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L’imperativo democratico

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L’Unione Europea mostra al mondo intero le sue divisioni interne in una fase di ricostruzione politica e istituzionale. Promessa di un’inevitabile democratizzazione?

L’Europa si è messa a nudo! L’abito che la ricopre è solo virtuale. Troppo grande per una Ue che vota una Costituzione originariamente ambiziosa e poi rimaneggiata dalle divisioni fra gli Stati. O troppo largo per un’Unione europea dotata di un nuovo Parlamento che riflette più l’onta dell’astensione e del disinteresse che l’equilibrio delle forze rappresentate. Un abito cucito male per una giovane Unione in preda a futili gelosie e che ha avuto molte difficoltà a mettersi d’accordo sul nome del successore di Romano Prodi.

Europa virtuale

L’abito realizzato per l’Europa è troppo largo, globale, quasi completamente invisibile, una sorta di iceberg, le cui parti emerse attraversano l’anno politico 2004 e incarnano la necessità di un politica economica comune a tutta la zona euro, di un’armonizzazione fiscale minima, la ripresa delle relazioni transatlantiche, la responsabilità della Ue soprattutto nei confronti del Medio Oriente. Il mondo arabo-musulmano confida sempre di più nell’Europa per un riequilibrio delle forze e dell’asse israelo-americano. Fino a quando l’Unione potrà ignorarlo? La storica elezione di un turco al Segretariato generale della Conferenza islamica della settimana scorsa riflette proprio quest’evoluzione: gli occhi sono puntati sulla risposta che la Ue darà alla Turchia a dicembre.

Certo, l’abito dell’Europa è un po’ grande e pesante, ma è arrivato il momento di portarlo. Quel che resta da sapere è come lo porterà?

Perché, ormai, l’esistenza dell’Unione è un dato di fatto, la sua costruzione è alle spalle e non ci si pone più la domanda “Europa sì o no?”, bensì “Europa sì, ma come?” .

Potremmo portare il fardello di una mondializzazione subita ed erigere delle barriere oppure potremmo assumere le conseguenze della globalizzazione e cercare di diminuire i flussi e di gestire rischi e interessi.

Oggi, non si tratta più di fare, ma di agire: un’arte capace di creare e di costruire, la cui natura stessa è politica e democratica.

L’Europa “a rete”

Di conseguenza, si profilano due soluzioni. In un primo caso, l’Europa si chiude in una logica elitista, burocratica e sprovvista di qualsiasi forma di legittimità democratica. Il sistema comunitario continua a fungere da tampone tra i paesi membri e a lasciare alla Commissione l’onere di prendere delle decisioni difficili ed impopolari, alimentando così il groviglio burocratico.

L’esempio del mese scorso e la gestione della questione turca illustrano bene una situazione estremamente caotica. Infatti, per l’inesistenza di una dimensione politica europea, le questioni fondamentali sono abbandonate alla negligenza degli Stati, che non possono affrontarle da soli e lasciano tutto all’impopolarità di un sistema comunitario, che per la mancanza della stessa dimensione politica, annega in un mare “tecnocratico”.

Risultato: l’Europa inciampa continuamente sull’impotenza degli Stati membri, esacerbando le tentazioni populiste che la screditano.

Nella seconda ipotesi, l’Europa assume, definitivamente, un orientamento democratico, orizzontale, vicino alle diverse realtà. Questo può voler dire più cose. Da un lato, una riforma della Commissione affinché questa diventi il propulsore dell’Ue, una vera e propria sinapsi tra le cellule del tessuto nervoso europeo: governi, parlamenti, ma anche e, soprattutto, ONG, associazioni e università. Insomma, l’Europa potrebbe raccogliere le richieste della sua società civile e cominciare a dare delle risposte e a proporre delle politiche coraggiose e pertinenti.

Dall’altro, l’incremento di forze politiche transeuropee, capaci di trascrivere e formulare le richieste dei cittadini in termini europei. L’obiettivo è di inventare e inaugurare uno spazio pubblico europeo o persino quel che Hannah Arendt definiva un “mondo comune”, per il nostro continente.

In effetti, queste forze politiche transeuropee assumerebbero il ruolo cruciale di divulgatori e inventori, una sorta di traghettatori (da una scala nazionale ad una europea) o di Stalkers, dal nome della guida nel capolavoro di Tarkovski, i cui personaggi non avanzano mai seguendo una linea diritta, ma a tentoni, vagando in un mondo, una zona, dove le certezze hanno lasciato il posto alla complessità.

Si tratta dell’invenzione di una democrazia sperimentale, una formidabile sfida umana ed etica, che sicuramente susciterà tensioni, disapprovazione conservatrice e tentazioni di “contro-riforma”. La realizzazione dell’Europa democratica comporterà, quasi sicuramente, una forte polarizzazione politica che, oggi, si delinea già nel contrasto tra la visione conservatrice di un’Unione europea culturale, patrimoniale e quella più progressista, ma dai contorni ancora leggermente sfocati.

Paradossalmente, l’Europa democratica passa per il superamento del consenso (che genera pace, libertà e prosperità) sull’Unione stessa. Certo lasciare la Ue sospesa sull’abisso del dubbio è un’ipotesi pericolosa, ma assolutamente necessaria e salutare. Perché il dubbio è l’essenza stessa della democrazia. Per l’Ue si profila quindi un nuovo tipo di potere. Salvo, ovviamente, eventuali dietro-front.

Translated from L’impératif démocratique