Participate Translate Blank profile picture
Image for Le periferie riconquistate dai cittadini: La Piana e Human Cities

Le periferie riconquistate dai cittadini: La Piana e Human Cities

Published on

Milano

Abbiategrasso, un angolo nascosto di Milano, si trasforma in uno spazio sociale innovativo di partecipazione: i cittadini, le associazioni locali, il Politecnico di Milano e il progetto Human Cities dell'Unione Europe insieme per reinventare lo spazio urbano.

Le mani sulla città, verrebbe da dire: alcuni giovani e promettenti designer del Politecnico di Milano, guidati dal docente Davide Fassi, hanno messo a disposizione la propria creatività ai cittadini per ri­costruire una scaglia del tessuto urbano ai limiti di Milano. Human Cities è il nome del progetto, supportato dall'UE attraverso il fondo che sta coinvolgendo 12 partner sparsi per tutta Europa: una sfida all'abbandono degli spazi delle nostre città, attraverso la quale gli abitanti della periferia sud di Milano hanno ri-creato con l'immaginazione il loro territorio.

Il luogo prescelto per dare voce alla partecipazione dei cittadini e all'iniziativa degli studenti del Politecnico è Abbiategrasso, periferia sud di Milano.

“La Piana”, ecco come si chiamano i 6400 mq di vuoto che affacciano su via Pietro Boifava. Un luogo immobile nel tempo, congestionato dal rumore del traffico di via Missaglia, arteria urbana che con le sue quattro corsie di automobili sfreccianti separa questa piazza dal resto della città.

La Piana è uno spazio sopraelevato, nascosto agli occhi degli automobilisti. Fino a pochi giorni fa, per trovarla, bisognava sapere che è lì, protetta dal resto della città, e al tempo stesso è inerme. Dal 2007, l'associazione Atir Teatro Ringhiera ha cominciato a giocare nel vuoto della piana trasformandola in uno spazio aperto e partecipato.

«Il vero cuore del progetto Human Cities sta nello spirito di inclusività» ha detto Fassi, docente del Politecnico e leader del progetto che ha unito i propri sforzi a quelli di Atir Teatro Ringhera e dei cittadini del luogo. Gli allievi, italiani ed europei, che hanno messo a disposizione del territorio la loro creatività, infatti, hanno lavorato in stretta connessione con i cittadini.

Per tutto l'inverno, i giovani designer del Politecnico si sono confrontati con gli abitanti del quartiere, in un percorso di progettazione congiunta. «Abbiamo imparato tantissimo gli uni dagli altri, designer e cittadini – ha detto Francesca, studentessa di design presso il Politecnico – collaborando anche con i partner europei». E i risultati non si sono fatti attendere. La piana si è trasformata in un'esposizione a cielo aperto in cui gli studenti hanno presentato ai cittadini le idee scaturite dall'nterazione con loro.

Il viaggio nello spazio urbano continua in un nuovo intreccio di creatività e, per sfidare il nodo apparentemente ostile del tessuto urbano, gli studenti, i cittadini della zona, e gli animatori culturali di Atir Teatro hanno esplorato le opinioni e i pensieri di tutti i partner coinvolti. L'obiettivo? Fare della piana uno spazio condiviso da tutti in cui esprimere e trasformare creativamente le identità.

E così, il pomeriggio del 14 aprile, in tanti si sono ritrovati con la voglia di fare qualcosa per cambiare la zona. Sono bastati pochi pezzi di tela riciclata da vecchi costumi di scena da legare intorno ad appositi telai per ottenere la coloratissima scritta, con il nome della piana, che ora dice a tutti che piazza Fabio Chiesa (ecco il suo nome ufficiale), intitolata allo scomparso attore di Atir Teatro che per primo ha tentato di valorizzarla, c'è ed è viva.

Ma Milano non è stata l'unica città a sperimentarsi nel progetto Human Ceties. Tra le città europee che hanno messo in gioco i loro spazi, c'è Graz, seconda capitale d'Austria per numero di abitanti e crogiolo di culture in transito per via delle sue sei università e degli oltre 40.000 studenti che vi risiedono. Da marzo nel centro cittadino di Graz, Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO dal 1999, studenti e designer in erba esplorano il territorio per trasformare con loro un luogo di transizione in uno spazio sociale, così che le persone possano condividere nell'incontro, senza essere legate alle dinamiche del consumo.