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Le affinità elettive: Giorgio Fontana racconta Franz Kafka, nel segno del Goethe

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Torino

Una serie di appuntamenti per far incontrare alcuni grandi autori della letteratura di lingua tedesca con altrettanti scrittori italiani: sono queste le “Affinità elettive” del Goethe-Institut di Torino. Mercoledì 3 marzo, nel secondo appuntamento della serie, Giorgio Fontana ha presentato il ‘suo’ Kafka.

Non capita tanto spesso di rivedere lo slogan di una manifestazione rispecchiarsi nelle parole e negli occhi dei suoi protagonisti. D’accordo, il marketing impone sempre agli organizzatori di un evento la ricerca di immagini ad effetto e titoli social ma poi, rimosso l’incantevole – e incantatore – velo della comunicazione, quello che resta di una presentazione, spesso, è molto più deludente rispetto alla locandina e al buzzing della Rete. Non è certo questo il caso delle “Affinità elettive” del Goethe-Institut Torino e, in particolare, dell’affinità elettiva – sincera e appassionata – di Giorgio Fontana, scrittore trentacinquenne chiamato a presentare un grande scrittore della letteratura di lingua tedesca. Nel caso di specie, Franz Kafka.

GIOCO DI COPPIE

L’incontro con Fontana, già vincitore del prestigioso Premio Campiello nel 2014 con Morte di un uomo felice (Sellerio editore), oltreché autore di precedenti romanzi e per diverse testate (tra le quali “Internazionale”), rientra in una serie di appuntamenti intitolati appunto “Affinità elettive”, curati dall’Istituto di cultura tedesca di Torino, insieme a Francesca Bolino (editor e traduttrice di alcune opere di Heidegger), nell’ambito del programma culturale “Torino incontra Berlino”. In ogni occasione uno scrittore italiano presenta il suo autore preferito, con l’intento di osservare da un angolo prospettico nuovo e non specialistico i grandi testi e personaggi della letteratura tedesca. L’obiettivo è quello di recuperare le opere del passato per riflettere su temi senza tempo. Una formula capace di incontrare il favore del pubblico, che ha riempito fino ad esaurire ogni posto disponibile il magnifico salone del Goethe con vista, da un lato, su piazza San Carlo e, dall’altro, su una parete di foto scelte per ripercorrere i 60 anni di vita torinese dell’Istituto (che ricorrevano nel 2014 e che sono stati festeggiati con numerosi eventi). Per la prossima serata di “Affinità elettive”, in calendario il 2 aprile, è attesa Benedetta Tobagi. Seguiranno poi Dacia Maraini, Luciana Castellina e Carlo Ossola, mentre nella prima tappa di questo percorso letterario fra Italia e Germania è intervenuto invece Maurizio Maggiani.

FONTANA E IL SUO EROE PER CASO: FRANZ KAFKA

Non c’è niente di retorico nel modo in cui Fontana si tuffa, senza tanti giri di parole, su quello che definisce non solo e non tanto il suo scrittore preferito, quanto piuttosto il suo “eroe letterario”. Fin dall’età di 18 anni, “quando lessi Il Processo per la prima volta – ricorda Fontana – comprendendo poco, se non che si trattava di una folgorazione. Le mie coordinate esistenziali venivano sconvolte da un libro. Ho riletto Il Processo negli anni, capendo sempre qualcosa di più, ma senza mai venirne a capo. Questo a causa della natura inesauribile dell’opera di Kafka, sempre in bilico tra detto e non detto”. Fontana non si limita a proporre una dotta presentazione de Il Processo, né un mero collage delle citazioni di critici ed esegeti che, nei decenni, si sono esercitati sul verbo kafkiano. Lo scrittore italiano, classe ’81, dimostra di padroneggiare la materia, che per lui è viva e che tratta con passione pura e dedizione assoluta. Offre punti di vista non convenzionali per comporre una rilettura originale del Il Processo – il romanzo di cui Eloisa Perone legge al pubblico alcuni passi scelti – e del ‘suo’ Franz Kafka. Svela aneddoti, cita passi di diverse opere, confessa di trovarsi davanti quasi “un problema etico” nell’affrontare Il Processo, un libro che, nelle volontà – per fortuna tradite – di Kafka, doveva essere destinato alla distruzione. Ma non è solo un racconto storico e letterario, quello di Fontana. Perché nelle pagine dello scrittore germanico si impone un apparato burocratico oscuro, una fortezza inespugnabile e inconoscibile chiamata Legge, alla quale i personaggi di Kafka si oppongono con una strenua resistenza. E qualche somiglianza con il sistema italiano Fontana la suggerisce neppure troppo ironicamente. L’affinità elettiva con Kafka ritorna subito quando Fontana confessa di ammirare la ricerca della “parola capace di illuminare”, tipica della prosa dell’autore de Il Processo. Oppure quando, sfidando fiumi di inchiostro che corrono in direzione contraria avverte: “Sbagliano quanti leggono Kafka in chiave surrealistica. C’è sempre un qualche elemento surreale. Ma tutto il resto esiste, è reale”. È questo, per Fontana, il segreto e la novità di Kafka. O almeno del “suo eroe letterario”, del ‘suo’ Kafka.