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Le mille e una terapia contro le paure degli europei

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Quest'anno cafebabel.com ha lanciato la "Café therapy". Una serie di dossier on-line e di dibattiti aperti al pubblico per capire le paure degli europei. E dibattere delle possibili terapie.

Negli ultimi anni il Vecchio Continente è stato attraversato dal virus della paura. La fiducia nel progetto di un’Europa unita è andato in crisi. Dopo i No di Francia ed Olanda alla Costituzione Europea cafebabel.com ha proposto agli europei una terapia a base di "caffè": di incontri e dibattiti in tutta Europa, sia "on line" con dei dossier di approfondimento, che "off line" con dei dibatti pubblici. Oggi vi proponiamo le soluzioni trovate in questi mesi di dibattito, tra articoli ed interventi, interviste ed opinioni. Il succo del progetto “Café therapy” .

Il multiculturalismo: una realtà sostenibile?

L’omicidio di Theo Van Gogh in Olanda, gli attacchi del terrorismo islamico a Londra e gli scontri nelle banlieues di Parigi hanno portato alla luce il problema della sostenibilità di società multietniche e multiculturali in Europa. Nei Paesi Bassi il dibattito è sfociato in una serie di proposte di legge severe. Il Ministro dell’Immigrazione Rita Verdonk «è arrivato addirittura a proporre l’obbligo dell’uso della lingua olandese per le strade» scrive Philip Ebels su cafebabel.com. Ma l’idea di multiculuralismo è basata sostanzialmente sulla tolleranza. Un valore che deve essere integrato da nuove possibilità perché «L’unico modo per integrare i giovani delle comunità svantaggiate all’interno della società francese è il lavoro» come ha sostenuto Aziz Senni, un imprenditore francese di origini marocchine, ospite del dibattito organizzato a Parigi da cafebabel.com. Aziz Senni, autore del libro L'ascensore sociale è guasto. Ho preso le scale, ha inoltre proposto l'attuazione di misure di discriminazione positiva sulla base non della razza o della religione ma della residenza. Gli scontri nelle perifierie hanno lasciato il segno.

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Ue -Islam: così lontani così vicini

«Non esiste la paura dell’Islam, esiste unicamente la paura di ciò che non si conosce» dichiarava un partecipante di fede musulmana all’apertura del dibattito organizzato da cafebabel.com a Siviglia nel novembre scorso. E sono le forme di integralismo religioso che bisogna combattere. «Io temo nella stessa misura le forme di fanatismo cattolico come quello musulmano» aggiungeva un altro partecipante. Attualmente sono 17 milioni circa i musulmani presenti in Europa. Gli scontri religiosi si sono accesi, ma secondo il teologo spagnolo Juan José Tamayo «le religioni non possono continuare ad essere fonte di conflitti, né tra di loro né all’interno della società, ma devono imparare a riconoscersi, rispettarsi e creare un dialogo».

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Dai tessili all’inquinamento: perché aver paura della Cina?

Secondo Lu Yiyi, capo-ricercatrice del China Project alla Chatham House, «il problema principale delle relazioni tra Ue e Cina risiede nella mancanza di una politica estera europea commune». Inoltre giudica prodotto dall’«ignoranza» il timore che hanno gli europei dell’esportazione di merci a basso costo provenienti dalla Cina. E continua: «I Paesi dell’Unione possono trarre vantaggio dalla liberalizzazione finanziaria che sta lentamente prendendo piede in Cina». Le denunce dell’Occidente rispetto l’alto tasso di inquinamento prodotto dalle industrie cinesi risulta poco credibile di fronte all’assenza degli Stati Uniti dai Paesi firmatari il Protocollo di Kyoto. Un Protocollo che Pechino ha firmato. Inoltre il Governo cinese ha annunciato di «raddoppiare il ricorso a energie alternative entro il 2020», puntualizza Simon Borkin da Londra.

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Devolution: tutti per uno, uno per tutti!

Il processo di integrazione europea porta con sé due tendenze contrapposte tra loro. Un accentramento dei poteri a Bruxelles da una parte, e una distribuzione dei poteri alle regioni e alle autonomie locali dall’altra. In Belgio Frieda Brepoels, Vicepresidente della Nuova alleanza fiamminga, intervistata da cafebabel.com, sostiene che «la sovranità nazionale è una nozione che risale al Diciottesimo secolo, non può essere la base sulla quale fondare il futuro dell’Europa.» E continua «il primo passo da compiere in futuro sarà quello di evolvere in direzione di un’Europa delle Regioni».

Il nuovo Statuto d’autonomia della Catalogna, recentemente approvato dai deputati spagnoli, punta all’ampliamento delle competenze di Barcellona come soluzione per arginare le spinte indipendentiste. E nella stessa direzione Zapatero sta lavorando con la parte basca per raggiungere la pace che la Spagna cercava dagli anni Sessanta, periodo del primo attacco dell’Eta. Che ha annunciato nel marzo scorso una tregua permanente. «La devolution è strettamente legata all'integrazione europea: distrugge vecchie identità a favore di nuove», scrive Tiziana Sforza da Roma.

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La torta dell’Ue. C’è una fetta anche per me?

L’Ue nacque dall’idea di creare «una Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio che avrebbe permesso agli Stati fondatori il libero scambio attraverso le frontiere», come sostiene Paul Hofheinz: una forza «in grado di incrementare il benessere e la pace». Nel 1986 anche la Spagna trovò nell’Ue un importante punto di riferimento a seguito della dittatura franchista. Così oggi l’allargamento ad Est rimane l’unico mezzo per sollevare i Paesi che hanno vissuto la tragedia dello stalinismo. È necessario integrare i futuri Stati membri – come Romania, Bulgaria, Croazia e Romania – con la prospettiva di un mercato unico che avrà, secondo il Commisario Europeo per la Concorrenza Neelie Kroes, «effetti positivi per chiunque: per ogni Stato membro, per i produttori e per i consumatori».

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Il ritorno del nazionalismo

«È mai esistita un’Europa senza crisi?» si chiede Martin T. Haberger, attore teatrale e fondatore del progetto Euroliteratour, che propone di intensificare gli scambi culturali tra europei. Le nuove spinte nazionaliste che spingono verso un ritorno alla realpolitik dell’interesse nazionale sono il sintomo di un’Ue in crisi. Samuele Pii, Presidente della Gioventù Federalista Europea (GFE), propone di «affrontare i problemi da un punto di vista cosmopolita». Riconoscendo nell’Europa un valore comune, non un nemico esterno.

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Scappo all’estero

È stato lanciato l’allarme dei cervelli in fuga. Ma in una società in cui è necessario essere bilingui e in cui viene incentivata la mobilità studentesca la fuga dei cervelli come può risultare un risultato imprevisto? Non sarebbe il caso di chiamarla uno scambio di cervelli in movimento? Kevin Byrne, insegnante di inglese in Giappone, spiega su cafebabel.com che «il movimento di studenti e cittadini europei è la chiave per l’arricchimento culturale e lo sviluppo economico del continente». Lo scambio di persone e di informazioni sarebbero quindi la vera forza dell’Ue.

E non tutti gli studenti e i lavoratori che hanno lasciato il proprio Paese vogliono rimanere. Anzi, come sostiene l’ungherese Bernadett, che al momento è in stage a Lund: «Partirò alla fine del master per tornare in Ungheria. Voglio trovare a tutti i costi un lavoro che mi piaccia nel mio Paese».

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