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“Le sanzioni devono essere mirate e seguite da una serie di altri provvedimenti”

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In un’intervista con John Bryan Rose, membro del Segretariato Generale del Parlamento Europeo per le politiche estere, cafè babel indaga sulle sanzioni europee.

Cosa ha portato l’Unione Europea a imporre sanzioni ad altri stati?

Sin dal 1995, i diritti umani sono stati sistematicamente inclusi come “elemento essenziale” degli accordi di politica estera dell’Ue. Tutti i trattati commerciali e di sviluppo includono una clausola relativa ai diritti umani che dà all’Ue il diritto finale di sospendere del tutto o in parte un accordo se il paese partner non adempie al suo interno ai propri obblighi in materia di diritti umani. Per esempio, l’articolo 96 dell’accordo di Cotonou prevede la possibilità di prendere le misure necessarie in caso di violazione da parte di una delle parti degli obblighi relativi al rispetto dei diritti umani, dei principi democratici e dello Stato di diritto.

La stessa clausola relativa ai diritti umani non stabilisce il modo in cui debbano essere applicate le sanzioni, né il modo in cui l’Ue dovrebbe procedere, ma le “misure appropriate” possono essere incluse in un raggio che va da restrizioni lievi (la riduzione della collaborazione in ambito culturale, scientifico e tecnico), a misure più pesanti (posticipando o sospendendo i contratti bilaterali o i nuovi progetti, di commercio o di embargo, o la sospensione di qualsiasi collaborazione). Per esempio, sin dal 1997 tutti i rapporti di collaborazione con la Bielorussia sono stati congelati perché questo paese non rispettava i principi democratici.

Sfortunatamente, il Parlamento europeo non fa parte del processo decisionale che stabilisce le sanzioni. Viene solamente informato una volta che la commissione e gli stati europei nel Consiglio hanno raggiunto una decisione. La decisione della settimana scorsa presa dalla Commissione, relativa a riprendere la collaborazione con il Sudan per incoraggiare il rafforzamento dei nuovi accordi di pace, fu accolta freddamente dai membri del Parlamento Europeo. Questi sono ancora scontenti della situazione a Darfur, che è ben lungi dall’essere sistemata.

L’Ue riesce a presentare un fronte unico quando impone delle sanzioni sugli stati che non sono membri dell'Ue? C’è una filosofia dietro le sue azioni?

La filosofia europea consiste nell'incoraggiare un approccio positivo alle sanzioni attraverso il dialogo con il governo trasghessore e l’avvio di aiuti alle organizzazioni non governative, piuttosto che la totale sospensione degli accordi. Scambi strutturati dal punto di vista dei diritti umani offrono un modo più realistico per raggiungere gli obiettivi della clausola ad essi relativa rispetto all’applicazione di principi rigidi rivolti alla sospensione degli accordi. Tuttavia, in alcuni casi, il dialogo e l’assistenza non portano a niente e le sanzioni hanno il loro ruolo da svolgere, così come rappresentato da Zimbaue e Birmania.

Per quanto riguarda l’unità nell’ambito dell’approccio europeo, gli approcci post coloniali e “clientelismi” possono interferire ed influenzare la decisione relativa alla richiesta di sanzioni o meno ad un paese che trasgredisce. Non è veramente necessario essere più specifici su quali siano i paesi europei che hanno legami maggiori e dove (es. alcune regioni dell’Africa). Tuttavia, i paesi che non hanno queste “speciali connessioni” con gli stati membri dell’Ue possono vedersi imporre delle sanzioni in maniera molto più veloce.

Quanto sono efficaci queste sanzioni?

La clausola relativa ai diritti umani è stata invocata in numerose occasioni a partire dal 1996, come base per consultazioni, sospensioni di aiuto o altre misure (es. in Niger, Guinea Bissau, Sierra Leone, Togo, Camerun, Haiti, Comore, la Costa d’Avorio, le Fiji, la Libera, lo Zimbaue). Si è dimostrata efficace in alcuni casi come il Niger o la Birmania, dove “misure restrittive”, incluso il rafforzamento dell’esistente proibizione di visto e il congelamento delle attività estere del regime hanno avuto alcuni effetti positivi e hanno portato all’apertura del regime, almeno per un periodo. Un’importante condizione per le sanzioni è che devono essere mirate e devono supportare una serie di misure per sviluppare i diritti umani in maniera positiva.

Per evitare gli effetti negativi delle sanzioni economiche sulla popolazione civile vulnerabile, come anche gli effetti collaterali su altri stati membri non Ue, è importante favorire sanzioni mirate o “intelligenti”. Queste misure includono delle sanzioni finanziarie mirate, embargo di armi, restrizioni di viaggio e sanzioni diplomatiche che si sono rivelate efficaci anche in altri casi.

La politica dell’Ue non è incoerente in merito alle relazioni d’affari con i paesi che trasgrediscono, quali l’Iran e la Cina? Non dovremmo piuttosto isolare i governi e supportare efficacemente la società civile locale, le Ong, i movimenti dei diritti umani, ecc.?

È ovvio. Ma purtroppo l’unanimità è la regola governativa che gestisce il procedimento decisionale nell’arena degli affari esteri (c’è bisogno di una maggioranza qualificata per l’applicazione delle sanzioni). Quindi è solitamente il minimo comun denominatore che prevale e che non è d’accordo con decisioni più incisive. L’esclusione del Parlamento Europeo tende anche a favorire un approccio che può essere più vicino agli “Imperativi di Stato” e alle considerazioni commerciali piuttosto che ai diritti umani. Si spera che, il futuro della Costituzione Europea possa rafforzare l’impegno dell’Ue verso i diritti umani nelle sue politiche, sia interne che esterne.

Translated from “Sanctions must be targeted and support an array of other measures”