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Leopoli: una città dall'anima sdoppiata

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Lifestyle

Un breve viaggio solitario in autobus in una città dalla personalità ambigua. Stiamo parlando di Leopoli, in Ucraina, divisa tra patriottismo, guerra, filo-europeismo e voglia di festa.

La stazione dei bus di Cracovia è affollata, ma non c'è nessuno a cui chiedere informazioni né uno schermo con gli orari di partenza e il mio bus per Leopoli, Ucraina, ha già un'ora di ritardo. Preoccupata, chiedo a tutti quelli che mi capitano a tiro. La gente sorride e cerca di aiutarmi, ma nessuno sa nulla. All'improvviso, un giovane piazzato dall'aria buona e simpatica mi si avvicina. «Vai a Leopoli? Anch'io. Non ti preoccupare, il bus arriva».

Sollevata, lo seguo. Lo guardo bene: ha uno sguardo dolce, sincero, mi ispira fiducia. Indossa una giacca della Ferrari e, sotto, una maglietta di Kurt Cobain. È uno studente di Kiev, che ha passato un anno in Polonia. Ora torna a casa. Grazie a lui scopro che quella paziente e malinconica fila di persone, che stanno sedute da più di un'ora dietro di me, senza né muoversi né scambiare una parola, aspetta il mio stesso bus. A parte me, sono tutti Ucraini. Quasi nessuno parla inglese. Quando tento di comunicare col mio polacco zoppicante, gli ucraini mi guardano con dolcezza e rispondono lentamente in russo. Quando dopo due ore finalmente arriva il bus, un uomo dai bellissimi occhi azzurri mostra il mio biglietto all'autista e mi fa passare, con un gesto galante. «Mi voglio sedere vicino a te», dico al giovane di Kiev. «Non capisco, per favore aiutami». Il ragazzo mi mette una mano sulla spalla, sorride. «Everything is gonna be alright».

Viaggiamo di notte. Dormo un po' nel nostro autobus affollato. Quando arriviamo alla frontiera, ore dopo, parlo con lo studente di Kiev. «C'è la guerra nel mio paese, abbiamo un sacco di problemi», dice con aria grave. «Maledetto Putin». Gli faccio molte domande, alle quali risponde con eloquenza, nonostante fatichi a trovare le parole giuste in inglese. «Noi siamo europei. Putin sta facendo la guerra all'Europa. E noi siamo con voi, noi siamo europei. Siamo fieri di essere europei». Passiamo 4 ore tra la frontiera polacca e quella ucraina. Comincio a essere impaziente, ma tutti gli altri mantengono la loro compostezza, la loro espressione seria e calma, come se fossero pronti a tutto. Mi viene in mente la "folla silenziosa e rassegnata" dei russi di cui parlava il reporter polacco Kapuściński in uno dei suoi bellissimi libri. «Devono controllare bene, è giusto», dice lo studente. «Non vogliamo che si portino armi in Europa con tutto quello che sta succedendo. Abbiamo problemi in Ucraina, è giusto che ci controllino molto bene».

Quando ripartiamo sugli schermi del bus trasmettono uno spettacolo comico. Improvvisamente le pallide maschere di marmo degli ucraini si scuotono dalla loro impassibilità e ridono di gusto. Non capisco il russo, ma sento più volte i nomi "Putin" e "Merkel". «Fanno battute politiche, è tutta politica», ride lo studente. «Se non sei ucraina non puoi capire, anche se sai il russo. Una cosa positiva Putin l'ha fatta: ha scosso noi giovani dal nostro torpore, dalla nostra superficialità. Prima che ci attaccasse pensavamo solo alle sciocchezze. Per questa cosa ammetto che sono grato a Putin. Ci ha fatto capire di essere ucraini, di essere europei, ci ha fatto capire che amiamo il nostro paese, che siamo pronti a morire per l'Ucraina e per l'Europa». «Andresti a combattere in prima linea, sapendo di morire?», gli chiedo. Il giovane mi guarda come se gli avessi chiesto una cosa ovvia, e senza esitare risponde: «Certamente. È​ il mio paese».

Quando arriviamo a Leopoli ci abbracciamo e ci salutiamo. Il bus riparte quasi subito per Kiev. Arrivo al centro di Leopoli dopo un'ora di camminata. Leopoli è una bellissima città Mittel-europea, potrebbe essere una città polacca o austriaca. La sua architettura è europea. I suoi bar, le sue piazze, sono piene di gente che beve birra, suona la chitarra, fa il mimo. Famiglie sorridenti fanno compere. I bambini mangiano il gelato, gli anziani si scaldano al sole in piazza. Si vendono cartoline per strada, insieme a zerbini e rotoli di carta igienica con su la faccia di Putin.  Mentre cammino per il centro sento qualcuno suonare un pezzo di musica classica al violino. È un suono pieno di irresistibile e dolcissima sofferenza. Un suono timido, riservato, tranquillo, eppure mi scuote l'anima come un esercito di tamburi.

In una piazza è esposta, come un monumento, un'auto militare forata e crivellata, con dei fiori e una bandiera ucraina. Al suo interno si vedono ancora gli zaini mimetici dei soldati che vi hanno fatto l'ultimo viaggio. La cassetta delle offerte per l'esercito ucraino è piena di banconote già alle nove del mattino. Poco lontano, nella stessa piazza, c'è una tenda militare macchiata con un soldato trentenne, silenzioso e serio, che veglia accanto ad un'altra cassetta delle offerte, altrettanto piena di banconote. Fiori, fotografie, candele e bandiere ucraine oscillano sotto il sole, in un vento leggero e mite. Coppie di anziani si fermano per mettere nelle  cassette una banconota o due  e passano qualche minuto in silenzio, come se fossero in chiesa. In tutta la città diversi militari ucraini di ogni età si mescolano alla folla, talvolta chiacchierando tra di loro, ma più spesso in silenzio.

Ceno nella celeberrima taverna dei partigiani ucraini. Accanto a me un vecchio polacco ubriaco grida parolacce rivolte a Stalin e a Putin. I camerieri ucraini ridono. In passato i partigiani ucraini avevano fatto guerra ai polacchi, ma ora si uniscono qui a gridare il proprio comune rancore contro i politici russi.  Tra le canzoni partigiane che si suonano nel ristorante riconosco Bella ciao in italiano. Quando esco e ringrazio nella mia lingua madre l'austero guardiano che incarna il folklore e il fascino rivoluzionario del locale, col fucile e la divisa, si illumina in volto e mi risponde in italiano: «Arrivederci!».  

L'ultima sera, per curiosità, visito il famoso locale dedicato a Leopold von Sacher- Masoch, pieno di catene, reggiseni rossi, graziose cameriere dall'aria severa che girano col frustino di cuoio e all'occorrenza sferzano le schiene degli avventori. Si respira un'aria di festa: gruppi di amici scherzano, ridono fragorosamente, bevono birra e vodka. Improvvisamente mi ritrovo anch'io a bere vodka liscia con polacchi, ucraini, un americano e un russo.  Ci si presenta, ci si abbraccia, si ride senza sosta. I volti imperturbabili degli ucraini qua al secondo bicchiere diventano un carnevale di vivacità e di allegria. In questo buco nascosto di Leopoli la guerra è un concetto lontano, dimenticato. Si parla anche di politica, certo, ma con leggerezza, finché arriva la prossima bottiglia di vodka. Mentre comincia la festa, le bandiere e i monumenti di Leopoli si preparano a dormire sotto un cuscino di nuvole fredde e incandescenti.