima vediamo l'accordo e poi giudicheremo». Sono le ore 22 e il tramonto è ancora visibile dal primo piano di un pub centrale di Reykjavik. Stefan, Vifill e Stefan Rafu sono un gruppo di amici tra i 18 e i 19 anni e sono qui perché Stefan Rafu è membro di un sindacato parte dello European Youth forum, l’Ong che raggruppa qui i consigli della gioventù di tutta Europa.

Se l’Ue vale un salmone

Questi ragazzi ti danno l'impressione di un pragmatismo spiazzante per la loro età. Stefan, liceale paffuto e con qualche brufolo che non vuol andar via, spiega: «Bisogna prima vedere quali saranno i benefits concreti per l'Islanda, e per l'Ue naturalmente. Ma sono piuttosto contrario: noi islandesi temiamo di perdere il controllo della nostra pesca». Si pensi che nel 2007 il settore rappresentava il 28% delle esportazioni del Paese. Stefan Rafu, segretario generale di un sindacato liceale, si appresta a studiare scienze politiche ed è pro-adesione. Ma quando sente parlare dell'Ue i suoi occhi di ghiaccio non si illuminano: «Neanch’io posso pronunciarmi in via definitiva prima di toccar con mano l'accordo. Ma sono piuttosto favorevole a priori perché Bruxelles ha già favorito i piccoli paesi». Il pensiero va al computo di seggi all'Europarlamento che favorisce i piccoli: qui gli eredi di Altiero Spinelli e soci non sono proprio considerati: la politica, il progetto europeo non contano. «Penso a Malta, anch'essa isola dipendente dalla pesca, che ha ottenuto un buon compromesso con l'Ue in questo settore. Ma anche al fatto che Bruxelles dà più sovvenzioni agricole ai paesi nordici». Più che uno scienziato politico in erba il ragazzo sembra un economista.

Adesione all’ombra della crisi

Ma perché tutto questo interesse – è il caso di dirlo – per l'Ue adesso? Non sarà forse per la crisi che vede l'Islanda in piena recessione, con una crescita stimata al -10% quest’anno? «Ma io sono scettico» ribatte lo Stefan, «in realtà dovremmo risolverla prima da soli questa crisi per arrivare più forti al tavolo dei negoziati con l'Ue, se proprio ci dobbiamo andare. Ce la possiamo fare. Alla fine non importiamo tanti prodotti dall'estero». Stefan Rofu, pro-Ue, storce il naso. E con lui un'opinione pubblica che nel febbraio 2009 ha riportato al potere dopo un ventennio l'Alleanza Social-Democratica di Johanna Sigurdardottir proprio sulla base di una piattaforma incentrata sull'ingresso nell'Ue e sull’euro come medicina anti-crisi. Ma tutto questo "europeismo" da dove sboccia? C'erano i pro-adesione prima? «C'erano sparuti sostenitori». Ah ecco. «Capisci», spiega Vifill, studente di informatica dalla chioma bionda, «molte aziende oggi dicono: “se l'Islanda non va all'Ue, siamo noi che ci andremo”». Ed è vero che l'instabilità monetaria della corona sta diventando insopportabile per il paese.

Ma questi ragazzi si sentono europei? «Certo», spiega Stefan l'euroscettico, «ad esempio abbiamo tanto in comune con gli altri Paesi nordici. Pensa che impariamo il danese a scuola dall'età di dieci anni». Lo Stefan pro-Ue spiega poi che «l'Islanda è più europea che americana perché liberale in tema di alcohol, sesso e laicità». La Sigurdardottir, neo-Primo Ministro, è il primo capo di Governo dichiaratamente gay dell’era moderna. Anche se va detto che il luteranesimo è Chiesa di Stato. Ma Stefan Rafu si sente più europeo o islandese? La domanda non parrebbe stupida se posta agli altri partecipanti della serata, tutti membri dell’European Youth Forum. Stefan Rafu risponde: «Più islandese, è chiaro. Che domanda è?».