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Le restrizioni delle politiche migratorie: il caso francese di Vincennes

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Viola Fiore

CulturaPolitica

La situazione degli immigrati clandestini nella Francia di Sarkozy è critica: 26mila espulsioni previste per il 2008, 30mila per il 2009. Un reportage dal centro di detenzione di Vincenne, nella periferia parigina.

«Eravamo pochi, intorno a noi poliziotti, pompieri e ambulanze che andavano e venivano. Da dove eravamo, non abbiamo potuto vedere un granché: solo le fiamme alte che lambivano ciò che restava del tetto. Stavamo dietro al muro, non ci facevano spostare, faceva un caldo asfissiante e gridavamo slogan senza poter fare altro, mentre i poliziotti ci richiamavano all'ordine e uno di loro ci filmava con la telecamera – “sorridete! Siete ripresi!” – gli abbiamo gridato, ma non abbiamo visto niente di più e dopo un po', a piccoli gruppi come eravamo arrivati, ce ne siamo andati». La testimonianza di Anne, una militante del Réseaux education sans frontière (Resf), associazione che si batte in particolare contro le espulsioni di minorenni stranieri dal territorio francese, conferma un dato comune ai centri europei in cui vengono reclusi gli stranieri in attesa di espulsione: la loro inaccessibilità alla società civile.

La rivolta di Vincennes

Il 22 giugno 2008, giorno in cui il Cra (l'equivalente dell'italiano Cie, Centro Identificazione e Espulsione) di Vincennes, nella banlieue parigina, è bruciato, Anne e gli altri sono rimasti a guardare da lontano. Sulle cause e le modalità dell'incendio del centro, che da allora è vuoto e ha riaperto parzialmente solo in novembre, non ancora stata fatta luce. «In sintesi, in seguito alla morte di un tunisino (l'autopsia, mai resa pubblica, parla di arresto cardiaco senza dire nulla di più), l'agitazione si è impadronita dei reclusi», spiega Cécile della Cimade, associazione incaricata di garantire agli stranieri nei Cra l'esercizio effettivo dei loro diritti. «Hanno quindi chiesto spiegazioni che non devono essere arrivate: il giorno dopo è scoppiata una violenta bagarre con la polizia e poi qualcuno ha dato fuoco a una stanza».

(Foto: lookin4poetry/Flickr)

Se l'elemento che ha scatenato la rivolta è stata la morte del recluso, la Cimade denunciava da tempo le difficili condizioni in cui si trovavano gli stranieri a Vincennes. Nel suo rapporto sui Cra francesi del 2007 spiegava che il centro – con i suoi due siti da 140 posti ciascuno e un personale di polizia sufficiente per uno solo, i locali esigui, il poco spazio per camminare e il contatto umano ridotto all'estremo – «è un universo quasi carcerale che genera violenza in diverse forme». Inoltre la politica “del numero” voluta da Sarkozy (26mila espulsioni da realizzare per il 2008) – con le sue derive in termini di applicazione meccanica e restrittiva della legge – ha riempito al massimo i Cra portando all'esasperazione le persone che vi sono recluse. Il rapporto della Cimade ammoniva: «il 2007 resterà un anno difficile che rischia di essere l'inizio di una lunga serie se l'Amministrazione non prende atto della gravità della situazione».

L'industrializzazione della detenzione dei sans-papiers

Il Cra di Vincennes era il più grande di Francia, un vero e proprio simbolo dell’industrializzazione della detenzione amministrativa dei “sans-papiers” denu(Foto: looking4poetry/Flickr)nciata dalla Cimade. «La logica che sta dietro alla realizzazione della politica di Sarkozy», spiega Nicolas Fischer, ricercatore all'Ehess (Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales) di Parigi, «è quella della produttività: fornire cifre sul numero di stranieri da espellere presuppone che lo Stato si impegni a mantenere l'obiettivo». Il pericolo è che, in questa logica, i diritti degli stranieri in questione rappresentino un freno. Non a caso la stessa presenza della Cimade nei Cra, regolata da una Convenzione stipulata in origine nel 1984 tra l'associazione e lo Stato, è minacciata dall'intenzione di instaurare un regime di concorrenza tra più organizzazioni: «In nome della trasparenza a cui deve tendere ogni Stato che si dica liberale, il Governo vuol moltiplicare il numero dei candidati a fornire assistenza nei centri, ma si riserva di scegliere l'associazione che rispetti, tra i vari criteri, anche quello della confidenzialità. Cosa questo significhi non è chiaro: gli abusi denunciati dalla Cimade, le informazioni sensibili che sono spesso determinanti per dimostrare che questo o quello straniero è detenuto ingiustamente in un centro, saranno reputati confidenziali?». L'altro grande rischio è che, prevedendo la divisione in lotti dei Cra sul territorio nazionale, si perderà quella visione d'insieme sullo stato della detenzione amministrativa garantita sino ad oggi dal rapporto annuale della Cimade.

I centri di detenzione servono?

Nonostante le critiche, la generalizzazione della detenzione di stranieri senza permesso come pilastro della politica immigratoria è in atto in Europa. Ma la funzione dei centri di detenzione non è poi così scontata: gli Stati d'origine degli stranieri spesso non rilasciano l'autorizzazione necessaria al rientro dei sans-papiers, senza contare le spese sempre maggiori che tutto l'apparato di funzionari e strutture coinvolte nelle espulsioni comporta. In Francia, la giornalista Carine Fouteau ha stimato a 700 milioni di euro l'anno il loro costo complessivo. Il risultato è che spesso dai centri si esce con un bel documento che intima di lasciare il Paese con propri mezzi. «Si sa che molti sans-papiers non ripartiranno», continua Fischer, «ma intanto sono stati identificati, si è inquadrata parzialmente una popolazione invisibile, stimata in Francia tra le 400mila e le 600mila persone». Intanto Vincennes è destinato a riaprire, con ancora più posti: inevitabile, dato che la nuova cifra di espulsioni da realizzare nel 2009 ha raggiunto i 30mila obiettivi.

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