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Le Civic Tech, ovvero come hackerare la democrazia

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Translation by:

Elisa Del Gobbo

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In maggio si svolgeranno le prossime elezioni europee. Il timore di una scarsa partecipazione è tornato a galla, accompagnato da una crisi di rappresentatività sempre più evidente. Tuttavia, questa avversione per le politiche non implica un disinteresse per la politica. In rete, i cittadini reinventano il sistema per "hackerare" la democrazia.

I numeri parlano chiaro: l'affluenza alle urne in occasione delle elezioni europee è in calo costante dal 1979 e ha raggiunto il tasso più basso, pari al 42,61%, durante le elezioni del 2014. In Francia, un cittadino su quattro non è andato a votare al secondo turno delle elezioni presidenziali del 2017. Non c'è quindi bisogno di definirsi "libertario" per capire che si allarga, ogni giorno di più, il divario tra il popolo e chi lo governa. L'intensa mobilitazione dei gilets jaunes, movimento sociale nato e creato grazie a Facebook, ne è la testimonianza. Centinaia di migliaia di cittadini si sono riuniti in tutta la Francia, e in alcuni paesi europei, per denunciare le misure adottate dai governi. Al di là di ogni ideologia politica, è l'assetto stesso del sistema a essere messo in discussione. E se fossero gli strumenti digitali dei nostri giorni a dar vita a nuove rivendicazioni?

La politica non ha ancora vissuto la sua rivoluzione digitale

In questi ultimi anni, la maggior parte dei settori legati all'economia è stata attraversata dalla cosiddetta "rivoluzione digitale". Il sistema democratico, al contrario, ne è rimasto relativamente estraneo e risente ormai di questo ritardo. Durante il suo TED talk del 2015, Pia Mancini, cofondatrice di DemocracyOS, un'applicazione basata sul concetto di "democrazia partecipativa", ha affermato: «Siamo cittadini del XXI secolo, che fanno del loro meglio per interagire con istituzioni create per il XIX secolo, basate sulle tecnologie del XV secolo. [...] È arrivato il momento di chiedersi: che cos'è la democrazia nell'era di Internet?». È proprio a questa domanda che cercano di rispondere le Civic Tech (Tecnologie Civiche), un movimento che riunisce organizzazioni, associazioni e aziende di ogni tipo, nato con lo scopo di incantare di nuovo la politica con le ultime tecnologie digitali. Un'impresa, non serve dirlo, più che ardua.

Aspetto imprescindibile, alla base di tutto, la trasparenza. In Francia, il collettivo RegardsCitoyens ha spianato la strada, dedicandosi, sin dal 2009, all'analisi di questo aspetto in ambito politico. La piattaforma su cui si basa, nosdéputés.fr, stila i profili dei deputati sulla base di diversi criteri, quali la partecipazione ai disegni di legge e le prese di posizione, ma anche sulla base del tasso di presenza nell'emiciclo. Tema, questo, che ha scatenato l'ira di alcuni politici, relegati al rango di "cattivi alunni", secondo i criteri della piattaforma. Per Jean, studente di legge deluso dal sistema politico tradizionale, siti di questo tipo forniscono informazioni importanti che aiutano a crearsi una propria opinione. «Grazie a queste piattaforme è possibile vedere concretamente quale disegno di legge è stato accolto o respinto da questo o da quel deputato; l'informazione è chiara e senza filtri». Il lavoro del collettivo consiste semplicemente nel rendere più comprensibili dati già resi pubblici, cercando di sensibilizzare i cittadini al funzionamento delle istituzioni democratiche.

«Mi sento più libero di agire e intervenire facilmente in ambito politico.»

Le Civic Tech vogliono ricostruire il legame tra politica e cittadino. Ma come si può fare della politica una tematica coinvolgente, in grado di mobilitare gli individui? Innanzitutto rendendola più accessibile. «Bisogna semplificare l'approccio all'informazione, perché spesso i media trattano alcuni argomenti in modo troppo lontano dalla vita quotidiana dei cittadini», spiega Léonore de Roquefeuil, cofondatrice della Civic Tech Voxe.org. Nata nel quadro delle elezioni presidenziali del 2012, Voxe ha proposto un comparatore di programmi elettorali, che aveva come obiettivo quello di raggruppare tutte le varie informazioni all'interno di un unico sito. Ad oggi, l'iniziativa conta quasi 5 milioni di utenti in 19 paesi diversi.

Il vero punto di forza di Voxe è quello di presentare la politica ai giovani in modo ludico, spingendoli così a interessarsene da vicino. La sua Chatbot (chat virtuale), ad esempio, interpreta le notizie di attualità con uno stile fresco e diretto. Lo scopo di questo servizio specifico, utilizzato da oltre 100.000 persone, non è solo quello di informare, ma di fungere da catalizzatore di reazioni. Gli utenti sono invogliati ad agire a seconda delle proprie idee. Per Léonore di Voxe l'informazione è alla base della partecipazione: «Quando ti informi, ti rendi conto che hai il diritto di avere un'opinione e che il potere d'influenzare l'azione pubblica è nelle tue mani».

Gli strumenti che stimolano la partecipazione sono sempre più numerosi. Jean ci racconta di aver firmato più di una volta petizioni in rete, promosse da piattaforme con lo stesso funzionamento: «Mi sento più libero di agire e intervenire facilmente in ambito politico. Anche se mi rendo conto che sia soltanto un minimo gesto, credo che costituisca un primo passo positivo». Queste petizioni a volte riescono a mobilitare un numero elevato di cittadini, conferendo un valore aggiunto alle richieste rivolte ai rappresentanti politici. La piattaforma change.org, ad esempio, conta più di 258 milioni di utenti in tutto il mondo. Nel 2015, a Jacqueline Sauvage è stata concessa la grazia presidenziale grazie a una petizione in rete. La sua storia era stata diffusa su Internet, innescando un'intensa mobilitazione, che le ha evitato una pena di dieci anni di prigione.

Parlamentari guidati a distanza

Va bene informare e mobilizzare, ma qual è il livello di partecipazione attiva dei cittadini all'interno delle istituzioni politiche? Nel 2012, in Argentina, alcuni cittadini hanno iniziato a utilizzare gli strumenti digitali per sentirsi più coinvolti nella vita politica, a livello locale e nazionale. Questo ha portato alla creazione di un vero e proprio partito, El partido de la RED (Il partito della RETE), che dopo una vittoria a livello locale, spera ancora di vedere uno dei suoi rappresentanti entrare nella Camera dei Deputati. Secondo le idee del partito, il candidato eletto avrebbe dovuto votare esclusivamente seguendo le istruzioni trasmesse dal gruppo. Affinché questo fosse possibile, è stato sviluppato un software, DemocracyOS, che propone di relegare i parlamentari al rango di ambasciatori guidati dai cittadini a distanza, per mezzo della piattaforma. L'obiettivo è quello di «prendere decisioni in maniera trasparente e collettiva», spiegano Aurélien e Clara, entrambi membri del team francese di DemocracyOS. Stiamo assistendo, in questo modo, al passaggio da una democrazia rappresentativa a un sistema collaborativo, in cui tutti hanno potere decisionale sull'amministrazione della propria città.

Ognuno interpreta le Civic Tech a modo suo. Alcuni credono che sia necessario fornire ai governi strumenti nuovi per dare un impulso al coinvolgimento politico. È il caso dell'Estonia, paese in cui il 99,5% dei servizi pubblici è disponibile anche online. Nel 2017, la presidente estone Kersti Kaljulaid ha sottolineato, in un articolo pubblicato dal settimanale francese Le Nouvel Observateur, il rischio di una «obsolescenza degli Stati», i quali rischiano l'uberizzazione se non daranno il via alla loro rivoluzione digitale. In questo paese, il tasso di affluenza alle urne in occasione delle elezioni legislative è in costante aumento dal 2003, periodo in cui è iniziata una transizione digitale all'interno del paese. Nel 2017, il tasso di partecipazione, da far invidia alla maggior parte dei paesi europei, ha raggiunto addirittura il 64%.

Eppure, qualsiasi governo, anche quello più attrezzato, non può essere definito legittimo a pieno titolo finché soffre di una crisi di rappresentatività nella scelta dei politici. In Francia, come evidenzia l'associazione Laprimaire.org, sono i partiti politici a scegliere i candidati alle elezioni, nonostante questi ultimi rappresentino solo lo 0,5% della popolazione. In questo modo, l'ideologia democratica del suffragio universale è stroncata sul nascere. Nel 2017, Laprimaire.org aveva organizzato delle elezioni primarie online per eleggere in maniera collettiva un/a candidato/a. Anche se questo "partito" informale non è riuscito a ottenere le 500 firme necessarie per concorrere alle elezioni ufficiali, il bilancio dell'iniziativa fa comunque sperare. Infatti la campagna ha coinvolto più di 150.000 elettori in tutta la Francia. Questa è la prova che le tecnologie di rete permettono a moltissime persone di mobilitarsi in modo costruttivo.

C'è chi, invece, propende più verso una riforma radicale del sistema, che permetta agli individui di organizzarsi in maniera autonoma. E se fossero direttamente i cittadini a proporre le leggi? A quel punto il coinvolgimento del popolo nelle decisioni politiche del paese non sarebbe più messo in discussione. Questa è l'idea alla base della piattaforma Open Ministry, riconosciuta ufficialmente dal parlamento finlandese, che accompagna i cittadini verso la concretizzazione dei loro disegni di legge. Concepita come piattaforma di crowdsourcing (produzione collettiva), il suo obiettivo è quello di far emergere i migliori disegni di legge da presentare al Parlamento, dopo essere stati convalidati dalla comunità.

Come ci tengono a precisare Clara e Aurélien di DemocracyOS, però, bisogna sempre fare attenzione, perché, se non mancano al giorno d'oggi le tecnologie che permettono già di raggiungere successi nel campo della democrazia, scarseggia invece una formazione dei cittadini sull'utilizzo di questi nuovi strumenti. «Bisogna seguire da vicino tutto il processo e garantire ai cittadini che la loro decisione venga presa in considerazione», spiegano. L'affiancamento, aggiungono, è reso ancora più difficile dal fatto che una grande fetta della popolazione, costituita spesso dai più anziani, non si trova a proprio agio con gli strumenti digitali. Il solo pensiero dei nostri nonni che cercano di redigere un emendamento online, infatti, fa sorridere!

Le sfide di una democrazia digitale

«Diamo forma ai nostri strumenti e poi i nostri strumenti danno forma a noi», affermava Marshall McLuhan, celebre teorico della comunicazione, riguardo al tema dei media. Comprendere questa nuova realtà è ancora più importante nel quadro delle Civic Tech, in cui la tecnologia detiene il potere: chi configura la struttura tecnica stabilisce allo stesso tempo le relazioni di potere che vuole instaurare con gli utenti. «Code is law», come spiega l'articolo di Lawrence Lessig, fondatore delle licenze Creative Commons (CC). Nel mondo digitale, è il codice che crea il contesto. Questo significa che i software vengono creati sulla base di un modello che influenza spontaneamente il comportamento degli utenti. Nel caso di Facebook, il contesto (la home page, il modo in cui vengono presentati i post, le emoticon ecc.) e gli algoritmi invogliano gli utenti a commentare i post e a polarizzare la propria opinione. Nel caso di un software Civic Tech, bisogna assicurarsi che la struttura non presenti aspetti che favoriscano l'emergere di un certo tipo di opinione. A questo proposito, Léonore di Voxe sottolinea che è necessario avere «più Internet in democrazia e più democrazia in Internet».

Per questo motivo, molti software si affidano all'open source, sono quindi liberi, gratuiti e aperti a tutti, al contrario di quelli proprietari, che sono privati. A questo proposito, Clara e Aurélien di DemocracyOS hanno le idee chiare: la modalità open source su cui si basa la loro piattaforma offre agli utenti maggiore trasparenza e una diffusione più libera. Sottolineano, inoltre, che nel caso dei software proprietari la scelta di far pagare la licenza si fonda su una logica di rendimento degli investimenti. Si tratta sostanzialmente del modello startup, che punta a raccogliere fondi rapidamente per accelerare lo sviluppo e guadagnarsi una posizione di forza sul mercato. Tuttavia, per questioni di politica pubblica, questo modello sembra debole, perché orientato verso il rimborso degli investimenti. L'open source, al contrario, guarda al futuro: «Puntiamo sui miglioramenti, sull'adattabilità infinita del software, sul contributo di ogni utente in base al suo utilizzo particolare» affermano Aurélien e Clara.

Alcune città, come Reims, si sono impossessate del software per implementarlo a livello locale con il proprio organo esecutivo. Perché possano rivolgersi a un pubblico più vasto, è fondamentale che questi software vengano presi in mano da municipalità e da altre istituzioni. Infatti, si rimprovera spesso alle Civic Tech di non rappresentare abbastanza la popolazione, perché i loro utenti sono simili ai loro creatori: giovani, urbani o provenienti da un contesto sociale agiato. Una constatazione condivisa da Clara e Aurélien, che promuovono l'utilizzo dello strumento a livello locale: «È una vera e propria sfida di mediazione nei confronti di un pubblico meno coinvolti o che non ha affinità con gli strumenti digitali. Nel momento in cui i comuni si appropriano dello strumento, è possibile raccogliere i pareri dei cittadini su tematiche più vicine a loro». A *Parigi, ad esempio, il 5% degli stanziamenti annui dedicati agli investimenti del comune viene utilizzato per progetti presentati dai cittadini, che si tratti di rinverdire un quartiere, avviare una nuova linea di autobus o mettere in pratica una qualsiasi altra idea considerata utile dai cittadini. Questa pianificazione partecipativa ha riscosso successo: sono stati presentati ben 1.924 progetti, con un investimento di 100 milioni di euro.

Per Léonore, la questione dell'open source è prima di tutto simbolica, perché nei fatti, poche persone sono davvero capaci di interpretare il codice. Piuttosto, ritiene che sia opportuno spostare la questione sul piano dei servizi pubblici: «Siamo sicuri che tutto quello che viene proposto in questo ambito sia trasparente? I servizi pubblici usano i soldi dei cittadini per il bene comune: per questo, sarebbe importante che tutte le applicazioni e mezzi simili seguano la logica dell'_open source».

La capacità del popolo di governarsi da solo

Da sempre il popolo delega la sua sovranità, ricevendo in cambio solo il potere di pronunciarsi su qualcosa che è già stato elaborato da altri. Dato che le Civic Tech sono pensate per difendere una forma e non un contenuto, il rischio è quello di promuovere decisioni "sbagliate". Ad esempio, è giusto mettere in discussione il diritto di voto per le donne, se la maggior parte della popolazione lo richiede? Se si pensa ai problemi di polarizzazione delle opinioni in Internet e nei media, che complicano il dialogo sociale, questa diventa una questione ancora più attuale. Aurélien e Clara immaginano allora un accompagnamento pedagogico sotto forma di "percorso per il cittadino" per guidare gli individui al raggiungimento di una certa maturità. Voxe propone agli internauti la sua chatbot per scoprire diversi punti di vista sullo stesso tema. In questo modo, i lettori sono portati a farsi delle domande e a riconoscere le tesi dei diversi partiti. Imparare ad ascoltare l'altro sarà un primo passo verso questa ipotetica "maturità" dei cittadini?

In risposta al movimento dei gilets jaunes, il governo francese ha lanciato la sua operazione Grand Débat National, che dovrebbe permettere ai cittadini di condividere le loro aspettative. In particolare, lo Stato ha creato una piattaforma online per raccogliere i contributi dei cittadini. Nonostante questa prima misura sia abbastanza inedita, i gilets jaunes ci vedono uno strumento al servizio del governo, privo di neutralità. La risposta del movimento non si è fatta attendere: i partecipanti hanno proposto infatti la propria piattaforma, Le vrai débat (Il vero dibattito), un'alternativa al Grand Débat a loro avviso più legittima, perché indipendente e trasparente. Se questa disputa di legittimità è a capo di molti conflitti politici, le piattaforme testimoniano il ruolo che le Civic Tech si trovano a ricoprire.


Illustrazioni : © Pierre-Louis Bouron

Translated from Les civic tech ou comment hacker la démocratie