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L'azzardo? Ora si cura

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Più di 700mila gli italiani intrappolati nel gioco patologico. Ma ora un Centro in Friuli...

«Ero disperato: sfrattato, senza un soldo, un rapporto sempre più difficile con mio figlio». Maurizio, 52 anni, ha dovuto toccare il fondo per riuscire ad ammettere che il gioco d’azzardo non era più un semplice vizio, ma una droga vera e propria. «Stavo incollato per ore davanti alle slot machine: mi scordavo anche di mangiare». Quattro anni fa ha chiesto aiuto a una delle più importanti strutture italiane che combattono la dipendenza dal gioco o “ludodipendenza”, il Centro per ex giocatori d’azzardo di Campoformido, in Friuli Venezia Giulia: ha seguito una lunga terapia che lo ha aiutato a tornare padrone di sé e a iniziare una nuova vita. Ma, secondo la Società Italiana di Intervento sulle Patologie Compulsive, tra i 700 e i 900 mila italiani continuano a essere intrappolati nella morsa del gioco patologico, che nel 1980 è stato riconosciuto come una malattia dall'Associazione degli psichiatri americani.

Tanto azzardo, poca prevenzione

«La dipendenza colpisce l’1-3% della popolazione adulta» – spiega infatti lo psicoterapeuta Rolando De Luca, responsabile del Centro friulano – ma la stima è destinata a crescere visto che lo Stato continua a moltiplicare l’offerta d’azzardo e non investe nella prevenzione. Oltre l’80% degli italiani dedica una qualche attenzione al gioco: dalla semplice curiosità allo sviluppo della dipendenza il passo può essere breve». Nel 2006, secondo l'Agenzia giornalistica Concorsi e Scommesse, lo Stato ha incassato, tra giochi tradizionali e nuovi, oltre 33,4 miliardi di euro, superando del 16% la raccolta record del 2005, pari a 28,7 miliardi. Il mercato è in costante crescita da almeno dieci anni ed è florido anche nel resto d’Europa.

«La dipendenza? È solo un sintomo»

Non è un caso se nel Paese continuano a nascere, su iniziativa privata, associazioni o istituti anti-azzardo. Il Centro di Campoformido conta in terapia un centinaio di uomini e donne di tutte le età e professioni, suddivisi in gruppi. Ogni settimana si incontrano per condividere emozioni, ricordi, esperienze. L'azzardo è il tema centrale delle prime sedute, ma a mano a mano che il gruppo si consolida, i partecipanti sono stimolati a riconoscere i veri problemi sottostanti la dipendenza. «Il gioco compulsivo – spiega infatti De Luca – è solo la punta dell'iceberg, il sintomo di un profondo malessere individuale o familiare. Alcuni giocatori sono diventati orfani o hanno subito violenze da bambini, altri sono diventati i capi espiatori delle difficoltà familiari. Il gioco li affascina perché, da un punto di vista simbolico, superare la prova significa rimanere vivi. Diventa quindi fondamentale coinvolgere i parenti nella terapia».

Scoperti i tasti dolenti su cui lavorare, le famiglie devono cercare di sviluppare nuove, e più sane, dinamiche relazionali. Negli ultimi due anni, il 5% dei partecipanti non è riuscito ad affrontare i propri traumi e ha abbandonato il Centro italiano anche dopo poche sedute. Ma la maggioranza riesce a superare la dipendenza ed esce dalla terapia, che dura in media cinque anni, pronta ad affrontare con serenità e responsabilità la vita di tutti i giorni. «Da qui - conferma De Luca - sono stati finora dimessi trenta nuclei familiari e nessun ex giocatore è più tornato a scommettere».