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Le Vastasate: alla scoperta della Palermo del popolo

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Palermo

C'è stato un tempo in cui i "vastasi" (ovvero i "facchini") erano i protagonisti di seguitissime rappresentazioni teatrali: le "Vastasate", farsette popolari che si possono ascoltare ancora oggi grazie a cuntisti come Sara Cappello. FOTOGALLERY

Quando la dominazione spagnola si avviò verso la fine in Sicilia si assistette ad una rivoluzione della cultura popolare, caratterizzata dalla voglia dei cittadini di rispondere alla crisi che aveva portato molte attività al fallimento. 

In un percorso di sperimentazione scenica, molti artigiani sfruttarono le proprie capacità costruttive per mettere in piedi dei piccoli teatrini. Non ci riferiamo ai teatrini della più famosa Opra dei Pupi, bensì ai "casotti" di legno che nell'ultimo trentennio del Settecento riempivano il Piano della Marina, l'odierna Piazza Marina.

I casotti, secondo quanto trascritto da Giuseppe Pitrè nella sua Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, erano dei veri e propri teatri realizzati con architetture posticce in legno, facilmente montabili e smontabili, che giungevano ad accogliere fino a 500 persone. A quei tempi, il Piano della Marina era ben più spazioso di quanto non lo sia oggi in quanto non esisteva ancora Villa Garibaldi (progettata nel 1863 da Filippo Basile) e il successo che si riscontrò già dai primi esperimenti scenici portò a riempire la piazza di casotti. Il primo artigiano a ideare la legalizzazione di queste strutture fu Biagio Perez, riuscendo a scongiurare la minaccia incombente della concorrenza. 

La ragione per cui i casotti esistettero ed ebbero grande successo è il tipo di rappresentazione teatrale che ospitavano. Quale? Quello delle "Vastasate"Le Vastasate erano delle farsette popolari che rappresentavano le storie dei "curtigghi", i cortili di Palermo, che  - essendo particolarmente stretti - permettevano di ascoltare le storie dei vicini e ri-elabolarle per raccontarle agli altri vicini. Ma il termine "vastasata" deriva proprio da "vastaso", ossia "facchino", coloro che vendevano cibarie e bavande per strada, oppure si prestavano ai nobili per trasportarli su delle portantine (nient'altro che le "sedie volanti" cui fa riferimento l'omonima via di Palermo)

I casotti costituirono l'elemento esteriore e cittadino delle Vastasate, e fu di Biagio Perez l'idea di mettere alla berlina la "classe dei vastasi". Si verificò che il vastaso era al contempo attore e spettatore, visto che il pubblico era costituito dalle classi più basse. Le persone più raffinate le giudicarono "spettacoli di non troppo odorato buono, perché per lo più pieni di sentimenti vili e spesso indecenti”; qualcuno ne attaccò l’aspetto blasfemo, e in realtà, anche se la religione non veniva affrontata nelle vastasate, non era possibile immaginare un vastaso che non bestemmiasse. Però non bisogna avere dubbi sul valore di queste rappresentazioni: bisogna piuttosto concordare sul fatto che quella dei "cortili" sia arte, un'arte ingenua e primitiva in cui tutto è bisogno e necessità. Il popolo siciliano, di per sè artista, si volle impossessare del suo ambiente e, riproducendolo, lo ricreò.

Come non va dimenticato che essere "vastaso" significa essere "facchino", e quindi il vastaso deve anche essere "licenzioso"; e Nofriu​il maggiore protagonista delle vastasate, si trova dovunque, anche nelle situazioni più spicciole. Dopo le vastasate il nome Nofrio nella bocca del popolo acquista un qualcosa di satirico, e viene spesso usato negli aneddoti per indicare una fisionomia di uomo ben definita.

Le vastasate sparirono con il ritiro del Perez, e successivamente dei suoi "colleghi", ma ancora oggi si possono ascoltare le avventure dei vastasi grazie ai cuntisti come Sara Cappello, dando nuova linfa alla Palermo del popolo, forse la più genuina che ancora permane. Le vastasate saranno pure sparite, ma i vastasi sono sempre in giro.

Fonte testo: G. Cocchiara, Le Vastasate, Edizioni Il Vespro, Palermo, 1979.